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Si può essere licenziati per un reato andato in prescrizione?

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(@mariano-acquaviva)
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Qual è la differenza tra licenziamento disciplinare e licenziamento per giustificato motivo oggettivo? Quando va in prescrizione un reato?

Secondo l’ordinamento giuridico italiano ogni imputato deve ritenersi innocente fino a che non sopraggiunga una sentenza di condanna definitiva. Ciò significa che anche l’imputato condannato in primo e in secondo grado deve essere considerato innocente se c’è ancora in corso un giudizio in Cassazione (terzo grado). Con questo articolo ci soffermeremo su una questione in particolare: si può essere licenziati per un reato andato in prescrizione?

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha risposto a questo quesito, stabilendo che la pubblica amministrazione può procedere alla destituzione del dipendente se è finito sotto processo per un reato grave come quello di detenzione di materiale pedopornografico. Ma non anticipiamo troppo. Se l’argomento t’interessa e vuoi saperne di più, prosegui nella lettura: vedremo insieme se si può essere licenziati per un reato andato in prescrizione.

Quando si può essere licenziati?

Ci sono diversi motivi per cui un lavoratore può essere licenziato. In linea di massima, possiamo fare questa differenza:

  • si parla di licenziamento disciplinare quando la fine del rapporto di lavoro è imputabile a una condotta scorretta o inadempiente del dipendente. A sua volta il licenziamento disciplinare può essere per giusta causa (o in tronco), quando il lavoratore si è macchiato di un’azione talmente grave da meritare di essere allontanato subito, e per giustificato motivo soggettivo, quando invece al dipendente deve essere dato il preavviso prima di procedere alla risoluzione del rapporto;
  • c’è invece licenziamento per giustificato motivo oggettivo quando il rapporto di lavoro termina non per colpa del dipendente ma per cause esterne, come ad esempio per la necessità di ridimensionare il personale a causa di una crisi economica oppure per una riorganizzazione aziendale.

Per ulteriori approfondimenti, si legga l’articolo dal titolo Il licenziamento del lavoratore.

Quando un reato va in prescrizione?

Un reato va in prescrizione se è passato troppo tempo prima che si giunga a una sentenza di condanna.

La prescrizione è una causa di estinzione dei reati che scatta ogni volta che il processo non viene definito entro il termine stabilito dalla legge (di norma 6 anni).

A partire dal 2020, la prescrizione può scattare solamente se non si è giunti a una sentenza in primo grado. In pratica, è stata abolita la prescrizione dopo il primo grado di giudizio.

Se la prescrizione scatta, l’imputato non potrà essere condannato, per quanto ci sia certezza della sua colpevolezza. In pratica, con la prescrizione si riesce a farla franca anche in presenza di gravissimi indizi a carico dell’accusato.

Si può essere licenziati se il reato è prescritto?

Secondo la giurisprudenza [1], si può essere licenziati per un reato andato in prescrizione solo se il giudizio che riconosce la legittimità del licenziamento scaturisce da un autonomo apprezzamento del fatto contestato al dipendente, con riferimento alla potenziale rilevanza disciplinare dello stesso.

In altre parole, se il processo termina con la prescrizione ma, dalla ricostruzione che viene fatta nel giudizio emerge che il crimine è stato davvero commesso (ad esempio, perché nemmeno smentito dall’imputato), allora poco importa che nel frattempo sia maturata la prescrizione: il dipendente potrà essere licenziato, anche per giusta causa (cioè, in tronco).

Insomma: ciò che conta è che il dipendente si sia davvero macchiato della condotta colpevole, al di là del fatto che sia conseguita una condanna.

Tanto è confermato anche dalla recente sentenza della Corte di Cassazione citata in apertura [2], secondo cui è possibile la destituzione del docente finito per ben due volte sotto processo per detenzione di ingente quantitativo di materiale pedopornografico.

Nonostante la prescrizione, il Ministero dell’Istruzione aveva ritenuto doveroso applicare la sanzione disciplinare più drastica, avendo il professore «commesso atti in grave contrasto con i doveri scaturenti dalla funzione docente».

La Corte di Cassazione è perfettamente d’accordo con la scelta del datore pubblico, escludendo che «lo spostamento del professore ad altro servizio possa azzerare il grave contrasto della condotta da lui tenuta con i doveri della funzione docente a lui affidata».

La Suprema Corte pone l’accento soprattutto sull’incompatibilità delle condotte ascritte con la delicata funzione svolta dal dipendente.

Per i giudici, «costituisce dovere afferente alla funzione docente, intesa nella sua pienezza, anche quello di evitare comportamenti extralavorativi che si manifestino attraverso la commissione di reati e che, qualora diffusamente noti, si pongano in contrasto con il dovere di contribuire alla formazione umana della personalità dei giovani».

Peraltro, in questo senso si era in passato già espresso il Tar [3], secondo cui, in materia disciplinare, rientra nella valutazione discrezionale della pubblica amministrazione la qualificazione dei fatti commessi dal dipendente ai fini della loro rilevanza disciplinare e della valutazione della sanzione da irrogare, che è censurabile solo in caso di evidente sproporzione tra i fatti addebitati al dipendente e la sanzione inflitta.

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Pubblicato : 8 Ottobre 2022 09:30