Quando l’offesa è reato?
In quali casi gli insulti fanno scattare un processo penale? Quando c’è stalking e quando maltrattamenti? Come funziona la diffamazione?
Si può essere violenti anche con le parole. Insulti e minacce possono fare molto male, anche più dell’esercizio della forza bruta. Anche la legge è d’accordo, visto che punisce le aggressioni verbali, purché siano fatte in un certo modo. Con questo articolo cercheremo per l’appunto di spiegare quando l’offesa è reato.
Oramai è noto a tutti che, già da diverso tempo, l’ingiuria non costituisce più un illecito penale; in altre parole, chi insulta una persona non commette più reato, ma al massimo rischia una causa civile al termine della quale bisognerà pagare il risarcimento dei danni e una sanzione allo Stato. Ciononostante, a insultare e offendere si rischia ugualmente di finire in prigione. Vediamo perché.
Offendere è reato?
Offendere non è reato, se la vittima è presente ed è pertanto in grado di difendersi. In altre parole, insultare qualcuno “in faccia” e non alle spalle non costituisce un illecito per il quale può scattare la denuncia penale.
L’ingiuria resta tuttavia un illecito civile, per il quale è possibile agire con una citazione in giudizio per ottenere il risarcimento dei danni, da liquidarsi eventualmente anche in via equitativa, cioè sulla base del suo prudente apprezzamento.
In caso di condanna, inoltre, il responsabile deve essere condannato dal giudice al pagamento di una sanzione pecuniaria da 100 a 8.000 euro a favore delle casse dello Stato.
Se poi l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato oppure è commessa in presenza di più persone, si passa alla sanzione pecuniaria civile da 200 a 12.000 euro [1].
Quando l’offesa è diffamazione?
L’offesa diventa reato se pronunciata in assenza della vittima e in presenza di almeno altre due persone; in questa ipotesi scatta il delitto di diffamazione, punito con la reclusione o anche solo con la multa a seconda della gravità [2].
“Sparlare” alle spalle di una persona costituisce quindi reato, se le parole pronunciate sono in grado di ledere la reputazione della persona offesa, cioè la considerazione che gli altri hanno di essa.
Perché si abbia diffamazione non occorre necessariamente fare ricorso agli insulti: anche un commento poco gentile oppure la narrazione di un fatto realmente accaduto è sufficiente a integrare il delitto.
Ad esempio, spettegolare sulla relazione extraconiugale di una persona può costituire diffamazione anche se il tradimento è reale; raccontare in giro che una donna fa la prostituta è diffamazione anche se veramente riceve soldi in cambio di prestazioni sessuali; lo stesso dicasi per chi mette in giro la voce che il figlio del vicino è tossicodipendente, anche se lo è realmente.
Non costituisce diffamazione, invece, l’esposizione nuda e cruda dei fatti: in questo caso, infatti, prevale il diritto di cronaca.
Si pensi al giornalista che pubblica la notizia di una retata della polizia in cui è finito in manette anche il figlio del sindaco: in un’ipotesi del genere non ci sarebbe alcun reato.
Pertanto, scatta la diffamazione quando si offende una persona con l’intenzione di lederne la reputazione.
In questa ipotesi, la vittima può sporgere querela entro tre mesi da quando è venuta a conoscenza dell’offesa.
Quando l’offesa fa scattare i maltrattamenti?
Abbiamo detto che ingiuriare una persona non costituisce reato, a meno che il fatto non avvenga in assenza della vittima e in presenza di almeno altre due persone.
Le offese costantemente reiterate possono però integrare il grave delitto di maltrattamenti, punito con la reclusione da tre a sette anni [3].
Nello specifico, perché si abbia questo reato occorre che:
- le offese siano ripetute. Un episodio isolato non sarebbe sufficiente;
- la vittima sia una persona convivente (non necessariamente un familiare);
- la conseguenza della condotta sia quella di umiliare la persona offesa, gettandola in uno stato di profonda prostrazione.
Al ricorrere di queste condizioni scatta il reato di maltrattamenti. Secondo la giurisprudenza, infatti, tali sono anche gli abusi psicologici oltre che fisici.
Pertanto, insultare costantemente il proprio convivente, inducendolo così a vivere continuamente in uno stato di grave disagio psicologico, può essere una violenza morale penalmente perseguibile.
Quando l’offesa diventa stalking?
Le offese costantemente indirizzate nei riguardi di una persona con lo scopo di molestarla e renderle la vita difficile fa scattare il reato di stalking [4].
La differenza con il delitto di maltrattamenti è che, in questa ipotesi, non occorre il requisito della convivenza. Ad esempio, c’è stalking se la vittima riceve giorno e notte telefonate con cui viene insultata.
Il reato presuppone però che la persona offesa subisca una di queste conseguenze derivanti dalle reiterate minacce o molestie altrui:
- un grave stato d’ansia;
- il timore per la propria o l’altrui incolumità;
- il cambiamento delle proprie abitudini di vita.
La persona offesa può sporgere querela entro sei mesi dall’ultima condotta molesta. La pena è la reclusione da un anno a sei anni e mezzo.
Offesa: quando è reato?
In sintesi, possiamo affermare che l’offesa è reato quando:
- è pronunciata in assenza della vittima e in presenza di almeno altre due persone (reato di diffamazione);
- è abituale ai danni di una persona convivente (reato di maltrattamenti);
- è abituale ai danni di una persona che finisce per versare in un grave stato d’ansia (reato di stalking).
Se poi l’offesa dovesse avere uno scopo intimidatorio, allora potrebbe scattare anche il reato di minacce [5].
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