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Quando le banche segnalano i movimenti?

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(@redazione)
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La Cassazione stabilisce che i versamenti bancari possono indicare maggiori redditi frutto di evasione.

È interesse di molti contribuenti sapere cosa dice la legge in merito ai versamenti in banca e alla possibilità che tali somme possano essere considerate redditi non dichiarati, sottratti al fisco e quindi frutto di evasione.

La Cassazione ha più volte spiegato quando le banche segnalano i movimenti. La materia peraltro è stata oggetto di una pronuncia della Corte Costituzionale (sent. n. 228/14) che ha chiarito a quali categorie di contribuenti si applicano i controlli sul conto corrente.

Cerchiamo di comprendere, più nel dettaglio, quali sono i rischi collegati alle movimentazioni sul conto corrente come i versamenti di contanti, i prelievi e i bonifici.

Cosa segnalano le banche?

Ogni anno le banche sono tenute a informare il fisco di tutti i rapporti intrattenuti con i propri clienti: conti correnti, portafoglio titoli e investimenti, cassette di sicurezza, contratti assicurativi, ecc.

Queste informazioni confluiscono in un maxi archivio chiamato «Registro dei rapporti finanziari» che è una sezione della più ampia «Anagrafe tributaria». Grazie all’incrocio di tali dati, l’Agenzia delle Entrate è in grado di controllare i redditi dei contribuenti e la correttezza delle loro dichiarazioni.

Nel Registro dei rapporti finanziari finiscono quindi non solo i saldi dei conti correnti (ossia quanto denaro è depositato in essi) ma anche la lista movimenti, in entrata e in uscita.

Qualsiasi operazione sul conto corrente effettuata dal correntista dunque viene comunicata dunque dalla banca all’Agenzia delle Entrate.

Il fatto però che l’Amministrazione finanziaria abbia accesso a tutte queste informazioni non significa che possa poi utilizzarle ai fini dei controlli fiscali. Come vedremo a breve, la legge diversifica i contribuenti per categorie e, in base a queste, diversifica i controlli.

Quando è possibile controllare i versamenti di contanti?

Ai sensi dell’articolo 32, comma 1, numeri 2 e 7, del dpr 600/73, se il correntista fa un versamento di contanti sul proprio conto corrente e di tale somma non v’è traccia nella sua dichiarazione dei redditi, il fisco può presumere che essa rappresenti un reddito non dichiarato. Questa presunzione scatta in automatico: non richiede cioè alcuna dimostrazione da parte dell’ufficio delle imposte. Spetterà poi al contribuente fornire la prova contraria, ossia che si tratta di redditi esenti (come le donazioni, i risarcimenti, le vendite di beni usati) o già tassati alla fonte (come le vincite e le scommesse).

Con l’ordinanza n. 35618/2023 del 20.12.2023, la Cassazione ha chiarito che questa presunzione (ossia il fatto che i versamenti di contanti sul conto corrente si presumono essere redditi non dichiarati) vale per tutti i contribuenti, non solo per gli imprenditori o i titolari di lavoro autonomo, ma anche – ad esempio – per i lavoratori dipendenti, i pensionati, gli studenti e in generale anche i disoccupati.

Dunque, nel momento in cui il contribuente versa contanti sul conto ha due opzioni:

  • dichiarare la somma al fisco e quindi pagare su di essa le imposte sui redditi;
  • precostituirsi le prove scritte, da opporre in caso di un eventuale accertamento, con cui dimostrare che tali somme non dovevano essere dichiarate perché esenti o già tassate.

Quando è possibile controllare i bonifici ricevuti?

La regola appena vista per i versamenti di contanti vale, nei medesimi termini, anche per i bonifici ricevuti: sussiste pure per essi una presunzione di reddito non dichiarato salvo prova contraria. E la presunzione legale di disponibilità di maggior reddito, desumibile dai conti bancari, si applica a tutti i contribuenti, indipendentemente dalla categoria di reddito dei proventi accertati.

Quando è possibile controllare i prelievi?

Mentre i versamenti possono essere posti a fondamento di un accertamento bancario nei confronti di tutti i contribuenti, i prelievi dal conto invece sono soggetti a controllo solo quando si tratta di imprenditori. Il titolare di reddito di impresa che voglia evitare un accertamento dovrà dimostrare a cosa sono destinati i soldi attinti dal conto. Tale obbligo non sussiste solo se tali somme non superano i:

  • 000 euro al giorno;
  • 000 euro al mese.

Quindi, tanto i lavoratori dipendenti, quanto i professionisti, gli artigiani, i pensionati o i disoccupati possono prelevare qualsiasi somma dal conto senza rischiare un accertamento fiscale. Invece gli imprenditori sono soggetti a controlli anche quando effettuano prelievi a meno che rientrino nei limiti appena indicati o forniscano le prove della destinazione delle somme.

Cosa prevede la legge antiriciclaggio sui prelievi in banca?

Sinora abbiamo parlato dei limiti imposti dalla normativa fiscale e abbiamo visto che:

  • i controlli sui prelievi e sui bonifici valgono per tutti i contribuenti;
  • i controlli sui versamenti valgono solo per gli imprenditori.

A queste regole si aggiunge anche la normativa antiriciclaggio, rivolta a contrastare non già l’evasione ma la commissione di reati gravi (come il contrabbando, il traffico di stupefacenti, ecc.). Ebbene, nel rispetto di tale normativa, quando il correntista effettua un prelievo superiore a 10.000 euro al mese (anche se frazionato), la banca è tenuta a chiedergli una dichiarazione in cui indichi la destinazione delle somme.

La dichiarazione verrà inviata alla sede centrale dell’Istituto di Credito che, a sua volta, valuterà se inviarla alla UIF, l’Unità di Informazione Finanziaria. Quest’ultima poi farà un ulteriore vaglio e, se riterrà che dietro tale operazione vi possano essere dei sospetti di reato, invierà un’informazione alla Procura della Repubblica per l’avvio delle indagini penali.

 
Pubblicato : 21 Dicembre 2023 08:30