Reato continuato: la ludopatia è come la tossicodipendenza?
Il vizio del gioco d’azzardo può essere considerato una patologia mentale in grado di rendere l’imputato incapace di intendere e di volere?
Perché una persona possa essere condannata penalmente occorre che abbia commesso il reato mentre era capace di intendere e di volere, cioè quando era nel possesso delle sue facoltà mentali. In caso contrario, il reo non è imputabile oppure, se era solo parzialmente incapace, ha diritto a una riduzione della pena finale in caso di condanna. È in questo contesto che si pone il problema della ludopatia e dei reati commessi per pagare i debiti di gioco contratti a causa della propria patologia.
Ma non solo. La legge dice anche che se la stessa persona, in un ridotto lasso di tempo, ha commesso più reati mosso dallo stesso intento, ha diritto all’applicazione della cosiddetta “continuazione dei reati”, in base alla quale non si applicano tante pene quanti sono i crimini compiuti, bensì se ne applica solo una (quella prevista per il reato più grave) aumentata fino al triplo.
Si pensi al drogato che, per procurarsi lo stupefacente, prima ruba un coltello e poi, con l’arma, commette una rapina per procurarsi i soldi necessari all’acquisto della sostanza.
Il ludopatico può invocare a proprio vantaggio l’applicazione della continuazione dei reati, ottenendo così un trattamento sanzionatorio più mite? La ludopatia è come la tossicodipendenza? Sul punto si è recentemente espressa la giurisprudenza. Analizziamo la questione.
Che cos’è la ludopatia?
La ludopatia è la dipendenza dal gioco d’azzardo.
Ufficialmente riconosciuta come una patologia a tutti gli effetti, curata dal servizio sanitario nazionale, si caratterizza per essere un disturbo del controllo degli impulsi che porta a una crescente perdita di controllo nei confronti del gioco d’azzardo.
Da un certo punto di vista, essa è equiparabile alla tossicodipendenza e all’alcolismo. Nei limiti di cui parleremo a breve, però.
La ludopatia è un vizio di mente penalmente rilevante?
Secondo la Corte di Cassazione [1], la ludopatia può essere considerata un vizio di mente in grado di escludere o, quantomeno, di ridurre la capacità d’intendere e di volere, purché si tratti di disturbo di consistenza, intensità e gravità tale da incidere concretamente sulla capacità del reo, escludendola o diminuendola grandemente, sempreché ci sia un nesso con la condotta criminosa.
Carlo, affetto da ludopatia, commette un furto in un supermercato per poi spendere immediatamente tutto quello che ha rubato giocando alle slot machine.
Secondo la giurisprudenza, quindi, la ludopatia ha rilevanza nel diritto penale soltanto se essa costituisce una vera e propria patologia conclamata, in grado di incidere sulle capacità mentali del soggetto che ha infranto la legge, sempreché il reato sia ricollegabile alla malattia.
Non è rilevante la ludopatia in un soggetto che ha commesso il reato di violenza sessuale.
La ludopatia rileva ai fini della continuazione del reato?
Come anticipato in premessa, quando si commettono più reati per perseguire lo stesso scopo, la pena viene commisurata considerando solamente quella prevista per il crimine più grave, aumentata fino al triplo (così l’articolo 81 del codice penale).
Tizio ruba una pistola, la porta con sé in strada e dopo la utilizza per una rapina. Il giudice gli applicherà la pena prevista per la rapina (reato più grave), aumentata fino al triplo.
Secondo la Corte di Cassazione [2], la ludopatia non giustifica la continuazione dei reati e, di conseguenza, il trattamento sanzionatorio più mite che da esso deriva.
Per i supremi giudici, è escluso che siano avvinti dalla continuazione i reati contro il patrimonio (furti, rapine, truffe, ecc.) compiuti dall’imputato che si è indebitato con gli usurai per pagarsi il vizio del poker, della roulette o delle slot machine.
E ciò benché oggi la dipendenza dal gioco d’azzardo sia curata dal servizio sanitario come una vera e propria malattia.
Il reato continuato, infatti, può essere riconosciuto soltanto quando c’è l’unicità del disegno criminoso, che sussiste quando nella mente del reo c’è un programma di violazioni della legge penale.
In buona sostanza, per esserci continuazione occorre che fin dalla consumazione del primo reato devono essere già individuati tutti i successivi, almeno nelle connotazioni fondamentali.
La ludopatia è come la tossicodipendenza?
Secondo la Corte di Cassazione, non è possibile affermare che la ludopatia, sebbene riconosciuta come una patologia a tutti gli effetti, possa essere equiparata alla tossicodipendenza ai fini della rilevanza del reato continuato.
Infatti, mentre la giurisprudenza riconosce oramai da tempo che la dipendenza da sostanze stupefacenti possa giustificare l’applicazione della continuazione tra più reati commessi anche a distanza tra loro, tanto non è stato ancora fatto con la ludopatia, la quale quindi non consente di beneficiare del trattamento sanzionatorio più favorevole tipico del reato continuato.
Per ciò che riguarda l’accostamento della ludopatia alla tossicodipendenza dal punto di vista del vizio di mente, anche in questo caso non possiamo parlare di una vera equiparazione, in quanto la ludopatia è sostanzialmente indifferente ai fini della determinazione dell’imputabilità o della pena, salvo i casi (eccezionali) in cui essa sia talmente grave da rendere il soggetto totalmente o parzialmente incapace.
La tossicodipendenza, invece, è prevista direttamente dal codice penale [3], secondo cui:
- quando è abituale oppure preordinata alla commissione di un reato, costituisce un’aggravante;
- se invece è cronica, tale da considerarsi una patologia a tutti gli effetti, allora è equiparata a un vizio (parziale o totale) di mente, in grado pertanto di incidere sull’imputabilità del soggetto o quantomeno sulla pena.
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