forum

Repêchage nel licen...
 
Notifiche
Cancella tutti

Repêchage nel licenziamento: cosa significa e come funziona?

1 Post
1 Utenti
0 Reactions
59 Visualizzazioni
(@angelo-greco)
Post: 3141
Illustrious Member Registered
Topic starter
 

Il licenziamento per motivi economici è nullo se il datore di lavoro non dimostra di aver prima tentato di adibire il dipendente a mansioni diverse da quelle soppresse.

Hai mai sentito parlare dell’obbligo repêchage nel contesto lavorativo? Si tratta di un termine che non troverai in alcuna legge, essendo una elaborazione della giurisprudenza, non per questo però meno vincolante. Ma in cosa consiste esattamente? Di fatto esso si traduce in un ulteriore motivo che ha il dipendente per contestare la risoluzione del rapporto di lavoro avvenuta per “giustificato motivo oggettivo”. Ma procediamo con ordine e vediamo cosa significa repêchage nel licenziamento e come funziona.

Cos’è il licenziamento per giustificato motivo oggettivo?

Non possiamo capire che significa repêchage se non ricordiamo in quali casi il datore di lavoro può procedere al licenziamento. Due sono le ipotesi:

  • licenziamento per motivi disciplinari collegati al comportamento del dipendente;
  • licenziamento per motivi economici o organizzativi dell’azienda.

Vediamole singolarmente.

Licenziamento disciplinare

Il licenziamento disciplinare dipende da una condotta dolosa o gravemente colpevole del dipendente, tale cioè da rompere definitivamente il rapporto di fiducia col datore. A seconda della gravità di tale condotta, si parla di:

  • licenziamento per giusta causa: ricorre in presenza di comportamenti massimamente gravi, tali cioè da non consentire la prosecuzione del rapporto di lavoro neanche per un giorno. Esso quindi avviene “in tronco” ossia senza preavviso;
  • licenziamento per giustificato motivo soggetto: ricorre per i comportamenti meno gravi. In tali ipotesi il rapporto prosegue solo per il periodo di preavviso. Tanto il datore quanto il dipendente possono rinunciare al preavviso interrompendo immediatamente il rapporto. Ma se ciò dipende dalla volontà del datore, questi deve versare al lavoratore una indennità pari alle mensilità che avrebbe altrimenti percepito in questo periodo “cuscinetto”.

Prima di intimare il licenziamento disciplinare, il datore deve avviare la procedura di contestazione. Che consiste in quattro fasi:

  • contestazione per iscritto al dipendente della condotta illecita;
  • concessione del termine di 5 giorni per presentare difese e/o chiedere di essere sentito di persona;
  • analisi delle difese del dipendente;
  • assunzione della decisione finale sulla eventuale sanzione disciplinare.

Licenziamento economico

Il licenziamento per motivi economici o organizzativi è invece detto licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Qui la causa dell’interruzione del contratto non dipende dal comportamento del lavoratore ma da esigenze aziendali che possono, ad esempio, coincidere con:

  • riduzione del personale;
  • soppressione della mansione;
  • cessione o cessazione del ramo d’azienda;
  • ottimizzazione dei fattori della produzione;
  • esternalizzazione delle mansioni;
  • situazione di crisi strutturale (non passeggera);
  • sostituzione del dipendente con robot o software;
  • incremento degli utili.

In questi casi non c’è bisogno del procedimento disciplinare proprio perché non c’è alcuna contestazione da sollevare. La legge quindi prevede solo l’obbligo di comunicazione del licenziamento con il preavviso previsto dal contratto collettivo nazionale.

Proprio in questo contesto si inserisce però l’obbligo di repêchage. Vediamo cos’è.

Cos’è l’obbligo di repêchage?

L’obbligo di repêchage obbliga il datore di lavoro a valutare, prima di procedere a un licenziamento per giustificato motivo oggettivo, se può riutilizzare il lavoratore in altre mansioni. In assenza di questa verifica, la cui prova deve essere fornita dal datore, il licenziamento è nullo.

Questa disposizione nasce dall’elaborazione giurisprudenziale e cerca di bilanciare l’efficienza aziendale con il diritto del lavoratore di mantenere il suo posto di lavoro.

La giurisprudenza italiana ha creato il concetto di repêchage per assicurare che il licenziamento sia l’ultima opzione, in linea con l’importanza data al lavoro dalla nostra Costituzione. Questa pratica vuole garantire che ogni possibile alternativa venga esplorata prima di licenziare un dipendente.

Tutti i lavoratori sono coperti da questo obbligo?

No, per la giurisprudenza, l’obbligo di repêchage non vale per i lavoratori classificati come dirigenti. Questo perché la loro posizione dirigenziale prevede una maggiore flessibilità nei termini di contratto.

Come funziona l’obbligo di repêchage?

Inizialmente, il repêchage imponeva al datore di lavoro di verificare solo la possibilità di adibire il dipendente amansioni equivalenti. Tuttavia, la giurisprudenza ha esteso la sua applicazione, suggerendo che, in assenza di mansioni equivalenti, il datore di lavoro dovrebbe offrire al lavoratore mansioni inferiori, purché rientrino nelle sue competenze. Il datore di lavoro non ha però l’obbligo di formare il lavoratore per nuove competenze. Inoltre il trattamento retributivo deve rimanere identico.

Il datore di lavoro deve creare un nuovo ruolo per soddisfare il repêchage?

No, la giurisprudenza è chiara: il repêchage si applica solo all’organizzazione aziendale già esistente. Il datore di lavoro non ha l’obbligo di creare una nuova posizione solo per soddisfare questo requisito. Tuttavia, deve valutare non solo le posizioni esistenti al momento del licenziamento ma anche quelle che, a breve, potrebbero liberarsi o essere create appositamente.

L’art. 2103 cod. civ., recentemente riformato, consente l’adibizione del dipendente a mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria legale delle ultime effettivamente svolte. Consente inoltre di assegnare mansioni riconducibili al livello di inquadramento inferiore, purché rientranti nella medesima categoria legale, in ipotesi di modifica degli assetti organizzativi aziendali che incida sulla posizione del lavoratore.

È previsto che il mutamento di mansioni, quando necessario, possa essere accompagnato dall’assolvimento dell’obbligo formativo, ma in mancanza non si determina la nullità dell’atto di assegnazione dell’occupazione.

Nei predetti casi di assegnazione a mansioni del livello inferiore, il lavoratore ha diritto a mantenere il livello e il trattamento retributivo in godimento, tranne per quanto concerne gli elementi connessi a particolari modalità di esecuzione delle precedenti mansioni.

Dunque, alla luce del nuovo comma 1 dell’art. 2103 cod. civ., i confini dell’obbligo di repêchage sono ampliati sino a comprendere le mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria di inquadramento; il concetto di “equivalenza” delle mansioni è stato superata (Trib. Milano, 16 dicembre 2016, n. 3370; Trib. Roma 24 luglio 2017).

Seguendo il principio del «male minore», la giurisprudenza ritiene che il datore di lavoro è tenuto, in mancanza di mansioni dello stesso livello e di quello immediatamente inferiore, a proporre al dipendente l’adibizione a mansioni inferiori di più di un livello eventualmente esistenti. Il tutto però sempre che le nuove mansioni rientrino nel bagaglio professionale del lavoratore (Trib. Roma 24 luglio 2017, cit.; Trib.Trapani 16 gennaio 2018; Trib. Firenze 20 luglio 2021, n. 545, cit.).

Conclusione

Il concetto di repêchage rappresenta una salvaguardia per i lavoratori, cercando di garantire che il licenziamento sia sempre l’ultima opzione possibile. Seppur non previsto da alcuna norma di legge, oggi si ritiene tale adempimento come un obbligo per ritenere valido il licenziamento per motivi economici.

La prova di aver tentato il repêchage spetta al datore. Il dipendente non è tenuto a indicare al giudice le mansioni alle quali poteva essere adibito (in conformità del principio di “vicinanza della prova”, essendo tali dati noti solo al datore). Tuttavia si richiede quantomeno un’indicazione generica da parte dello stesso lavoratore.

 
Pubblicato : 18 Ottobre 2023 10:30