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Quando scatta il licenziamento per troppe assenze?

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(@paolo-remer)
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Licenziamento per scarso rendimento o per superamento del periodo di comporto sono due ipotesi distinte, ma possono coesistere quando le assenze del dipendente dal lavoro sono ripetute e frammentate.

«Ciao ragazzi, ci vediamo l’anno prossimo, se tutto va bene». Non sta parlando delle normali ferie, ma di assenze imprevedibili e di durata indeterminata: chissà quando tornerà al lavoro. Chi non ha mai avuto un collega così? Intendiamoci: c’è chi è veramente malato o ha seri problemi personali e familiari, e dunque gode legittimamente dei periodi di riposo stabiliti per queste situazioni, compresa l’aspettativa; ma c’è anche chi è strafottente e abusa di quei diritti fino a diventare un assenteista cronico o imprevedibile, magari facendo saltare turni già programmati e costringendo altri colleghi a sostituirlo.

Però a tutto c’è un limite e allora si tratta di vedere quando è consentito il licenziamento per troppe assenze. Ultimamente la giurisprudenza sta adottando la linea dura, come dimostra una vicenda decisa dalla sezione Lavoro della Cassazione [1] che ha confermato il licenziamento inflitto da un’azienda a un dipendente che si assentava molto spesso dal lavoro e senza mai aver fornito una valida spiegazione dei motivi. La Suprema Corte ha ravvisato in questa situazione una «fattispecie complessa», perché composta, innanzitutto, dall’assenza ingiustificata dal lavoro senza aver fornito alcuna comunicazione preventiva o giustificazione successiva, più l’assenza alle visite di controllo disposte dall’Inps, ed, infine, la recidiva di tutti questi comportamenti, per i quali il datore di lavoro aveva già irrogato sanzioni disciplinari meno severe del licenziamento: come un’ammonizione, prima dell’espulsione.

In effetti la possibilità di licenziare un lavoratore che fa troppe assenze può sorgere dal superamento dei limiti massimi previsti per la malattia (il cosiddetto “periodo di comporto”) oppure dallo scarso rendimento; ma questi diversi motivi legittimanti possono intrecciarsi e coesistere nel caso concreto, specialmente quando le assenze sono frammentarie e “spezzettate” nel corso del tempo, al punto che il datore di lavoro si rende conto di avere un dipendente inaffidabile, e sul quale non può contare. Analizziamo distintamente queste due ipotesi.

Licenziamento per scarso rendimento

Nel lavoro di tipo subordinato, il dipendente mette a disposizione il suo tempo, in termini di giorni ed ore lavorative prestate; ed infatti questo è il metodo di calcolo della sua retribuzione. Questa caratteristica lo distingue profondamente dal lavoro autonomo, che ha ad oggetto una prestazione di risultato (ad esempio, la riparazione compiuta da un idraulico o il manufatto costruito da un falegname) salvi i casi delle prestazioni d’opera intellettuale (come quelle svolte da medici e avvocati) dove ciò che conta è lo sforzo profuso e le energie impiegate, mentre il risultato può mancare (il paziente può morire invece di sopravvivere, la causa giudiziaria può essere persa anziché vinta, ma il professionista ha comunque diritto ad essere pagato).

Ciò premesso, il licenziamento per scarso rendimento è possibile quando i risultati raggiunti dal dipendente si collocano notevolmente al di sotto della media, per un periodo prolungato e senza valide giustificazioni. Ovviamente, il carico di lavoro richiesto non deve essere eccessivo o penalizzante rispetto ai colleghi ed ai livelli standard di produzione, altrimenti il licenziamento sarebbe illegittimo; ma quasi tutti i contratti collettivi di lavoro disciplinano in anticipo, per ogni comparto, le modalità produttive e organizzative, permettendo di verificare se le richieste datoriali sono ragionevoli oppure eccessive (e in tal caso il lavoratore colpito può ricorrere in sede giudiziaria per far annullare quel licenziamento ingiustificato e ritorsivo).

Per rendere legittimo questo tipo di licenziamento per scarso rendimento, consistente in inefficienze di varia natura riscontrate dal datore di lavoro, è necessaria una preventiva lettera scritta di contestazione degli inadempimenti e di diffida a rimediare per il futuro; ciò consentirà al dipendente non solo di essere avvisato in anticipo delle possibili conseguenze a suo carico se il comportamento negativo si protrarrà, ma anche di fornire le sue osservazioni difensive.

È ovvio che lo scarso rendimento si può configurare anche quando il dipendente è fisicamente presente sul posto di lavoro ma svolge le sue mansioni in maniera pigra, indolente, svogliata e dunque inefficiente; però il problema è aggravato in caso di assenze reiterate o frammentate, come quelle avvenute in giorni “strategici” per la produzione, specialmente se si verificano a sorpresa. E allora si apre un altro capitolo, perché l’assenza può essere dovuta a diversi fattori, tra cui il principale è la malattia, che, sino a un certo punto, è tendenzialmente giustificata, come vedremo adesso.

Licenziamento per superamento periodo di comporto

Il dipendente in malattia è considerato assente pienamente giustificato (tant’è che conserva il diritto alla retribuzione, alla maturazione dell’anzianità e alle quote di Tfr) e perciò non può essere licenziato sino a quando non supera il limite massimo di giorni di assenza consentiti dal suo contratto collettivo di lavoro. È il cosiddetto periodo di comporto, oltre il quale il datore di lavoro ha la facoltà (non l’obbligo) di licenziare il dipendente che è risultato assente per troppo tempo. Te ne parliamo ampiamente nell’articolo “Scadenza del periodo di comporto: conseguenze“. Per aggirare l’ostacolo, c’è la possibilità – purché ciò avvenga prima della scadenza del comporto – di mettersi in aspettativa non retribuita, e così il posto di lavoro verrà conservato.

Il superamento del periodo di comporto presenta delle particolarità, perché il periodo può essere calcolato in modo “secco”, cioè in base ad un unico e ininterrotto periodo di malattia, oppure “per sommatoria”, conteggiando tutte le assenze compiute nel periodo, anche quelle sporadiche e frammentate. Attualmente la maggior parte dei contratti collettivi di lavoro utilizza proprio il comporto per sommatoria, che risulta molto più utile a prevenire l’assenteismo in quanto considera tutte le assenze plurime, anche di pochissimi giorni ciascuna: tutte fanno cumulo.

In ogni caso, il lavoratore licenziato per superamento del comporto ha diritto di ricevere un preavviso, altrimenti il licenziamento è nullo per violazione dell’art. 2110 del Codice civile [2]. Di recente la Cassazione ha precisato che nel licenziamento per superamento del periodo di comporto «il datore di lavoro non deve specificare i singoli giorni di assenza, potendosi ritenere sufficienti indicazioni più complessive, fermo restando l’onere di allegare e provare compiutamente in giudizio i fatti costitutivi del potere esercitato» [3].

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Pubblicato : 15 Dicembre 2022 11:45