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Quando non spetta l’assegno di divorzio

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(@raffaella-mari)
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Non basta solo la sproporzione tra i due redditi per ottenere gli alimenti: la moglie deve dimostrare il contributo fornito al patrimonio familiare tramite l’attività domestica.  

Quando una coppia decide di lasciarsi, la lite si incentra, il più delle volte, sull’importo da versare all’ex a titolo di alimenti. Ma il fatto di avere una situazione reddituale diversa non implica automaticamente il diritto all’assegno divorzile. Ciò deve far riflettere per evitare di sostenere i costi di un giudizio a volte inutile. Vediamo allora, più nel dettaglio, quando non spetta l’assegno di divorzio. Lo faremo alla luce di alcune recenti pronunce. L’interpretazione della giurisprudenza su tale argomento è infatti in continua evoluzione. La tendenza è quella di riconoscere tale contributo solo nei casi in cui il coniuge economicamente più debole è incapace, non per propria colpa, di mantenersi da solo. 

Quando spetta l’assegno di mantenimento

Nel momento in cui la coppia di coniugi si separa, il giudice – in assenza di diverso accordo tra le parti – decide se e quanto il coniuge economicamente più debole debba ricevere a titolo di mantenimento. 

Questa valutazione viene fatta tenendo conto di una serie di variabili come: 

  • la durata del matrimonio (tanto più è stato breve, tanto minore sarà il mantenimento);
  • l’età del richiedente (tanto più è giovane, tanto più viene considerato in grado di mantenersi da sé);
  • la formazione e le precedenti esperienze lavorative del richiedente che ne aumentano la capacità di produrre reddito;
  • la disponibilità della casa coniugale.

Scopo dell’assegno di mantenimento resta quello di eliminare ogni disparità di reddito tra i due coniugi e garantire a quello più debole il medesimo tenore di vita che aveva durante il matrimonio.

Quando spetta l’assegno di divorzio

L’assegno divorzile invece viene riconosciuto con la sentenza di divorzio e si sostituisce a quello di mantenimento: lo rimpiazza completamente. 

La misura dell’assegno divorzile – così come avviene per quello di mantenimento – può essere decisa di comune accordo tra gli ex coniugi attraverso la procedura di separazione o di divorzio consensuale. Questi possono anche prevedere un contributo “una tantum” ossia da versare in un’unica soluzione in luogo dell’assegno mensile. 

Attenzione però: gli accordi presi in sede di separazione non sono vincolanti al momento del divorzio. Ad esempio eventuali rinunce all’assegno divorzile concordate all’atto della separazione possono essere oggetto di ripensamento. 

Presupposti per l’assegno di divorzio sono essenzialmente due:

  • la disparità economica tra i due ex coniugi;
  • il contributo fornito dal coniuge richiedente l’assegno al patrimonio familiare con il proprio lavoro domestico o comunque l’impossibilità, per ragioni oggettive indipendenti dalla sua volontà, di procurarsi un reddito con cui vivere.

Cerchiamo di comprendere meglio cosa significano questi due elementi.

Quando non spetta l’assegno di divorzio

Non basta la semplice disparità di reddito tra i due ex coniugi per accordare, in favore di quello economicamente più debole, l’assegno di divorzio. La giurisprudenza ha ormai mutato orientamento rispetto al passato. 

Scopo dell’assegno di divorzio – ha detto la Cassazione con due importantissime sentenze emesse tra il 2017 e il 2018 – non è più quello di garantire al coniuge più povero il medesimo tenore di vita che aveva quando ancora la coppia era unita, bensì riconoscergli un compenso in ragione del contributo da questi fornito alla famiglia. Il che presuppone la rinuncia alle proprie aspettative di crescita professionale per prendersi cura del ménage domestico. Un sacrificio di tale tipo finisce di certo per realizzare un contributo alla formazione del patrimonio familiare e di quello dell’altro coniuge, consentendo a quest’ultimo di concentrarsi sul lavoro e di aumentare la propria ricchezza [2]. 

Poniamo il caso di una donna che, d’accordo con il marito, abbia da sempre svolto l’attività di casalinga o un lavoro part-time per occuparsi, nella residua parte della giornata, dei figli, della casa e delle faccende domestiche. La sua rinuncia ad un reddito adeguato alle proprie ambizioni lavorative merita un compenso in sede di divorzio. Ecco perché in tali casi è sempre dovuto l’assegno. 

Ma l’assegno è altresì dovuto quando il coniuge economicamente più debole non può procurarsi di che vivere per via di cause indipendenti dalla propria volontà come nel caso di una malattia invalidante o del tentativo, andato puntualmente a vuoto, di cercare un’occupazione. In questo secondo caso spetta alla moglie dimostrare di essersi data da fare per ottenere un lavoro iscrivendosi alle liste di collocamento, partecipando a bandi e concorsi, inviando il proprio curriculum per chiedere colloqui di lavoro.

Da quanto appena visto, l’assegno di divorzio non spetta ad esempio quando la rinuncia alle aspirazioni lavorative del coniuge richiedente non è frutto di una scelta condivisa con l’ex; quando questi, in ragione dell’età e della durata del matrimonio, è ancora in grado di lavorare e di produrre reddito; quando l’assenza di un’occupazione è da attribuirsi al suo atteggiamento inerte e passivo.  

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Pubblicato : 29 Novembre 2022 07:00