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Quanto costa impugnare le multe stradali: conviene davvero?

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(@angelo-greco)
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Contestare una multa stradale non sempre ha un costo elevato: con il ricorso al Prefetto o in autotutela la difesa è gratuita.

Una multa per divieto di sosta ammonta a circa 41 euro (82 euro se il parcheggio è su marciapiede): un importo che, per quanto basso, può essere odioso da pagare se la contravvenzione è errata o illegittima. In questi casi, seppur a malincuore, per ottenerne l’annullamento occorre ricorrere al Giudice di Pace. Ma a quale prezzo? Quando costa impugnare le multe stradali? Conviene davvero fare ricorso?

A dire il vero esiste più di una possibilità di vedersi annullare il verbale gratuitamente ma non tutti ne sono al corrente. Ecco perché è bene innanzitutto chiarire come si contesta la multa e quali sono le spese da affrontare.

Quali sono i modi per contestare una multa?

Esistono tre modi per contestare una multa stradale:

  • ricorso al Prefetto;
  • ricorso al Giudice di Pace;
  • ricorso in autotutela.

Ciascuno di questi mezzi presenta dei vantaggi e degli svantaggi. Solo però il ricorso al Giudice di Pace è a pagamento mentre gli altri due sono esenti da bolli e altre spese. A fronte però di tale gratuità, essi sono piuttosto incerti poiché la decisione non viene rimessa a un organo terzo e imparziale come appunto può essere solo la magistratura.

Vediamo singolarmente ciascuna di queste tre ipotesi e specifichiamo poi, con riferimento al ricorso al Giudice di Pace, quanto costa l’impugnazione.

Ricorso al Prefetto

Deve essere presentato entro 60 giorni dalla notifica del verbale.

Il ricorso è gratuito e non richiede la partecipazione a udienze. Può essere redatto direttamente dall’interessato senza l’assistenza di un avvocato.

Il ricorso può essere spedito:

  • alla polizia che ha elevato la multa e, in tal caso, la risposta del Prefetto dovrà intervenire entro 180 giorni;
  • direttamente alla Prefettura, e in tal caso la risposta dovrà intervenire entro 210 giorni.

Se entro tali termini il Prefetto non invia la comunicazione con l’esito del ricorso, lo stesso si considera accolto e il ricorso accettato. Si tratta di un notevole vantaggio che consente, a volte, di sfruttare l’inefficienza della Pubblica Amministrazione per vedersi annullare la multa stradale.

L’unico costo che sostiene in questo caso il ricorrente è costituito dalle spese postali ossia dal prezzo della raccomandata a.r. che tuttavia potrà evitare inviando il ricorso tramite PEC.

Gli svantaggi di questo tipo di ricorso sono due:

  • la decisione è rimessa a un organo della Pubblica Amministrazione che, in quanto tale, potrebbe essere orientato a prendere decisioni favorevoli a quest’ultima. Proprio per questo tale ricorso va preferito solo quando i vizi sono evidenti e non richiedono interpretazioni di norme;
  • in caso di rigetto del ricorso, il trasgressore viene condannato a pagare il doppio della sanzione originaria. Tuttavia tale ordinanza del Prefetto può essere contestata, nei successivi 30 giorni, innanzi al Giudice di Pace.

Ricorso al Giudice di Pace

Deve essere presentato entro 30 giorni dalla notifica del verbale.

Il ricorso al Giudice di Pace è a pagamento. Bisogna versare il contributo unificato che è proporzionato al valore della multa. Si tratta di una sorta di tassa per l’accesso alla giustizia che, a volte, rende antieconomico il ricorso.

Il ricorso al Giudice di Pace non ha termini di definizione oltre i quali lo stesso si ritiene accolto, come nel caso del Prefetto. La causa quindi potrebbe durare anche anni.

Non è necessaria l’assistenza dell’avvocato per multe fino a 1.100 euro.

Bisogna partecipare alle varie udienze e rispettare le regole della procedura civile.

In caso di rigetto del ricorso, il giudice non può aumentare la sanzione come invece fa il Prefetto.

Ricorso in autotutela

Si tratta della richiesta di annullamento della multa inoltrata direttamente all’organo che l’ha emessa (ad esempio la municipale), in carta semplice o con PEC. Non ci sono termini da rispettare per la presentazione del ricorso.

Non è però un vero e proprio ricorso ma un modo per consentire alla Pubblica Amministrazione di tutelare i propri interessi e annullare un atto illegittimo che, altrimenti, le potrebbe costare la condanna alle spese processuali. Pertanto tale ricorso:

  • non garantisce una risposta;
  • non sospende i termini per fare ricorso (sicché, chi fa scadere i termini in attesa della risposta, non può poi ricorrere al giudice o al Prefetto)

Leggi a riguardo Multa: 6 cose da sapere se fai ricorso alla Polizia.

Quanto costa fare ricorso contro una multa stradale?

Solo nel caso di ricorso al Giudice di Pace bisogna affrontare delle spese che, oltre a quelle per l’eventuale difesa da parte di un avvocato (che, come si è detto, non è sempre obbligatoria), comprendono il contributo unificato.

Per impugnare una multa di importo inferiore a 1.100,00 euro è necessario acquistare un “contributo unificato” di 43 euro. Si tratta di un importo che, come ben si può intuire, corrisponde quasi al 100% del valore della contravvenzione stessa: il che rende antieconomico il ricorso, posto l’aggravio di spese per il cittadino e l’incertezza della vittoria. Peraltro chi paga la multa entro i primi 5 giorni c’è lo sconto del 30% (a patto che rinunci al ricorso), il che sconsiglia ancor di più la carta giudiziale.

Per le multe di valore superiore a 1.100 euro e fino a € 5.200 euro, il valore del contributo unificato è pari a 98 euro.

Per chi, però, ne faccia una “questione di principio” e intenda agire, si profila una causa della durata di circa un anno e almeno due o tre udienze.

Poniamo che l’automobilista vinca il giudizio. A questo punto, a rigor di diritto, il giudice dovrebbe condannare la parte soccombente (per es. il Comune, per conto della polizia municipale) a rifondere al cittadino le spese anticipate per la causa (cioè le 37 euro per l’acquisto del contributo unificato).

In verità, questa circostanza non capita sempre, perché a volte il magistrato dispone la “compensazione delle spese” (ossia, stabilisce che ogni parte sostenga la sua parte di costi del giudizio). Questo – che dovrebbe avvenire solo se la vittoria non è stata netta o se le ragioni della controparte avevano, almeno sul piano sostanziale, una valida giustificazione – in verità accade frequentemente e senza sufficienti motivazioni.

Se, tuttavia, il ricorrente ottiene la condanna della controparte alle spese processuali, è necessario notificare all’ente la sentenza e l’atto di precetto: formalità necessarie se intende procedere a riscuotere forzosamente le somme dovutegli.

Qui subentra il problema delle nostre pubbliche amministrazioni, in perenne “bolletta”. Gli enti pubblici non pagano “con le buone”, neanche a suon di diffide.

Così, al povero cittadino non resta che iniziare un nuovo, ennesimo, procedimento, che si chiama “esecuzione forzata”.

Se l’ente ha un conto corrente attivo, allora si può procedere col pignoramento delle somme presso l’istituto di credito. Per fare ciò, è necessario disporre di un avvocato, corrispondergli l’onorario e pagare le spese minime di notifica del pignoramento (poche decine di euro). Ma soprattutto è necessario sperare che tali somme non risultino vincolate a spese per finalità pubbliche (nel qual caso, un orientamento giurisprudenziale ne esclude la pignorabilità).

In alcuni tribunali, per ottenere una sentenza che aggiudichi il credito è necessario attendere più di un anno.

La percentuale di cittadini che rinunciano a questa sofferenza è estremamente alta, così come resta alta – ma questa ne è una normale conseguenza – la percentuale delle multe pagate benché illegittime.

Il diritto alla tutela giudiziaria si trova garantito dalla nostra Costituzione all’articolo 24. Ma evidentemente, come in tanti altri casi, si tratta di una previsione di forma e non di sostanza.

 
Pubblicato : 22 Novembre 2023 10:47