Risarcimento del danno per licenziamento illegittimo
Quando scatta la tutela risarcitoria e come calcolare l’importo dell’indennità spettante al lavoratore nei vari casi, dopo l’intervento della Corte Costituzionale.
Se sei stato licenziato ingiustamente, ad esempio per motivi discriminatori o in mancanza di una valida giustificazione del provvedimento espulsivo, saprai di massima che ti spetta un risarcimento qualora il tuo licenziamento venga riconosciuto illegittimo. Ma per quali voci spetta questo risarcimento del danno e come calcolarne l’ammontare?
Innanzitutto esistono vari tipi e forme di licenziamento, come anche varie voci di danno risarcibile. Inoltre, la normativa in materia di recente è stata modificata: la reintegra, che un tempo era la regola, dopo il Jobs Act del 2015 è diventata l’eccezione e la tutela del lavoratore passa principalmente attraverso l’indennità risarcitoria, commisurata alla retribuzione globale di fatto percepita prima del licenziamento e ad altri parametri, come l’anzianità di servizio.
Di recente, su questo importante punto è intervenuta anche la Corte Costituzionale per precisare i rapporti tra tutela reintegratoria e risarcitoria. Vediamo quindi quando spetta il risarcimento dei danni per licenziamento illegittimo e come si determina il suo ammontare in relazione ai vari casi.
Reintegra per licenziamento illegittimo
La reintegra, cioè il ripristino del rapporto di lavoro preesistente, spetta nei casi di licenziamento intimato in forma verbale, anziché nell’indispensabile forma scritta e con il relativo preavviso, oppure quando il provvedimento è discriminatorio o è avvenuto durante il periodo di maternità o a causa di matrimonio e quando è stato dettato per motivi disciplinari che poi vengono riconosciuti inesistenti. È importante notare che, con la riforma del 2022, anche il licenziamento avvenuto durante i periodo di congedo di paternità obbligatorio, dunque fino al compimento di un anno di vita del figlio, è considerato illegittimo, al pari di quello della donna in stato di gravidanza e in puerperio [1].
L’ultima sentenza della Corte Costituzionale [3], in tema di reintegra per licenziamento illegittimo, che si pone del solco di una pronuncia storica dello scorso anno, ha stabilito che nei licenziamenti economici (quelli detti anche per gmo, giustificato motivo oggettivo, in presenza di crisi aziendali) scatta la reintegra anche se l’insussistenza del fatto posto alla base del licenziamento non è «manifesta». Trovi ulteriori informazioni su questo aspetto nell’articolo “Lavoratore licenziato: quando va reintegrato?“.
Reintegra e indennità risarcitoria: rapporti
La reintegra si applica, di regola, nelle aziende che occupano più di 15 dipendenti, mentre i datori di lavoro di dimensioni più piccole sono obbligati a corrispondere soltanto il risarcimento al dipendente ingiustamente licenziato, come prevede l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori dopo le riforme apportate nel 2015 dal Jobs Act (che, nonostante gli interventi demolitori apportati dalla Corte Costituzionale, è in gran parte rimasto in vita).
Anche la reintegra prevede comunque un’indennità risarcitoria da corrispondere al lavoratore, che dovrà essere pari all’ultima retribuzione percepita al momento del licenziamento e per l’intero periodo maturato fino al momento della ripresa del rapporto lavorativo. Per il medesimo periodo, il datore dovrà anche versare i contributi previdenziali ed assistenziali.
Se il lavoratore non vuole più ripristinare il rapporto (molti dipendenti non vogliono più tornare da chi li aveva licenziati), avrà diritto ad un’indennità risarcitoria sostitutiva della reintegra, in misura pari a 15 mensilità di retribuzione.
Quando il licenziamento è illegittimo
Ci sono molti casi di licenziamento illegittimo, inefficace o invalido (l’accertamento viene compiuto dal giudice del Lavoro) che prevedono non la reintegra, bensì esclusivamente il risarcimento dei danni arrecati al lavoratore dall’ingiusto comportamento del datore di lavoro. Sono, in particolare, quelli in cui il licenziamento viene intimato in assenza di un giustificato motivo, soggettivo o oggettivo, o di una giusta causa (ad esempio, un procedimento disciplinare instaurato per ragioni insussistenti), o per motivi discriminatori (in relazione all’età, al sesso, alle opinioni, all’appartenenza sindacale, allo stato di salute, alla fede religiosa).
Pertanto in tali situazioni, se il lavoratore impugna uno di questi tipi di licenziamento e il giudice riconosce la fondatezza delle sue ragioni – tocca sempre al datore provare la fondatezza del motivo di recesso dal rapporto – il licenziamento sarà ritenuto illegittimo, in quanto affetto da nullità, o vizi insanabili, e scatterà il conseguente diritto al risarcimento del danno.
Indennità risarcitoria: quando si applica
Il “Jobs Act” [2] stabilisce che per i dipendenti assunti a partire dal 7 marzo 2015 che vengano illegittimamente licenziati spetti un’indennità risarcitoria pari a 2 mensilità dell’ultima retribuzione per ogni anno di servizio (quella di riferimento per il calcolo del Tfr), se impiegati in un’azienda con più di 15 dipendenti, e di una mensilità della medesima retribuzione se il datore ha meno di 15 dipendenti.
L’indennità non potrà mai essere inferiore a 6 mensilità o maggiore di 36 e in concreto viene rapportata ai fattori che esamineremo nel paragrafo successivo. Per i lavoratori assunti in precedenza all’entrata in vigore del Jobs Act, invece, ferma restando l’applicabilità della tutela piena mediante reintegra nel posto di lavoro, l’indennità va da un minimo di 12 a un massimo di 24 mensilità dell’ultima retribuzione globale.
Gli interventi della Corte Costituzionale
La Corte Costituzionale con una recente sentenza [3] ha scardinato il meccanismo del Jobs Act, che era legato alla sola anzianità di servizio, ed ha stabilito che per la determinazione dell’indennità debbano valere anche altri parametri, come le dimensioni aziendali e la situazione economica. Secondo la Consulta, bisogna considerare anche l’effettivo danno sofferto dal lavoratore che è stato ingiustamente licenziato per motivi formali o per vizi nella procedura adottata dal datore; altrimenti, con il meccanismo di determinazione pressoché automatico in base all’anzianità, verrebbero penalizzati soprattutto i lavoratori di più recente assunzione (e, in particolare, quelli assunti dopo il 7 marzo 2015, data di entrata in vigore del Jobs Act).
Così la Corte ha giudicato costituzionalmente illegittima la norma del Jobs Act che, per i licenziamenti affetti da vizi formali o procedurali, fissava l’ammontare dell’indennità in un importo pari ad una mensilità dell’ultima retribuzione. Ne abbiamo parlato ampiamente nell’articolo indennità di licenziamento: cambia il metodo di calcolo.
Calcolo indennità per licenziamento illegittimo
Dopo gli interventi della Corte Costituzionale (che era già intervenuta sul Jobs Act nel 2018, dichiarando illegittimo lo stesso meccanismo di determinazione dell’indennità dovuta per i licenziamenti senza giusta causa o giustificato motivo) il giudice dovrà valutare tutti i fattori che, al di là della mera anzianità di servizio, hanno penalizzato il lavoratore nel caso concreto del licenziamento illegittimo che gli è stato intimato.
Ne risulta che ora il calcolo del risarcimento per licenziamento illegittimo dovrà tener conto di tutti questi elementi, dedotti dalla specifica situazione e che dovranno essere evidenziati al giudice per stabilire il corretto ammontare della somma.
Licenziamento illegittimo: quali danni sono risarcibili
La Corte di Cassazione [4] ha esaminato il caso di uno pseudo-dirigente bancario mobbizzato, che aveva richiesto il risarcimento del danno biologico consistente nella lesione psico-fisica provocata dal comportamento del datore che lo aveva licenziato illegittimamente per giusta causa. La Corte ha negato il riconoscimento di questa specifica voce di danno – che è distinta da quelle consimili del danno morale ed esistenziale – perché non era emerso l’intento persecutorio da parte dell’azienda.
Nel mobbing, infatti, hanno rilevato gli Ermellini, occorre uno specifico «intento lesivo» che nella fattispecie non è stato ravvisato: il lavoratore era stato sottoposto ad una «normale indagine ispettiva» che preludeva all’azione disciplinare, poi esercitata dal datore, il quale aveva agito nell’ambito dei suoi poteri senza porre in essere alcuna condotta vessatoria. Quindi, pur essendo stato ritenuto illegittimo il licenziamento per la mancanza di una giusta causa, non è stato riconosciuto dal Collegio il danno biologico lamentato e richiesto dal lavoratore.
Tutto ciò a dimostrazione del fatto che, pur in presenza di licenziamenti illegittimi, la concreta varietà dei casi e le differenze tra i pregiudizi soggettivi patiti dai lavoratori colpiti possono comportare – come la Corte Costituzionale ha evidenziato – una differenza nel trattamento risarcitorio, che dovrà tener conto delle specifiche situazioni.
Licenziamento illegittimo: approfondimenti
Per un riepilogo e un approfondimento di quanto abbiamo esposto in una materia che, come avrai notato, è in continua evoluzione, anche per l’apporto di incisivi interventi giurisprudenziali, leggi anche l’articolo licenziamento illegittimo: quanto spetta di risarcimento e la rassegna “Licenziamento illegittimo: ultime sentenze“.
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