Quando non pagare l’amministratore di condominio
Il condominio può rifiutare il compenso all’amministratore negligente che non rispetta i suoi compiti e non adempie agli obblighi di legge?
«Una persona che non rispetta un contratto non ha diritto a ottenere la propria prestazione. Perché mai questa regola non deve valere anche per l’amministratore di condominio?». A porsi questo interrogativo sono spesso i proprietari di appartamenti insoddisfatti dell’operato del capo condomino. A quest’ultimo vengono contestate varie inadempienze come l’assenza, i ritardi, l’indifferenza ai problemi condominiali, la mancata convocazione dell’assemblea, l’addebito di spese eccessive, ecc. Non sempre poi l’assemblea è celere nel deciderne la rimozione, anche perché ciò dipende dalla convocazione fatta dallo stesso amministratore. È vero, si può agire tramite il tribunale, ma a nessuno piace spendere soldi per una causa, complicandosi la vita tra avvocati e giudici. Di qui, la domanda non appena ci si sbarazza del professionista poco diligente: quando non pagare l’amministratore di condominio?
A fornire un’indicazione è una recente sentenza del tribunale di Milano [1]. Cerchiamo di fare il punto della situazione.
Obblighi dell’amministratore di condominio
Prima di stabilire quando non pagare l’amministratore di condominio, dobbiamo individuare i doveri che la legge gli impone. A ben vedere, il Codice civile elenca una lunga serie di obblighi cui è soggetto l’amministratore di condominio. Volendo semplificarli in macro categorie, possiamo dire che compito del capo condomino è garantire la tutela delle parti comuni dell’edificio, il rispetto del regolamento di condominio, convocare le assemblee almeno una volta all’anno, riscuotere le quote condominiali (soprattutto nei confronti dei morosi, azionando le azioni giudiziarie necessarie) non oltre sei mesi dall’approvazione del piano di riparto, pagare i fornitori, custodire la documentazione contabile e i vari registri del condominio, dare esecuzione alle delibere dell’assemblea, vigilare sull’uso dei beni e dei servizi comuni, rendere il conto della gestione, presentare la dichiarazione dei redditi per conto del condominio. Egli deve poi partecipare ai corsi di aggiornamento professionale.
Che succede se l’amministratore non adempie ai propri obblighi?
Le gravi inadempienze dell’amministratore sono causa di revoca in tronco del mandato. In verità, il condominio può sempre recedere dal contratto che lo lega con l’amministratore, ma se ciò non avviene per una giusta causa, che trovi cioè fondamento nelle colpe del professionista, deve pagargli il risarcimento (importo pari al residuo compenso cui avrebbe diritto se il contratto fosse proseguito).
Individuare quindi una violazione, da parte dell’amministratore, dei suoi compiti significa poterlo esonerare senza pagargli il compenso. Anzi, possono sussistere anche gli estremi per ottenere il risarcimento del danno.
Il Codice civile [2] stabilisce difatti che, nei contratti a prestazioni corrispettive (quale appunto quello di mandato all’amministratore), ciascuno dei contraenti può rifiutarsi di adempiere la sua obbligazione, se l’altro non adempie o non offre di adempiere contemporaneamente la propria. Il che significa che, se l’amministratore viola gli obblighi generali impostigli dalla legge, l’assemblea lo può revocare immediatamente per giusta causa senza dovergli il risarcimento.
Potrebbe avvenire che la revoca dell’amministratore risulti impossibile perché questi non convoca l’assemblea. In tale ipotesi, sono gli stessi condomini che ne possono fare richiesta inviandogli una raccomandata. Per farlo è necessario che almeno due condomini, che rappresentano non meno di 1/6 del valore millesimale del condominio, facciano espressa richiesta in tal senso all’amministratore. L’indifferenza a tale istanza è essa stessa causa di revoca.
Se l’assemblea non si adopera la rimozione del capo condomino ci può pensare ogni singolo condomino, agendo in tribunale. Leggi Come si revoca l’amministratore di condominio?
Quando non pagare l’amministratore di condominio
Applicando questi principi, il tribunale di Milano ha stabilito che, se l’amministratore è inadempiente ai suoi obblighi di mandatario (tra cui, nel caso di specie, la tenuta regolare e diligente della contabilità per non avere, ad esempio, redatto i rendiconti con l’indicazione esatta delle entrate e delle uscite, oltre a non aver fornito le relative pezze giustificative), il condominio può rifiutarsi di pagarne il compenso [3]
Nel caso di specie, l’amministratore, vantando un proprio credito nei confronti del condominio per il quale affermava di avere anticipato di tasca propria delle spese nonché di essere creditore per compensi professionali, aveva prodotto in giudizio unicamente i rendiconti, i riparti nonché dei generici bilanci di verifica; questa documentazione è stata ritenuta del tutto insufficiente perchè, in mancanza delle cosiddette “pezze giustificative” e della documentazione inerente i movimenti di cassa (entrate ed uscite), con le relative imputazioni, non è possibile alcuna verifica circa la correttezza contabile dei rendiconti.
Altro caso in cui non si deve pagare l’amministratore di condominio è quando il mandato è scaduto e lui esercita le funzioni ad interim. La Legge 220/12, entrata in vigore dal 18 giugno 2013, ha stabilito che l’esercizio dei poteri dell’amministratore condominiale, scaduto il mandato , è limitato ai soli casi urgenti senza diritto ad alcun corrispettivo.
La Legge 220/12, entrata in vigore dal 18 giugno 2013, ha stabilito che l’esercizio dei poteri dell’amministratore condominiale, scaduto il mandato , è limitato ai soli casi urgenti senza diritto ad alcun corrispettivo.
Sulla base di ciò, il Tribunale di Roma (sentenza n°18028 del 2019) ha stabilito che, scaduto il mandato, l’amministratore non ha diritto a ricevere il compenso per l’attività prestata fino al giorno della sua materiale sostituzione.
Un ulteriore caso in cui non si deve pagare l’amministratore è quando questo non è stato nominato dall’assemblea come spesso succede quando il condominio è di nuova costituzione e il mandato gli viene affidato singolarmente dal costruttore. La Cassazione ha più volte detto che l’amministratore deve ricevere delega solo dall’assemblea dei condomini e non solo da uno di questi.
Ultimo caso in cui non bisogna pagare l’amministratore è quando questi, al momento della sua nomina, non indica all’assemblea il compenso che richiede. Difatti l’articolo 1129, comma 14, stabilisce che l’amministratore, all’atto dell’accettazione della nomina e del suo rinnovo, deve specificare analiticamente, a pena di nullità della nomina stessa, l’importo dovuto a titolo di compenso per l’attività svolta. La mancata indicazione di tale adempimento rende nulla la delibera e, quindi, fa venir meno il diritto dell’amministratore a ottenere il compenso. La Suprema Corte ha detto che la mancanza di un documento contenente la specifica dell’importo richiesto come compenso determina la nullità della delibera che approva la nomina dell’amministratore (Cassazione ordinanza 12927/2022).
Più precisamente la giurisprudenza ha affermato che, agli effetti dell’articolo 1129, comma 14, per la costituzione di un valido contratto di amministrazione condominiale, occorre accertare la sussistenza di un documento, approvato dall’assemblea, che reca, anche mediante richiamo ad un preventivo espressamente indicato come parte integrante del contenuto di esso, l’elemento essenziale dell’analitica determinazione del corrispettivo, che non si può invece ritenere implicita nella delibera assembleare di approvazione del rendiconto.La prescritta nullità della nomina in caso di mancata specificazione analitica del compenso, all’atto della nomina, comporta tutte le rilevanti conseguenze giuridiche che sono tipiche dell’atto nullo.
La nullità, infatti, determina la caducazione completa, senza limiti di tempo, dell’atto a cui si riferisce e di tutti quelli successivi collegati ad esso: e in particolare da una nomina nulla deriva la nullità di tutti gli atti, successivi alla nomina, compiuti dall’amministratore. Come affermato da ultimo dalle Sezioni unite con la sentenza 9839/2021 (richiamata in motivazione anche nell’ordinanza 12927/2022) «… la nullità, quale vizio radicale del negozio giuridico, impedisce, per sua natura, allo stesso di produrre alcun effetto nel mondo del diritto; essa è deducibile da chiunque vi abbia interesse ed è rilevabile d’ufficio (articolo 1421 del Codice civile)».
L’obbligo della tenuta della contabilità da parte dell’amministratore
La pronuncia del tribunale meneghino affronta il tema della tenuta della contabilità da parte dell’amministratore. Seppure questa non debba essere redatta con forme rigorose, analoghe a quelle prescritte per i bilanci delle società, deve però essere idonea a rendere comprensibili ai condomini le voci di entrata e di uscita, con le relative quote di ripartizione, e cioè tale da fornire la prova – attraverso i corrispondenti documenti giustificativi dell’entità e causale degli esborsi fatti – di tutti gli elementi che consentono di individuare e vagliare le modalità con cui l’incarico è stato eseguito, nonché di stabilire se l’operato di chi rende il conto sia uniformato a criteri di buona amministrazione [4].
L’amministratore che vanti un credito nei confronti del condominio deve per forza presentare all’assemblea il rendiconto della propria gestione, che deve necessariamente comprendere la specificazione dei dati contabili delle entrate, delle uscite e del saldo finale [5]. Senza tale prova non solo non gli spetta il rimborso, ma evidenziandosi una sua inadempienza nella gestione dei documenti contabili, addirittura, rischia la revoca senza compenso.
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