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Quando si prescrivono i crediti di lavoro?

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(@paolo-florio)
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Cassazione: prescrizione differenze retributive e altri crediti per prestazioni collegate al contratto di lavoro.

Quanto tempo ha il dipendente per fare causa al datore di lavoro e chiedergli le differenze retributive o gli arretrati che non ha percepito? Il legislatore è stato mosso dall’esigenza di evitare che il timore di una ritorsione dell’azienda, quale conseguenza dell’azione giudiziale instaurata contro di essa dal lavoratore, possa portare quest’ultimo a rinunciare ai propri diritti. È difficile pensare infatti che un dipendente, mentre ha a che fare tutti i giorni con il proprio capo, lo trascini nel contempo in tribunale e conduca contro questi una guerra legale. La sua vita lavorativa diverrebbe un inferno, sempre che non venga licenziato con qualche scusa.

Perciò, nel difficile tentativo di bilanciare gli interessi in gioco, dovendo stabilire quando si prescrivono i crediti di lavoro, la Cassazione ha fissato un principio che tutela maggiormente il dipendente. Dall’altro lato, però, come si vedrà a breve, il datore è esposto a un rischio piuttosto alto: quello di trovarsi con rivendicazioni salariali anche a distanza di molti anni da quando il fatto è stato commesso. 

Cerchiamo di fare il punto della situazione. 

Entro quanto tempo fare causa al datore di lavoro?

La prescrizione per quei crediti da pagare ogni anno o entro termini più brevi (ad esempio, ogni mese) è di 5 anni. Quella invece da pagarsi per frazioni più ampie di un anno o una tantum è di 10 anni. Tali regole, valevoli per qualsiasi tipo di credito, si applicano anche in materia di lavoro. Vediamo dunque, qui di seguito qual è la prescrizione dei vari crediti del lavoratore a seconda della loro natura.

Prescrizione crediti di lavoro di 5 anni

Si prescrivono in 5 anni :

  • gli stipendi mensili non versati; 
  • la tredicesima e la quattordicesima;
  • le gratifiche e i premi di produzione o di rendimento;
  • le differenze retributive dovute a errori di calcolo in busta paga;
  • gli straordinari;
  • le differenze di stipendio per inquadramento o qualifica;
  • i crediti derivanti dallo svolgimento di mansioni superiori;
  • il TFR (difatti, anche se pagato in una sola volta, questo viene accantonato ogni mese);

Prescrizione crediti di lavoro di 10 anni

Si prescrivono invece in 10 anni:

  • i premi di fedeltà;
  • le indennità di trasferimento;
  • i diritti relativi al passaggio di qualifica, 
  • le erogazioni una tantum;
  • indennità sostitutiva per ferie e permessi non goduti;
  • risarcimento dei danni per omesso versamento dei contributi previdenziali;
  • riqualificazione del rapporto (ad es. da lavoro intermittente a lavoro subordinato, etc.).

Da quando decorre la prescrizione dei crediti di lavoro?

Il punto cruciale non è tanto il termine di prescrizione ma l’inizio del decorso di questo. Come detto, infatti, il timore di subire un licenziamento potrebbe portare il dipendente a soprassedere dal far valere i propri diritti in sede giudiziaria onde tutelare il proprio posto.

A lungo la giurisprudenza ha ritenuto che, stante la tutela prestata dall’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, laddove il dipendente avesse avuto diritto alla reintegra in caso di licenziamento illegittimo, la prescrizione sarebbe decorsa dal giorno dell’inadempienza, nonostante il rapporto di lavoro fosse ancora in essere. E ciò perché, anche ammesso che l’azienda, per ritorsione, avesse deciso di risolvere il rapporto di lavoro, il dipendente avrebbe potuto ottenere tutela dal giudice ed essere reintegrato nel suo posto.

Come noto, però, dalla legge Fornero fino al Jobs Act, la tutela reintegratoria è divenuta l’eccezione. Oggi, dinanzi a un licenziamento illegittimo, il dipendente può accampare solo il risarcimento del danno. Ragion per cui, secondo la Cassazione, oggi è giusto far decorrere la prescrizione dalla cessazione del rapporto di lavoro. È da questo momento che inizia quindi a calcolarsi il termine di 5 o 10 anni per la prescrizione dei diritti del lavoratore. 

Questo – come si diceva in apertura – espone il datore di lavoro a un grosso rischio: quello di trovarsi a difendersi in un contenzioso a distanza di molti anni dopo dal comportamento. Le prove a propria tutela potrebbero essersi nel frattempo disperse, così come anche la memoria circa lo svolgimento dei fatti.

Peraltro c’è anche da dire che questo orientamento si presta a una critica. Anche oggi, in caso di licenziamento discriminatorio, il dipendente ha diritto alla reintegra e non già al risarcimento. E non c’è dubbio che un licenziamento intimato per via di una causa intrapresa contro l’azienda possa essere classificato appunto come “discriminatorio”. Dunque è poco giustificabile il timore del lavoratore di perdere il posto. 

È anche vero, però, che una causa – sebbene in materia di lavoro – abbia dei tempi piuttosto ampi e per ottenere la reintegra il dipendente potrebbe dover attendere diversi anni. Il che esporrebbe lui e la sua famiglia al rischio di rimanere senza sostentamento. Ecco per quale ragione la Corte ha giustamente detto che, finché dura il rapporto di lavoro, il termine di prescrizione non inizia a decorrere. Il calcolo dei 5 anni deve essere fatto a partire dalla cessazione del contratto, sia che questa avvenga per licenziamento o per dimissioni. 

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Pubblicato : 21 Ottobre 2022 12:30