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Riposo dal lavoro: tutto ciò che bisogna sapere

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(@paolo-remer)
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A quante ore e giornate libere hanno diritto i lavoratori dipendenti: normativa, tutele in caso di violazione e casi pratici.

Il riposo è un diritto fondamentale di ogni lavoratore: serve a garantire il necessario recupero delle energie psicofisiche dopo lo svolgimento delle attività lavorative. Per questo motivo la normativa vigente prevede dei severi limiti, che i datori di lavoro devono rispettare, per garantire ai propri dipendenti il dovuto riposo dal lavoro. In questo articolo ti spiegheremo tutto ciò che bisogna sapere riguardo alle varie tipologie di riposo giornaliero, settimanale e compensativo, anche nel caso di svolgimento di turni lavorativi prolungati o di reperibilità.

In questo modo potrai sapere precisamente a quante ore e giornate libere hai diritto, o – se sei tu il datore di lavoro – quali periodi liberi devi attribuire ai tuoi dipendenti subordinati, in modo da stabilire una turnazione adeguata degli orari senza violare la legge. Ti diremo anche a cosa va incontro chi non rispetta queste regole.

Orari di lavoro e periodi di riposo: l’alternanza

Premettiamo che la legge [1] definisce orario di lavoro «qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni»: pertanto, i periodi di riposo devono esulare da tale ambito e rimanere completamente liberi da qualsiasi incombenza lavorativa, in modo da costituire un riposo vero e pieno, altrimenti verrebbe snaturata e compromessa la funzione di questo arco di tempo ristoratore.

In tal senso deve essere garantita la necessaria e costante alternanza tra orari di lavoro e periodi di riposo, e ciò avviene concretamente nei modi che adesso ti illustriamo.

Riposo giornaliero

Il riposo giornaliero è il periodo di tempo minimo di “non lavoro” che deve intercorrere tra due giornate lavorative o tra due turni successivi.

In base alla normativa vigente sull’organizzazione degli orari di lavoro [2], tutti i lavoratori dipendenti, a tempo pieno o parziale, e indipendentemente dalla durata normale del loro orario settimanale, hanno diritto ad almeno 11 ore di riposo consecutivo ogni 24 ore. Ad esempio, se si inizia a lavorare alle 8 del mattino, bisogna considerare le 24 ore precedenti, durante le quali bisogna aver garantito 11 ore di riposo continuative, altrimenti il diritto al riposo è violato. In pratica, un dipendente può svolgere la propria attività lavorativa per non più di 13 ore al giorno.

Il riposo giornaliero deve essere di almeno 11 ore consecutive

Tuttavia questo limite orario  minimo – e dunque la consecutività del riposo – può subire delle deroghe in alcuni specifici casi: ad esempio per le attività caratterizzate da periodi di lavoro frazionati durante la giornata (nel qual caso il riposo minimo tra un turno e l’altro deve essere di almeno due ore consecutive), o quando i turni sono caratterizzati da regimi di reperibilità e di pronta disponibilità. In particolare, la reperibilità rientra nell’orario di lavoro – e pertanto non vale come riposo – quando comporta l’obbligo del lavoratore di presentarsi, su chiamata, in tempi ristretti sul posto di lavoro e ciò gli impedisce di godere appieno del suo tempo libero dedicandolo alle proprie esigenze personali.

Comunque, anche quando sono previsti più turni quotidiani, l’intervallo tra un turno e il successivo deve rispettare il limite di 11 ore di riposo consecutive, e dunque non è possibile stabilire un doppio turno nella stessa giornata se tra l’orario finale del primo e l’inizio del secondo intercorrono meno di 11 ore, a meno che il contratto collettivo nazionale di lavoro applicabile al comparto non preveda casi specifici di deroga, come la sostituzione improvvisa di un lavoratore assente che doveva subentrare, o eccezionali esigenze produttive.

Il riposo quotidiano deve essere pieno ed effettivo, per consentire al lavoratore di “staccare la spina” davvero: perciò, come ha stabilito la Corte di Giustizia Europea, la semplice pausa dal lavoro non vale come riposo, in quanto in tale periodo il lavoratore continua a rimanere alle dipendenze del datore, e spesso trascorre tale tempo in azienda o in ufficio senza potersi allontanare troppo. Pertanto la pausa non può essere conteggiata nelle ore di recupero psico-fisico garantite dal risposo.

Riposo settimanale

Il riposo settimanale deve essere per legge [2] Art. 9 D.Lgs. n. 66/2003 di almeno 24 ore consecutive: dunque deve essere garantita almeno una giornata completamente libera dal lavoro nell’arco di una settimana, o, più precisamente, dopo sette giorni di lavoro espletato.

Tuttavia questo diritto al riposo settimanale viene interpretato in maniera piuttosto flessibile: in linea generale, il giorno di riposo settimanale coincide con la domenica – lo prevede l’art. 2109 del Codice civile – ma in moltissimi casi (si pensi a supermercati, farmacie, ristoranti, che sono aperti anche nei giorni festivi) può essere stabilito in un qualsiasi altro giorno della settimana, in base alle esigenze organizzative del datore di lavoro.

In tali situazioni, però, è essenziale che il riposo settimanale non usufruito di domenica venga effettuato entro la settimana successiva. Infatti, in via eccezionale, il riposo settimanale può essere calcolato come media in un periodo non superiore a 14 giorni. Maggiori dettagli in “Riposo settimanale: come si calcola?“.

In ogni caso, il riposo settimanale va cumulato con quello giornaliero, e dunque le 24 ore piene di riposo ogni sette giorni non possono essere assorbite dalle 11 ore di riposo quotidiano, o sovrapporsi ad esse. Invece la giornata di riposo settimanale può aggiungersi, in prosecuzione, alle ore di riposo giornaliero previste, così arrivando ad totale di 35 ore completamente libere dal lavoro.

Riposo compensativo

Il riposo compensativo – talvolta chiamato anche «riposo recupero» – è il periodo di riposo che spetta al lavoratore che ha prestato lavoro in un giorno festivo della settimana e non ha potuto usufruire del riposo settimanale. I riposi compensativi sono previsti dai contratti collettivi anche per compensare le prestazione lavorativa svolte per un tempo superiore rispetto all’orario ordinario previsto, più l’eventuale straordinario ed anche il lavoro svolto in orario notturno (dalle 22,00 alle 06,00, o talvolta dalle 23,00 alle 07,00).

Pertanto, se un lavoratore ha svolto del lavoro straordinario senza ricevere la maggiorazione retribuita, oppure non ha usufruito del riposo settimanale, ha diritto a dei riposi compensativi per il periodo di tempo corrispondente. In pratica, e tenuto conto delle peculiarità del riposo settimanale che, come abbiamo visto, può essere differito sino a due settimane, se lavori 14 giorni consecutivi hai diritto a 2 giorni di riposo compensativo.

Quanto alle modalità di riconoscimento e di fruizione, la normativa italiana, integrata dalla contrattazione collettiva per ciascun comparto, stabilisce che il riposo compensativo deve essere di  24 ore consecutive, da usufruire, di regola, entro i 15 giorni successivi a quello di maturazione del diritto. In alcuni casi, e secondo le apposite previsioni contenute nei Ccnl, il riposo compensativo può essere sostituito con un’indennità pari alla retribuzione giornaliera del lavoratore (aumentata per il lavoro in giorno festivo), più gli emolumenti spettanti per il lavoro notturno, se espletato in tali orari. Leggi anche “Lavoro festivo e riposo compensativo: come funziona?“.

Violazione del diritto al riposo: sanzioni

Il lavoratore che non riceve il riposo giornaliero, settimanale o compensativo a cui ha diritto può presentare un formale reclamo al datore di lavoro, anche con l’assistenza del proprio avvocato o del sindacato. Se il reclamo non viene accolto, il lavoratore può rivolgersi, a sua scelta, all’Ispettorato del lavoro (tutela amministrativa) o al Tribunale del Lavoro (tutela giudiziaria).

Va evidenziato che, in caso di violazione dei diritti al riposo, il datore di lavoro è soggetto a sanzioni amministrative e, nei casi più gravi, anche a sanzioni penali per sfruttamento illecito di manodopera, previa denuncia all’Autorità giudiziaria da parte del lavoratore stesso, dell’Ispettorato del lavoro o delle forze di Polizia che hanno riscontrato le violazioni.

Le sanzioni amministrative pecuniarie vengono comminate dall’Ispettorato del lavoro e consistono in una multa da 1.500 a 7.500 euro per ogni lavoratore e giornata di riposo compromessa. C’è una consistente maggiorazione di pena se la violazione riguarda più di 5 o più di 10 lavoratori e si verifica in modo prolungato per più periodi; in tali casi non è previsto neppure il pagamento in misura ridotta.

Riposo negato al lavoratore: risarcimento danni 

Inoltre, il lavoratore al quale è stato negato il diritto al riposo può chiedere il risarcimento dei danni subiti, sia patrimoniali sia non patrimoniali, derivatigli in conseguenza del fatto illecito: in particolare, ci può essere una significativa lesione della salute e del benessere psico-fisico, che quando diventa perdurante e particolarmente grave – come nel caso di riposi sistematicamente non concessi e dunque non fruiti – assume la denominazione di “danno da usura psicofisica” .

L’ammontare di questi danni alla persona viene solitamente liquidato dal giudice in via equitativa, sulla base di una perizia medico-legale compiuta sul lavoratore interessato, e vengono riconosciuti anche i danni morali ed esistenziali conseguenti, ad esempio il pregiudizio alla vita sociale e di relazione dovuti al fatto di aver dovuto dedicare al lavoro un tempo eccessivo.

Ti spieghiamo l’iter dettagliato da seguire per ottenere questo ristoro economico, analizzando una pronuncia della Corte di Cassazione, in “Riposo negato ai dipendenti: quale tutela?”.

Approfondimenti

Per ulteriori informazioni e casi specifici, leggi anche:

 
Pubblicato : 10 Marzo 2024 08:15