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Se la morte non è immediata il risarcimento aumenta?

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(@paolo-remer)
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Quando il decesso non è istantaneo, il danno terminale patito dalla vittima passa ai suoi eredi: così i familiari superstiti vengono ristorati economicamente per la sofferenza che egli aveva provato.

C’è un aspetto molto triste che spesso sfugge all’attenzione dell’opinione pubblica e talvolta anche degli esperti di diritto: quando la morte non è istantanea dopo un incidente stradale, un infortunio sul lavoro o un fatto costituente reato, la vittima soffre per minuti, ore o giorni. Questo accade mentre l’infortunato è in attesa di ricevere i soccorsi, o durante il ricovero ospedaliero, quando rimane lucido e cosciente di ciò che sta accadendo. Se la morte non è immediata il risarcimento aumenta? I familiari superstiti, che sono anche eredi della vittima, hanno bisogno di saperlo. La cifra che gli verrà corrisposta deve essere equa e giusta, quindi dovrebbe tenere conto anche di questo importante fattore.

In realtà, le risposte che la giurisprudenza fornisce a questa tremenda domanda non sono univoche: si dibatte soprattutto su una questione formale, e cioè se la lesione irrimediabile costituita dalla perdita di una vita umana sia trasmissibile agli eredi o no. In caso positivo essi potranno reclamare il risarcimento di questa voce di danno, in aggiunta a quelle consuete loro spettanti, come il danno da perdita parentale per la scomparsa di un congiunto al quale erano affettivamente legati; altrimenti la cifra liquidata rimarrebbe quella, senza essere incrementata. Ecco perché una questione apparentemente teorica ha una notevole importanza pratica.

Danno da perdita della vita: quando e come è risarcibile

Il danno da perdita della vita consiste nel cosiddetto danno tanatologico (dal greco thànatos, che significa morte). L’ipotesi più lineare è quella in cui il decesso è istantaneo o avviene in un momento di poco successivo all’azione illecita altrui (come lo scontro tra due autovetture o l’investimento di un pedone). Ma la giurisprudenza dominante, mentre non riconosce la risarcibilità autonoma del danno tanatologico quando la morte è subitanea (rimanendo il decesso “assorbito” dalle ordinarie voci di danni risarcibili) dà risalto a tutti i quei casi in cui la morte non è immediata, e allora si ravvisano due aspetti distinti, perché può ravvisarsi:

  • un danno biologico terminale, consistente nel pregiudizio all’integrità psico-fisica del soggetto colpito, e dunque alla sua salute;
  • un danno morale terminale, detto anche danno catastrofale, che consiste nella sofferenza di colui che, rimasto lucido dopo il fatto lesivo, ha la consapevolezza dell’approssimarsi della propria morte.

Quali danni tanatologici si trasmettono agli eredi

Il danno biologico terminale appartiene alla vittima: è entrato a far parte del suo patrimonio mentre è ancora in vita, e perciò è certamente trasmissibile ai suoi eredi. Per la sua insorgenza è necessario, e sufficiente, che tra il fatto lesivo e la morte sussista «un apprezzabile lasso di tempo»: un arco temporale, che per la giurisprudenza è variabile tra pochi minuti e qualche giorno [1]. Questo tipo di danno non richiede che la vittima sia rimasta cosciente durante tale periodo più o meno breve: ciò che conta è l’inabilità temporanea che si è verificata.  Ovviamente, quanto più questo periodo è lungo, tanto maggiore sarà l’entità del danno biologico terminale.

Il danno catastrofale, invece, soggiace a un criterio di valutazione diverso, perché è un danno morale caratterizzato dalla profonda sofferenza interiore, la cui intensità può essere estrema anche quando dura pochi attimi, come lo stato di disperazione ed angoscia che pervade chi sta per morire ed è consapevole di ciò. Da qui nascono le oscillazioni della giurisprudenza sulla trasmissibilità agli eredi di questo patema d’animo sofferto dalla vittima prima del decesso.

L’orientamento maggioritario della Corte di Cassazione, nelle pronunce più recenti, ammette che il giudice può liquidare agli eredi il danno morale  terminale «a ristoro della sofferenza psichica provata dalla vittima di lesioni fisiche, alle quali sia seguita dopo breve tempo la morte, che sia rimasta lucida durante l’agonia in consapevole attesa della fine» [2]. Quindi per il riconoscimento di questa voce di danno è essenziale (a differenza del danno biologico terminale), che la vittima sia stata cosciente, altrimenti non avrebbe potuto provare quei patimenti. Viceversa, la durata conta di meno: l’aspetto fondamentale è l’intensità delle sensazioni dolorose provate a livello psicologico [3].

Come si liquida il danno catastrofale agli eredi

La liquidazione del danno catastrofale agli eredi avviene in via equitativa, come tutte le voci di carattere non patrimoniale che non possono essere quantificate nell’esatto ammontare [4]. La somma dovrà comunque tenere conto di come si è svolta in concreto l’agonia della vittima, per cercare di evincere quanta possa essere stata «la sofferenza patita dalla persona che, a causa delle lesioni sofferte nel lasso di tempo compreso tra l’evento che le ha provocate e la morte, assiste alla perdita della propria vita» [5]. Il pregiudizio più grave sarà quello di chi ha cercato inutilmente di aggrapparsi ad una speranza di vita e invece si è visto spegnersi a poco a poco e ha compreso con angoscia che stava arrivando l’ineluttabile momento della propria fine; in questi casi il risarcimento devoluto agli eredi sarà maggiore.

 
Pubblicato : 30 Luglio 2023 16:00