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Quando non c’è diritto all’oblio

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(@angelo-greco)
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Nel mondo digitale, il diritto all’oblio oscilla tra tutela della privacy e del diritto di cronaca. Esploriamo quando questo diritto viene negato e perché.

Quante volte abbiamo sentito parlare del diritto all’oblio nel contesto digitale? Questo concetto, che a prima vista potrebbe sembrare chiaro, si nasconde dietro a molteplici variabili e dettagli. Ma cosa determina davvero il diritto a essere “dimenticati” dalla rete? In quali circostanze il nostro passato può continuare ad affiorare nei risultati dei motori di ricerca? E come i giudici e le autorità valutano queste situazioni? In questo articolo, partendo da alcune indicazioni del Garante della Privacy, vedremo quando non c’è diritto all’oblio. Ma procediamo con ordine.

Che cos’è il diritto all’oblio?

Il diritto all’oblio è il diritto di un individuo di chiedere la rimozione o la deindicizzazione di informazioni personali da internet, in particolare dai motori di ricerca e/o dai social network. Questo diritto nasce dalla necessità di proteggere la privacy degli individui contro l’esposizione prolungata a informazioni personali, soprattutto se negative.

Hanno diritto all’oblio tutti i cittadini, anche quelli condannati con sentenze penali irrevocabili. Funzione della pena infatti è quella di rieducare il reo e non già di condannarlo al pubblico ludibrio. Non sarebbe possibile reinserire nella società chi ha già scontato la condanna se poi, nei fatti, tutti sono in grado di conoscere il suo passato. E del resto non ci possono essere ulteriori pene rispetto a quelle previste dalla legge come potrebbe essere il fatto di essere da tutti additato come un criminale.

In sintesi: colpevoli e innocenti, condannati o semplici indagati e, più in generale, chiunque si trovi invischiato in un fatto di cronaca divenuto “virale” hanno diritto a chiedere al titolare del giornale la cancellazione della notizia o la “deindicizzazione” dai motori di ricerca (di modo ché l’articolo non sia pescato più da Google e dagli altri algoritmi).

Come e quando si esercita il diritto all’oblio?

Il diritto all’oblio deve chiaramente contemperarsi con l’esigenza di informare la popolazione dei fatti di cronaca, anche quella rosa o il semplice gossip. Sicché il diritto all’oblio può essere esercitato solo dopo un ragionevole lasso di tempo, dopo cioè che la notizia non è più attuale. E difatti i presupposti affinché il diritto di cronaca possa essere validamente esercitato sono i seguenti:

  • verità della notizia;
  • pubblico interesse alla notizia;
  • attualità della notizia. 

Difettando la “verità” si ricadrebbe nella diffamazione. Difettando invece il pubblico interesse si arriverebbe a ledere la privacy di privati cittadini i cui fatti non hanno alcun rilievo nazionale. Infine, mancando l’attualità si lederebbe appunto il diritto all’oblio.

In sintesi, il diritto all’oblio si può esercitare dopo un certo numero di anni oltre i quali la notizia non è più attuale e d’interesse. Il punto è però che la legge non dice dopo quanto tempo si può chiedere il diritto all’oblio. Conformemente però alle decisioni della giurisprudenza e del Garante, si ritiene che, già dopo tre anni, si possa esigere la deindicizzazione. 

Quali criteri influenzano il diritto all’oblio?

Il tempo per chiedere il diritto all’oblio non è uguale per tutti. A pesare sul diritto all’oblio di chi è coinvolto in un procedimento penale o è sottoposto a indagini, una serie di variabili che vanno dalla gravità del fatto alla notorietà del soggetto coinvolto. Maggiore è l’interesse pubblico della notizia, più dilatato sarà il tempo necessario per ottenerne la deindicizzazione.

Pertanto bisogna anche considerare l’importanza e la rilevanza della notizia. Laddove infatti si tratti di una condanna penale, il diritto all’oblio avrà tempi più dilatati rispetto a una semplice indagine o a un fatto di gossip. 

La definizione di “personaggio pubblico” non è rigida. Secondo il Tribunale di Roma, non riguarda solo politici o celebrità, ma anche uomini d’affari e iscritti in albi professionali.

Un esempio può essere visto con il Tribunale di Milano che, nel 2018, ha stabilito un periodo di quattro anni per la deindicizzazione di notizie relative a un processo per truffa.

Un politico, non più in carica da diversi anni, si era visto rifiutare dal motore di ricerca la richiesta di deindicizzazione di una esternazione resa dieci anni prima. Ha dovuto adire il Garante per la protezione dei dati personali per ottenere la deindicizzazione della notizia con il provvedimento dell’11 gennaio 2023.

Chi ha l’autorità di decidere sulla cancellazione dei dati?

Il giudizio, sebbene basato su criteri, resta in parte discrezionale. È spesso il Garante per la protezione dei dati personali a dare l’ultima parola, come nel caso del provvedimento del 17 maggio, in cui sono stati ritenuti insufficienti quattro anni dall’arresto per accuse di terrorismo per ottenere la deindicizzazione.

Esistono leggi che definiscono il diritto all’oblio?

A cristallizzare per la prima volta il diritto all’oblio è stato l’articolo 17 del Regolamento Ue 679/2016 (Gdpr), dopo le univoche pronunce della Corte di giustizia europea, che avevano rafforzato la tutela degli interessati contro l’esposizione illimitata a notizie personali negative. La norma ha previsto il diritto dell’interessato a ottenere dal titolare del trattamento la cancellazione dei dati personali che lo riguardano. Quando il titolare non sia raggiungibile o non sia identificato, l’interessato potrà chiedere direttamente al motore di ricerca la deindicizzazione della notizia.

Con l’entrata in vigore della riforma della giustizia penale (decreto legislativo 150/2022), il nuovo articolo 64-ter delle norme di attuazione del Codice di procedura penale ha previsto espressamente che la persona nei cui confronti è stata pronunciata una sentenza di proscioglimento, di non luogo a procedere, o un provvedimento di archiviazione, possa richiedere al giudice di inserire un’annotazione nella pronuncia con la quale venga disposta espressamente la deindicizzazione dei propri dati personali. È quindi la cancelleria del giudice che emette la pronuncia a inserire e sottoscrivere l’annotazione che avrà valore vincolante sia per i motori di ricerca sia per i titolari del trattamento, senza dover adire nuovamente il tribunale o il Garante per la protezione dei dati personali.

Quando non spetta il diritto all’oblio?

Il diritto all’oblio non spetta per quei fatti di portata “storica”, tanto da costituire ormai parte della “memoria” collettiva, impossibili da cancellare. Si pensi ai processi per le famose stragi degli anni ’70 o per le indagini di Mani Pulite. Non si tratta solo dei fatti che rientrano nei libri (si pensi al tentato omicidio del Papa) ma anche a quelli che hanno segnato le vicende giudiziarie del nostro Paese o di altri Stati. 

 

 
Pubblicato : 15 Agosto 2023 18:30