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Quanto tempo si ha per denunciare il lavoro in nero?

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(@angelo-greco)
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Termini per fare causa all’azienda per rapporto di lavoro irregolare: le azioni a tutela dei diritti del dipendente. 

La legge consente al dipendente di denunciare il lavoro in nero entro un lasso di tempo molto ampio, ben oltre la cessazione del rapporto di lavoro. Ciò onde evitare che il timore di una ritorsione possa impedire l’esercizio dei diritti durante l’esecuzione del contratto. A tal fine è necessario intraprendere un giudizio civile dimostrando lo svolgimento dell’attività subordinata, le mansioni e l’orario. Inoltre se il rapporto irregolare si è svolto sotto minaccia di licenziamento è possibile passare al penale: con una recente sentenza, la Cassazione ha detto che i termini per la querela decorrono dalla data di risoluzione del rapporto. Ma procediamo con ordine e vediamo, più nel dettaglio, quanto tempo si ha per denunciare il lavoro in nero. 

Qui di seguito vedremo quando è possibile fare causa al proprio datore di lavoro, sia per recuperare le differenze retributive, i contributi, gli straordinarie, le ferie non godute e il TFR, sia per contestare eventuali comportamenti prevaricatori e ricattatori. 

Attenzione però: seppur nel gergo tecnico si usa dire “denunciare il lavoro in nero” ciò non significa che l’azione da intraprendere sia di tipo penale. Non è cioè possibile rivolgersi ai carabinieri, alla polizia o alla Procura della Repubblica. Salvo rare eccezioni, infatti, l’impiego di mano d’opera irregolare (senza cioè le dovute comunicazioni ai centri per l’impiego) costituisce un illecito civile e non penale. Sicché, anche in questo caso, l’unica azione che si può svolgere è dinanzi a un ordinario tribunale per ottenere una condanna al pagamento delle somme dovute. Ma procediamo con ordine.

Come fare causa per il lavoro in nero?

Per recuperare uno stipendio non pagato, il dipendente regolare deve solo dimostrare l’esistenza del rapporto di lavoro (con il relativo contratto, la lettera di assunzione, la CU o qualsiasi cedolino), limitandosi ad eccepire il mancato versamento delle somme contestate. In tal modo egli potrà ottenere dal giudice un decreto ingiuntivo da notificare all’azienda con intimazione al pagamento entro 40 giorni. 

Le cose si complicano se il rapporto è irregolare. Difatti, dinanzi a un contratto di lavoro in nero è onere del lavoratore fornire al giudice, innanzitutto, la prova dello svolgimento di un’attività di lavoro subordinato o parasubordinato. Egli, a tal fine, dovrà preoccuparsi di raccogliere testimonianze e documentazioni da cui evincersi l’esistenza di un rapporto dipendente (full time o part time), le mansioni svolte e l’orario da lui stato rispettato, eventuali straordinari e ferie non godute. 

Proprio per la necessità di tale articolata fase istruttoria, il dipendente in nero non può chiedere un decreto ingiuntivo contro l’ex datore di lavoro (il decreto ingiuntivo infatti presuppone una prova scritta certa del credito) ma dovrà avviare un regolare processo civile, sicuramente più lungo. A tal fine potrà rivolgersi al proprio avvocato di fiducia o a quello del sindacato a cui è iscritto. 

Scopo del giudizio è far accertare l’esistenza dello svolgimento dell’attività lavorativa per poi ottenere una condanna al pagamento delle differenze retributive, dei contributi e del TFR, dell’indennità di mancato preavviso se il rapporto di lavoro è cessato in tronco.

Quanto tempo c’è per fare causa per lavoro in nero?

Sia nel caso di lavoro regolare che “in nero”, la legge lascia un ampio margine di tempo al dipendente per fare causa all’azienda e rivendicare i propri diritti. Egli infatti ha cinque anni decorrenti dalla cessazione del contratto di lavoro. Il legislatore infatti ritiene che far partire il calcolo dei termini durante lo svolgimento del rapporto lavorativo potrebbe impedire al dipendente di agire in giudizio per timore di ritorsioni.  

È del tutto irrilevante peraltro che la cessazione del contratto sia intervenuta per licenziamento, per dimissioni volontarie o per giusta causa o, infine, per risoluzione consensuale del contratto di lavoro. 

Non importa dunque quanto tempo è durato il rapporto di lavoro. È infatti solo dalla sua risoluzione che inizia a decorrere il quinquennio relativo alla prescrizione dei diritti del lavoratore. 

Tanto per fare un esempio, un dipendente che per trent’anni ha svolto attività lavorativa al servizio di un’azienda senza mai ricevere il pagamento degli straordinari potrà, entro cinque anni dalla cessazione del contratto di lavoro, agire contro l’ex datore.

Allo stesso modo, un lavoratore in nero che, per anni, ha accettato tale condizione, quietanzando il pagamento degli stipendi ricevuti in contanti, può fare causa per il riconoscimento dei suoi diritti (differenze retributive, ferie, TFR, ecc.) entro cinque anni da quando si è dimesso o è stato licenziato.

Come segnalare il lavoro in nero?

Si può denunciare il lavoro in nero all’INPS o all’Ispettorato territoriale del lavoro che avvierà le relative indagini e applicherà le sanzioni. Prima dell’avvio della procedura, l’Ispettorato convocherà le parti al fine di tentare una soluzione bonaria della vertenza.

Il dipendente in nero può anche agire direttamente in tribunale a mezzo del proprio avvocato di fiducia o di quello messo a disposizione dal sindacato.

Quanto tempo c’è per denunciare il datore di lavoro?

Ci sono numerosi casi in cui il comportamento del datore di lavoro integra un reato, passibile di condanna penale. Si pensi al caso del datore che minacci i dipendenti di licenziamento se non accetteranno condizioni di lavoro deteriori rispetto a quelle previste dalla legge o trattamenti retribuitivi inferiori rispetto ai minimi contenuti nel contratto collettivo nazionale. In ipotesi del genere si configura il reato di estorsione. La parte lesa può sporgere querela presso la polizia entro tre mesi. Anche in tale ipotesi, il termine decorre dalla cessazione del rapporto di lavoro.

Un altro caso è quello del mobbing che integra il reato di maltrattamenti nei piccoli ambienti lavorativi, dove c’è un contatto diretto e quotidiano tra datore e lavoratore.

Proprio di recente la Cassazione (sent. n. 34775/2023), ha detto che il termine di prescrizione del reato di estorsione del datore di lavoro che dietro minaccia della perdita del lavoro sottopaga i propri dipendenti comincia a decorrere dalla cessazione del rapporto di lavoro illecitamente condotto. La consumazione del reato non coincide quindi con la minaccia o la violenza con cui il datore soggioga la volontà del lavoratore che accetta le inique condizioni di lavoro, generalmente l’essere sottopagato.

La Cassazione ricorda che il reato è plurioffensivo nel senso che attinge oltre alla sfera patrimoniale della vittima anche il suo interesse personale all’autodeterminazione e all’integrità fisica. Da cui deriva che le diverse lesioni a danno della vittima perdurano per tutto il tempo in cui l’illecito rapporto di lavoro resta in essere. Essendo quindi la condotta minacciosa del datore di lavoro mirata a estorcere oltre che un ingiusto profitto, anche un comportamento dei propri dipendenti asservito ai propri scopi, essa si profila come reato permanente. Per cui la consumazione del reato non può che farsi coincidere con la fine del rapporto di lavoro illecitamente imposto alla parte più debole della contrattazione.

 
Pubblicato : 25 Agosto 2023 06:00