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Si può incastrare per evasione fiscale con un’agenda?

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(@paolo-florio)
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Contabilità parallela: la scoperta di appunti, anche confusi, tenuti in una agenda segreta è prova di redditi in nero?

Ipotizziamo che la Guardia di Finanza entri nel tuo studio e, dovendo fare indagini per verificare se le tue dichiarazioni dei redditi sono veritiere, trovi nel tuo cassetto un’agenda con l’elenco degli appuntamenti, dei clienti e di una serie di pratiche e previsioni di incassi collegati al tuo lavoro. Una prova del genere potrebbe essere sufficiente per intentarti un procedimento per evasione fiscale? In altri termini, si può incastrare per evasione fiscale con un’agenda?

La questione, per quanto potrebbe apparirti a prima vista singolare, è invece una delle più frequenti cause di contenzioso tra fisco e contribuente. La “contabilità parallela”, quella cioè riscontrata in documenti “non ufficiali” rivenuti nei cassetti dell’ufficio – come appunto l’agenda – è spesso utilizzata dall’ufficio delle imposte come elemento per ricostruire il vero reddito dei contribuenti. Di qui si procede poi alla contestazione, all’accertamento fiscale e, in caso di superamento di determinate soglie di evasione, alla denuncia penale.

La questione deve essere affrontata partendo prima dai precedenti della Cassazione per poi verificare come abbia inciso la recente riforma del processo tributario attuata da una recente legge e come questa ha già influito su una pronuncia della Corte di Giustizia Tributaria. Ma procediamo con ordine.

La contabilità parallela è prova di evasione fiscale?

Con la sentenza n. 47104 del 17 ottobre 2018 la Cassazione aveva stabilito la possibilità di condannare per evasione fiscale l’imprenditore se, nel corso dell’ispezione da parte della Guardia di Finanza, emerge un’agenda con la contabilità parallela, ricostruita proprio sulla base delle dichiarazioni del manager.

Ed ancora, sempre la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 3952 del 18 febbraio 2011, aveva detto che l’agenda dove vengono annotate anche le spese di famiglia è una documentazione extracontabile idonea a far scattare l’accertamento fiscale. Una sentenza breve, quella depositata dalla sezione tributaria ma che, con poche parole estende ulteriormente la validità, ai fini dell’accertamento, dei documenti extracontabili. In particolare i giudici di Piazza Cavour hanno accolto il ricorso dell’Agenzia delle entrate che aveva spiccato un accertamento basandolo, fra l’altro, su un’agenda di famiglia. Il contribuente lo aveva impugnato proprio sul presupposto che questa agenda appartenesse a persone estranee all’attività imprenditoriale. Ma secondo gli Ermellini questo non è un motivo sufficiente per annullare l’atto impositivo. 

L’agenda tenuta in modo confuso è sufficiente ad una condanna per evasione?

Con una sentenza del 15 giugno 2011 la Suprema Corte ha di nuovo condannato un contribuente affermando che anche la contabilità parallela, benché tenuta in modo tanto confuso da rendere difficile la ricostruzione dell’imponibile, fa scattare l’accertamento induttivo.

A questo nuovo caso la sezione tributaria del Palazzaccio ha applicato un antico e ormai consolidato principio che ha permesso di ritenere valido qualsiasi appunto sul reddito di impresa ai fini dell’accertamento fiscale con metodo induttivo. La contabilità parallela in nero, precisa Piazza Cavour, fa sempre «scattare la prova presuntiva a carico dell’impresa verificata». Al più il contribuente può dimostrare il contrario. Ed infatti, dice la Cassazione, «l’art. 39 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600 consente all’Amministrazione finanziaria la rettifica analitico-induttiva della dichiarazione presentata dal contribuente, sulla base dei dati e degli elementi desumibili dalle scritture contabili di questa, solo se ed in quanto esse fossero state regolarmente tenute, ovvero presentassero vizi formali di modesta entità, in guisa tale che le loro stesse risultanze fossero idonee a fondare presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, dell’inesattezza della dichiarazione stessa ed il conseguente potere di rettifica che ne risultava giustificato attraverso la motivazione delle singole poste aggiunte o corrette». 

L’onere della prova contro il fisco: l’agenda è sufficiente per l’evasione?

Il nuovo comma 5-bis, introdotto con la legge 130/2022, ha ribadito un principio sancito dalla nostra Costituzione: quello della presunzione di innocenza fino a prova contraria, valevole anche nei procedimenti tributari. La norma introdotta dalla riforma stabilisce che la prova di evasione fiscale grava sull’Agenzia delle Entrate. Non è quindi il contribuente a doversi difendere da presunzioni di colpevolezza prestabilite e aprioristiche.

Questa novità potrebbe incidere notevolmente nei processi contro il fisco. E difatti la prima applicazione della stessa è rinvenibile in una pronuncia della Commissione di Giustizia Tributaria di secondo grado della Puglia (sentenza n. 3633/4/2022) avente ad oggetto proprio il rinvenimento di una agenda con contabilità parallela. Secondo i giudici, il rinvenimento di agende manoscritte presso lo studio professionale – in assenza di ulteriori riscontri – non può costituire una “presunzione grave, precisa e concordante” di redditi non dichiarati da un singolo soggetto qualora siano diversi i professionisti che vi lavorano. 

Secondo la sentenza, di fuori dei casi in cui è la legge a prevedere espressamente delle presunzioni che invertono l’onere della prova in capo al contribuente, la normativa ora dispone che «l’amministrazione prova in giudizio le violazioni contestate con l’atto impugnato». «Il giudice – prosegue la norma – fonda la decisione sugli elementi di prova che emergono nel giudizio e annulla l’atto impositivo se la prova della sua fondatezza manca o è contraddittoria o se è comunque insufficiente a dimostrare, in modo circostanziato e puntuale, comunque in coerenza con la normativa tributaria sostanziale, le ragioni oggettive su cui si fondano la pretesa impositiva e l’irrogazione delle sanzioni».

La vicenda e il nuovo valore dell’agenda con la contabilità parallela

Nel caso di specie, in primo grado era stato annullato un accertamento fiscale ai fini Irpef e Irap nei confronti di un contribuente emesso a seguito di indagini finanziarie e del rinvenimento presso il suo studio (utilizzato anche da altri professionisti) di sette agende. Sulle agende erano stati annotati dati da cui, secondo gli accertatori, si evincevano compensi in nero.

In particolare, nell’accogliere il ricorso il giudice di primo grado aveva ritenuto:

  1. pienamente giustificate dal professionista le movimentazioni finanziarie contestate;
  2. priva dei requisiti di gravità, precisione e concordanza la presunzione di esistenza di contabilità in nero, non essendo stata provata con certezza dall’ufficio la paternità delle agende, laddove peraltro era comprovato che lo studio fosse utilizzato anche da altri professionisti.

Così, nel confermare la sentenza di primo grado, la Corte pugliese ha ritenuto che l’Agenzia delle Entrate non avrebbe fornito la precisa e circostanziata dimostrazione della propria pretesa. A fronte del pieno assolvimento da parte del professionista dell’onere della prova imposto dalla normativa con riferimento alle movimentazioni contestate mediante le indagini finanziarie, l’ufficio non avrebbe addotto prove gravi, precise e concordanti atte per dimostrare che la documentazione extracontabile, rinvenuta in una stanza dello studio professionale utilizzato da diversi professionisti, appartenesse proprio al contribuente accertato.

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Pubblicato : 23 Gennaio 2023 10:15