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Risarcimento licenziamento: va decurtato dalla pensione?

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(@angelo-greco)
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Aliunde perceptum: per la Cassazione, la pensione non decurta l’entità del risarcimento dovuto dal datore di lavoro per il licenziamento illegittimo e annullato. 

Ipotizziamo il caso di un dipendente che venga licenziato ingiustamente quando è ormai prossimo alla pensione. La risoluzione del rapporto di lavoro viene subito impugnata dinanzi al tribunale. Tuttavia il lavoratore, per non rimanere senza entrate, decide di accedere anticipatamente alla pensione. Qualora il giudice dovesse accogliere il ricorso, dovrebbe decurtare, dal risarcimento dovuto per il licenziamento illegittimo, i ratei della pensione nel frattempo percepiti?

Il dubbio è comprensibile. Si deve infatti sapere che, per la nostra legge, ogni volta che il tribunale quantifica il risarcimento dovuto al dipendente a causa di una illegittima risoluzione del rapporto di lavoro, deve detrarre da tale indennità il cosiddetto aliunde perceptum ossia quanto percepito dal lavoratore, durante il periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative. 

Si pensi ad esempio al caso di un lavoratore che, nei cinque anni durante i quali si svolge la causa contro la vecchia azienda, abbia ottenuto un altro posto e che, proprio grazie ad esso, abbia percepito uno stipendio mensile. La somma degli importi così ottenuti dalla nuova azienda andrà a ridurre il risarcimento che il datore di lavoro precedente dovrà erogargli. E ciò perché, se non ci fosse stato detto licenziamento – per quanto illegittimo – tali somme non sarebbero mai state percepite.

La questione relativa all’assimilabilità della pensione all’aliunde perceptum è stata oggetto di un recente chiarimento da parte della Cassazione [1] su cui è bene soffermarsi. 

Cosa sono l’aliunde perceptum e l’aliunde percipiendum?

Il giudice deve detrarre dall’indennità risarcitoria riconosciuta in caso di reintegra tutti i redditi che – nel periodo tra la data del licenziamento e quella di reintegrazione – il lavoratore ha effettivamente percepito da altri datori di lavoro e committenti (cosiddetto aliunde perceptum), così come quelle somme che avrebbe eventualmente potuto percepire in virtù di ulteriori attività lavorative (cosiddetto aliunde percipiendum). 

Gli importi da potersi – e doversi – detrarre sono limitati a quelli derivanti esclusivamente da un’eventuale offerta di lavoro che possa definirsi “congrua”. In particolare, deve trattarsi di un’offerta di lavoro “a tempo pieno e indeterminato o determinato o di lavoro temporaneo ai sensi della legge 196/1997 e munita dei requisiti di bacini, distanza dal domicilio e tempi di trasporto con mezzi pubblici, stabiliti dalle Regioni”, il cui rifiuto senza giustificato motivo comporta per il lavoratore la perdita dello stato di disoccupazione.

La pensione costituisce aliunde perceptum?

Secondo la Cassazione [1], in caso di licenziamento illegittimo, il risarcimento del danno spettante al lavoratore non può essere decurtato dell’importo dallo stesso eventualmente percepito a titolo di pensione dopo il recesso. Il trattamento pensionistico non può essere ricondotto all’aliunde perceptum, in quanto in tale voce rientrano esclusivamente i redditi che possono essere considerati effettivamente compensativi del danno derivante dal licenziamento e, quindi, solo quelli che conseguono dall’impiego della medesima capacità lavorativa da parte del dipendente licenziato. Tra questi, evidentemente, non vi rientrano gli emolumenti ricevuti a titolo di pensione. Tale principio trova conferma in numerosi altri precedente della stessa Suprema Corte [2].

La Corte di Cassazione ricorda, del resto, che «il diritto a pensione discende dal verificarsi di requisiti di età e contribuzione stabiliti dalla legge, prescinde del tutto dalla disponibilità di energie lavorative da parte dell’assicurato che abbia anteriormente perduto il posto di lavoro, né si pone di per sé come causa di risoluzione del rapporto di lavoro, sicché le utilità economiche che il lavoratore illegittimamente licenziato ne ritrae dipendono da fatti giuridici del tutto estranei al potere di recesso del datore di lavoro, non sono in alcun modo causalmente ricollegabili al licenziamento illegittimamente subito e si sottraggono per tale ragione all’operatività della regola» dell’aliunde perceptum [3].

Le eccezioni

Nella sua decisione la Suprema Corte non tralascia di evidenziare come ben può verificarsi che, in determinati casi, la legge deroghi a quei requisiti, anticipando, in relazione alla perdita del posto di lavoro, l’ammissione al trattamento previdenziale, in modo tale che il rapporto fra pensione e retribuzione venga a porsi in termini di alternatività. Tuttavia, in questi casi, sottolinea la Corte di Cassazione, la sopravvenuta dichiarazione di illegittimità del licenziamento, facendo venir meno il presupposto della deroga, travolge con effetto retroattivo lo stesso diritto dell’assicurato a siffatta anticipazione e lo espone all’azione di ripetizione dell’indebito da parte del soggetto erogatore della pensione, «con la conseguenza che le relative somme non possono configurarsi come “un lucro compensabile col danno”, cioè come un effettivo incremento patrimoniale del lavoratore, in quanto a fronte della loro percezione sta un’obbligazione restitutoria di corrispondente importo». 

Quando la condotta del danneggiante costituisce semplicemente l’occasione per il sorgere di un’attribuzione patrimoniale che trova la propria giustificazione in un corrispondente e precedente sacrificio, allora non si riscontra quel lucro che, unico, può compensare il danno e ridurre la responsabilità» [4].

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Pubblicato : 30 Novembre 2022 17:00