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Rinuncia al mantenimento: che valore ha?

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(@angelo-greco)
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Rinunzia in sede di separazione personale all’assegno di mantenimento e diritto all’assegno di divorzio.

Potrebbe l’ex moglie che, all’atto della separazione ha rinunciato all’assegno di mantenimento, chiederlo successivamente al divorzio? E se in cambio di tale rinuncia ha ricevuto una somma di denaro o un immobile? La questione è stata spesso affrontata dalla giurisprudenza e dalla stessa Cassazione. Ci si è spesso chiesti cioè che valore ha la rinuncia al mantenimento se fatta nell’ambito di una procedura di separazione consensuale e se questa possa avere valore anche in sede di divorzio o se, invece, sia suscettibile di “ritrattazione”. Cerchiamo di fare il punto della situazione e di vedere come si orientano i giudici a riguardo.

Il principio affermato dalla Cassazione è il seguente: il giudizio di separazione e quello di divorzio sono tra loro autonomi (anche se, con la Riforma Cartabia entrata in vigore nel 2023, essi possono scaturire da un’unica domanda giudiziale). Tale autonomia determina anche una distinta valutazione dei presupposti da parte del giudice. 

Questo fa sì che le domande presentate in sede di divorzio non risentano delle concessioni fatte in sede di separazione. Risultato pratico è che, ad esempio, se l’ex moglie rinuncia all’assegno di mantenimento nell’ambito di una procedura di spedizione consensuale può ben poi chiedere l’assegno divorzile nel successivo giudizio di divorzio. A tanto è arrivata anche una recente pronuncia del tribunale di Bologna che si riporta qui sotto [1]. Secondo i giudici emiliani, dinanzi all’eventuale richiesta di assegno divorzile presentata dall’ex coniuge, il giudice non può essere vincolato dagli accordi delle parti stretti al momento della separazione ma deve fare una autonoma valutazione dei presupposti per la sussistenza del diritto all’assegno stesso. Presupposti che, appunto, devono pur sempre sussistere, non bastando la semplice istanza del richiedente. 

E proprio a riguardo dei presupposti, la Cassazione ha ribaltato i tradizionali criteri con due pronunce emesse tra il 2017 e il 2018. In esse la Suprema Corte ha stabilito che:

  • il diritto al mantenimento presuppone, non solo la disparità di reddito tra i due coniugi, ma anche la prova – che deve fornire il richiedente – dell’impossibilità di mantenersi da solo (sicché chi ha un reddito sufficiente a uno stile di vita decoroso non ha diritto al mantenimento);
  • tale disparità di condizioni economiche tra i coniugi deve essere il frutto di una scelta condivisa tra i coniugi stessi (ad esempio, la moglie che decide di sacrificare la propria carriera per badare alla famiglia) o di una oggettiva impossibilità (ad esempio, una disabilità o un’età superiore a 50 anni tale da pregiudicare la possibilità di ottenere un posto di lavoro);
  • la misura dell’assegno divorzile non deve più essere proporzionata al tenore di vita che aveva la coppia al momento della separazione ma deve mirare a garantire al coniuge richiedente solo quanto necessario per mantenersi da solo (la cosiddetta autosufficienza economica);
  • in ogni caso, il coniuge che ha sacrificato la carriera per badare alla casa ha diritto a un mantenimento proporzionato al contributo offerto alla famiglia e quindi alla ricchezza conseguita dall’ex coniuge. 

Ritorniamo alla validità dell’accordo di rinuncia all’assegno di mantenimento. Secondo la giurisprudenza, tale accordo può ben essere travolto in sede di divorzio, se vi è apposita istanza di riconoscimento del contributo e sempre che sussistano i presupposti appena enunciati. 

Neanche l’eventuale donazione di una casa o l’attribuzione di una somma di denaro “una tantum”potrebbe cambiare le carte in tavola e rendere «irrevocabile» l’accordo stretto al momento della separazione. 

 
Pubblicato : 28 Marzo 2023 11:15