forum

Reato di spaccio: c...
 
Notifiche
Cancella tutti

Reato di spaccio: che valore hanno le intercettazioni?

1 Post
1 Utenti
0 Reactions
80 Visualizzazioni
(@gianluca-scardaci)
Post: 73
Estimable Member Registered
Topic starter
 

La valenza della “droga parlata”: attenzione a credere che non siano necessari riscontri obiettivi per fondare la colpevolezza al di là del ragionevole dubbio del reato di spaccio di sostanze stupefacenti.

Spesso, nei procedimenti penali instaurati a seguito della contestazione del reato di spaccio, si assiste a sentenze di condanna fondate su prove diverse da quelle legate al sequestro della droga o alla perizia sulla sostanza stupefacente. Si ritiene infatti che la prova del delitto in questione sia ravvisabile in altri elementi, quali ad esempio quelli legati alle intercettazioni telefoniche o ambientali. Di qui, sovente ingiustamente, si perviene a forzate sentenze di condanna e ci si chiede quale sia la valenza della “droga parlata”.

Qual è il tema?

Quello della droga parlata, ossia della prova del coinvolgimento nel reato di spaccio attraverso il contenuto delle intercettazioni telefoniche e ambientali, è un argomento che viene in rilievo in molteplici occasioni. I soggetti vengono messi sotto processo non perché sono colti con la droga addosso, ossia in flagranza di reato, o perché vengono sorpresi nell’atto di cessione delle sostanza, ma perché incastrati dalle intercettazioni, attraverso le quali, secondo la ipotesi accusatoria, viene utilizzato un linguaggio definito criptico che non lascia scampo agli interlocutori. Il problema è che l’intercettazione, per essere ritenuta sufficiente a fondare una sentenza di condanna, deve essere chiara, perfettamente decifrabile e priva di equivoci.

Cosa si intende per chiarezza della intercettazione?

Occorre che gli interlocutori parlino espressamente di droga, di prezzo per ogni grammo, di viaggi in qualche località per ritirare un pacco; tutte espressioni che non lasciano dubbi circa la responsabilità dell’indagato o dell’imputato. Altrimenti il rischio è di fondare una sentenza di condanna sulla base di una forzatura.

Cosa succede se si parla di droga ma questa non viene rinvenuta?

I pregiudizi legati a vicende giudiziarie fondate esclusivamente e superficialmente sul contenuto di intercettazioni telefoniche o ambientali sono molteplici e di varia natura, e il più delle volte incidono in maniera preponderante sulle pene applicate. Essi riguardano, per esempio, la mancanza di certezza circa il tipo di droga spacciata. E non è proprio un aspetto irrilevante. Basti considerare infatti, tanto per rimanere alle ipotesi più classiche, che un conto è lo spaccio di sostanze stupefacenti del tipo marijuana o hashish, un altro è quello legato alla vendita di cocaina. Si tratta di droghe, la cui illecita commercializzazione comporta pene di tipo diverso, da sei a venti anni per la cocaina, da due a sei anni per la marijuana. Le intercettazioni, chiamate criptiche, ossia legate a nomi convenzionali, spesso di natura neutra, non offrono alcuna certezza del tipo di droga trattata, per cui, in assenza di sequestri o dichiarazioni specifiche sul punto, è difficile muovere una contestazione, così come è difficile difendersi o scegliere una strategia difensiva utile. Sovente si sottovaluta tale circostanza e spesso i pubblici ministeri formulano la contestazione o sulla base di ciò di cui si convincono, per quanto gli atti non chiariscano il dubbio, o in via alternativa, lasciando poi al dibattimento di chiarire tale aspetto. Il problema è che una difesa adeguata deve essere basata su una contestazione che esprima con certezza del tipo di droga di cui si tratta. Ne va della scelta del rito da chiedere, un giudizio abbreviato che offre determinati incentivi, o un dibattimento se nel frattempo si vogliono chiarire altri punti oscuri.

Un secondo limite connesso ad una vicenda nella quale l’unica prova è costituita dal contenuto delle intercettazioni risiede nel tipo di reato contestato. Le intercettazioni di natura criptica infatti non sempre evidenziano le posizioni del compratore e del venditore, con la conseguenza che non di rado vengono identificati tutti come possibile venditori e, qualora siano tre o più, possono trovarsi coinvolti in procedimenti penali come imputati non solo del reato di spaccio ma anche del delitto di associazione finalizzata allo spaccio, anche in questo caso con notevoli differenze in punto di pena. Esattamente come nella ipotesi da ultimo descritta, il Pubblico ministero ritiene di imputare tutti della imputazione più grave, lasciando che sia poi il processo a chiarire le distinte posizioni, e soprattutto quelle riguardanti la figura del compratore, che chiaramente non è equiparabile a quella del venditore e non può venire coinvolto quale imputato; sempre che, è bene evidenziarlo, non sia frattanto sottoposto all’applicazione di una ingiusta misura cautelare.

Ultimo limite legato alla “droga parlata” è relativo al luogo del commesso reato. Anche ad accedere e superare i precedenti problemi, infatti, non è da sottovalutare quello riguardante il territorio su cui è stato commesso il fatto, che poi, spesso, è quello sul quale risiede l’autorità giudiziaria competente.

Le intercettazioni hanno riguardo a interlocuzioni che avvengono tra soggetti che si trovano in luoghi di diversi, i cui posti di approvvigionamento sono difficili da individuare ma che rivestono una grandissima importanza sia per i territori in cui si ricerca la prova sia per ciò che concerne le modalità difensive.

In assenza di un sequestro e quindi del punto di ritrovamento della droga, anche in questo caso la Procura che avvia le indagini cerca di rintracciare il luogo del commesso reato dal contenuto delle interlocuzioni, anche in questo caso non attribuendo alcuna rilevanza a questo dato. Il problema è che oggi, fortunatamente, alla luce della riforma Cartabia, la questione della competenza riveste grande importanza e va eccepita come questione preliminare, investendo, ove necessario, la Corte di cassazione. Ciò, oltre a determinare una garanzia in punto di ricerca della prova, consentirà alla difesa di un soggetto estraneo ai fatti, di venire in possesso di elementi utili al fine di ragionare sul tipo di strategia da affrontare.

Conclusioni

La giurisprudenza, attenta, come sempre, a salvaguardare la ipotesi accusatoria, è incline a giustificare la sentenza di condanna basata sul solo contenuto delle intercettazioni telefoniche o ambientali, salvo poi, imporre ipocritamente, semplicisticamente e in maniera contraddittoria rispetto alla premessa, di motivare in modo più stringente una sentenza di condanna che non si fondi anche su altri, imprescindibili, elementi quali la perquisizione o il sequestro. Il problema è che per quanto i giudici di merito si sforzino di motivare sul punto e seguano gli orientamenti dominanti, il più delle volte si assiste alla emissione di sentenze di condanna ingiuste, che sfuggono a un adeguato accertamento processuale e che in gergo tecnico vengono definite sentenze dalla motivazione apparente. È bene pertanto pretendere che la imputazione sia correttamente motivata, che si stia attenti a trascrivere per intero le intercettazioni e a non accontentarsi semplicemente delle relative sintesi, chiamati tecnicamente brogliacci, al fine di rintracciare la strategia processuale adeguata. Altrimenti si corre il rischio di non superare i limiti sopra descritti e di venire condannati sulla scorta di una sentenza che non supererà mai il ragionevole dubbio, in relazione al quale, al contrario, si imporrebbe una sentenza di assoluzione.

 
Pubblicato : 22 Febbraio 2024 20:00