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Quando l’aborto è diventato legale?

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(@carlos-arija-garcia)
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Sono passati diversi decenni da quando è possibile porre fine volontariamente a una gravidanza, a certe condizioni. La storia e i vincoli della legge 194.

La legge consente a una donna di ricorrere all’interruzione volontaria della gravidanza entro i primi 90 giorni di gestazione, cioè non oltre le 12 settimane e sei giorni dall’ultima mestruazione. Superata questa soglia temporale, l’aborto è consentito solo quando un medico rileva e certifica che la gravidanza costituisce un grave pericolo per la vita della donna o per la sua salute fisica o psichica. Tutto ciò oggi può sembrare scontato ma fino a qualche decennio fa non lo era, anzi: interrompere volontariamente una gravidanza equivaleva a commettere un reato previsto dal Codice penale. Quando l’aborto è diventato legale?

La data è quella del 22 maggio 1978, quando venne approvata la legge n. 194 dopo dure battaglie sociali e politiche. A sostegno di chi sosteneva il diritto all’aborto c’erano:

  • i partiti di sinistra (Pci, Psi, Psdi);
  • i partiti liberal-capitalisti (Pri, Pli);
  • il Partito Radicale.

Il percorso della legge 194 sull’aborto

L’aborto è diventato legale, dunque, nel 1978 ma già sette anni prima la Corte costituzionale fece la prima mossa nel tessuto sociale dichiarando illegittimo l‘articolo 553 del Codice penale, che riconosceva come reato la pubblicità dei contraccettivi.

Quello stesso anno, il 1971, tre senatori socialisti (Arialdo Banfi, Piero Guido Caleffi e Giorgio Fenoaltea) presentarono in Parlamento il primo progetto di legge sull’aborto. Quasi in contemporanea, veniva fatto o stesso alla Camera dei deputati. In entrambi i casi, le iniziative non vennero prese in considerazione.

Nel 1974, il deputato socialista Loris Fortuna (lo stesso che firmò per primo la proposta per la legalizzazione del divorzio) presentò una nuova proposta di legge appoggiata dai Radicali e dal Movimento di Liberazione della Donna.

Un anno dopo, il 18 febbraio 1975, la Corte costituzionale dichiarò parzialmente illegittimo l’articolo 546 del Codice penale («Aborto di donna consenziente»): veniva riconosciuta per la prima volta la legittimità dell’aborto terapeutico.

Due mesi più tardi, il Parlamento approvò la legge 405 per l’istituzione dei consultori familiari, che tra gli obiettivi hanno la divulgazione dei contraccettivi.

Da lì fino al 1978 vennero presentate in Parlamento altre sei proposte di legge sull’interruzione della gravidanza finché, il 22 maggio di quell’anno, venne approvato il progetto sottoscritto dai partiti sopra citati.

La battaglia non si concluse quel giorno, però: il 17 maggio 1981, il Movimento per la vita propose l’abolizione della legge 194 con un referendum abrogativo. Tentativo inutile: il 68% degli italiani votò contro l’abrogazione.

La procedura per l’aborto legale

L’interruzione volontaria della gravidanza deve avvenire:

  • entro i primi 90 giorni di gestazione;
  • per motivi di salute, economici, sociali o familiari.

Inoltre, l’aborto è legale in Italia se prima di effettuare l’intervento viene seguita questa procedura:

  • esame delle possibili soluzioni dei problemi proposti dalla donna;
  • aiuto a rimuovere le cause che porterebbero all’interruzione della gravidanza;
  • certificazione;
  • invito a soprassedere per sette giorni in assenza di urgenza, sia entro che oltre i primi 90 giorni di gravidanza.

La legge, dunque, non pone i medici nella situazione di essere dei «meri esecutori» di una richiesta ma chiede di intervenire, se e fin quanto possibile, per aiutare la donna a riflettere su una possibile alternativa all’aborto. A tal fine, l’articolo 4 della citata legge mette a disposizione della donna la possibilità di rivolgersi:

  • ad un consultorio pubblico;
  • ad una struttura sociosanitaria abilitata dalla Regione;
  • a un medico di sua fiducia.

Il consultorio e la struttura sociosanitaria hanno il compito di:

  • esaminare con a donna e con il padre del concepito (se a donna lo consente) le possibili soluzioni alternative all’aborto, nel rispetto della dignità e della riservatezza delle persone coinvolte;
  • aiutare a rimuovere le cause che porterebbero all’interruzione della gravidanza;
  • mettere la donna in grado di far valere i suoi diritti di lavoratrice e di madre;
  • promuovere ogni intervento a sostegno della donna sia durante la gravidanza sia al momento del parto.

Il medico di fiducia è tenuto a:

  • compiere gli opportuni accertamenti sanitari, sempre nel rispetto della dignità e della libertà della paziente;
  • valutare insieme alla donna e al padre de concepito (se la donna lo consente) le circostanze che portano a decidere per l’interruzione della gravidanza;
  • informare la donna sui diritti che le spettano e sugli interventi di tipo sociale a cui può accedere.

Se il consultorio, la struttura o il medico di fiducia avvertono la necessità di eseguire subito l’interruzione, viene rilasciato in forma immediata un certificato che attesta l’urgenza. Con questa certificazione, la donna può presentarsi in una struttura sanitaria autorizzata per sottoporsi all’aborto.

In caso contrario, cioè se non viene riscontrata l’urgenza, il medico del consultorio o della struttura sociosanitaria oppure quello di fiducia rilascia copia di un documento, firmato anche dalla donna, in cui:

  • si attesta lo stato di gravidanza;
  • si invita la donna a riflettere per sette giorni sula sua decisione.

Trascorso questo periodo, la donna può sottoporsi all’aborto presso una struttura autorizzata sulla base del documento che ha ricevuto.

Dopo i primi 90 giorni di gravidanza, l’aborto è legale se:

  • la gravidanza o il parto possono mettere in grave pericolo la vita della donna;
  • vengono accertati processi patologici, tra cui quelli che riguardano rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna.

Tali circostanze devono essere accertate e certificate da un medico del servizio ostetrico-ginecologico dell’ente ospedaliero in cui deve praticarsi l’aborto. Il medico è tenuto a fornire la relativa documentazione e a comunicare la certificazione al direttore sanitario per effettuare subito l’intervento. Queste procedure non sono necessarie nel caso in cui ci sia immediato pericolo di vita della donna.

 
Pubblicato : 21 Maggio 2023 18:30