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Quanto deve contribuire un figlio?

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(@angelo-greco)
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Quali sono i doveri dei figli nei confronti dei genitori? Il figlio deve dividere i guadagni con il padre e la madre?

Se, finché minorenne, il figlio deve sempre essere mantenuto dai genitori, una volta divenuto maggiorenne può accampare pretese economiche dai genitori solo se non è in grado di mantenersi da solo perché disoccupato o precario (fermo restando il suo obbligo di darsi da fare per rendersi al più presto indipendente).

Ma se il figlio dovesse guadagnare e tuttavia vivere ancora a casa dei genitori sarebbe tenuto a mantenerli o quantomeno a contribuire alle spese di casa? Ed in tal caso quanto deve contribuire un figlio? Potrebbero, ad esempio, i genitori obbligarlo a pagare le bollette della luce, del gas o la spesa quotidiana e, in caso contrario, mandarlo via di casa? Ecco cosa dice la legge.

Doveri del figlio convivente con i genitori

Fino a quando convive con la famiglia, anche il figlio maggiorenne ha il dovere di contribuire al mantenimento della famiglia stessa. A dirlo è la legge e, in particolare, l’articolo 315 bis del codice civile che fissa il cosiddetto principio della solidarietà familiare. Questo significa che il figlio deve partecipare al soddisfacimento dei bisogni sia materiali sia morali dei propri genitori: non solo aiutarli economicamente ma anche prendersi cura delle loro esigenze.

La norma recita nel seguente modo: «Il figlio deve rispettare i genitori e deve contribuire, in relazione alle proprie capacità, alle proprie sostanze e al proprio reddito , al mantenimento della famiglia finché convive con essa».

La legge si riferisce ai proventi dell’attività lavorativa eventualmente svolta dal figlio. Ma, da come è formulata la disposizione, si intuisce che tale dovere spetta anche al figlio che non lavora. Ed allora in che modo deve contribuire il figlio disoccupato e fino a quanto invece deve contribuire chi ha un lavoro?

Cerchiamo di capirlo più nel dettaglio.

Collaborazione del figlio convivente alle esigenze familiari 

Il codice civile impone al figlio di contribuire sia economicamente (riferendosi alle “sostanze” e al “reddito” del figlio) ma anche in base alle proprie capacità personali: tali capacità possono ad esempio consistere in attività lavorative, in prestazioni di collaborazione domestica o di assistenza familiare (a soggetti malati, disabili, anziani o minori di età).

Per chi lavora, l’obbligo consiste nel destinare una parte dei proventi derivanti dalla propria attività lavorativa ai bisogni della famiglia. A quanto ammonta quest’obbligo? Quanto deve contribuire il figlio alle esigenze dei genitori anziani? La legge non stabilisce né una cifra minima, né una percentuale. Tutto è da rapportarsi alle capacità, alle sostanze e al reddito del figlio.

Chiaramente l’obbligo di contribuzione sussiste solo per il figlio che decide di continuare a convivere con il padre e la madre. Cessando anche la convivenza, cessa anche l’obbligo di contribuzione. 

Ma anche il figlio non più convivente deve correre in soccorso dei genitori qualora questi dovessero un giorno trovarsi in gravi condizioni fisiche ed economiche, tali cioè da mettere a rischio la loro stessa sopravvivenza. In tal caso ogni figlio deve versare al padre e alla madre i cosiddetti “alimenti”, una somma cioè sufficiente a garantire loro il mangiare, le medicine e un tetto. Il tutto comunque in proporzione alle capacità economiche del figlio stesso. 

Che succede al figlio convivente che non aiuta i genitori?

L’articolo 315-bis del codice civile non pone una sanzione per il figlio che non aiuta i genitori con cui convive. Ma la reazione di questi potrebbe spingersi fino a mandarlo via di casa, senza perciò rischiare nulla. 

Viceversa, nel caso in cui il figlio non eroghi ai genitori gli alimenti, questi ultimi potrebbero agire contro di lui dinanzi al giudice e chiedere che venga emessa nei suoi riguardi una condanna al pagamento delle somme in questione. 

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Pubblicato : 10 Ottobre 2022 16:30