Quando il mutuo è illegittimo e si può fare opposizione all’asta?
Dopo la sentenza 9479/23 della Cassazione, è bene comprendere quali sono le clausole abusive che consentono di bloccare il pignoramento della casa.
La recente sentenza n. 9479/2023 delle Sezioni Unite della Cassazione ha restituito un barlume di speranza in chi ha la casa all’asta per un debito con la banca o la finanziaria. La Corte ha infatti detto che è ben possibile opporsi al pignoramento – nonostante la scadenza dei termini – se il contratto sottoscritto dal debitore presenta una o più “clausole abusive”. Cosa sono le clausole abusive? Sono condizioni contrattuali particolarmente onerose e svantaggiose per chi le ha sottoscritte. Esse sono pertanto da ritenersi illegittime ai sensi della normativa europea. Ma quali sono queste clausole (che la nostra legge chiama anche “vessatorie”)? Quando il mutuo è illegittimo e si può fare opposizione all’asta? A chiarirlo è stato il tribunale di Milano grazie a un pool di magistrati esperti di contrattualistica.
Prima di addentrarci nel discorso più tecnico, cerchiamo di fare il punto della situazione e di scoprire quando e come opporsi al pignoramento immobiliare in presenza di un debito con un istituto di credito.
Come opporsi al pignoramento?
In linea generale, le banche agiscono, il più delle volte, in forza di un contratto di mutuo sottoscritto dinanzi a un notaio. Tale contratto è già “titolo esecutivo”: ha cioè la stessa forza di una sentenza perché consente al creditore di avviare il pignoramento senza bisogno di ottenere prima una condanna da parte del giudice.
Pertanto la banca, munita del solo contratto di mutuo, può notificare al debitore l’atto di precetto(ossia un’intimazione a pagare entro 10 giorni) e poi mettere la casa all’asta.
In tal caso la legge consente al debitore di presentare opposizione:
- contro vizi formali del procedimento: entro 20 giorni dal compimento dell’atto illegittimo (art. 617 cod. proc. civ.);
- contro la legittimità del titolo esecutivo (ossia per difetto del debito o errori nel conteggio delle somme): senza limiti di tempo, purché prima dell’aggiudicazione del bene all’asta.
In entrambi i casi è sempre necessario avvalersi di un avvocato che faccia ricorso al giudice.
A volte però le cose vanno diversamente. La banca potrebbe non avere tra le mani un titolo esecutivo. È ciò che succede quando il contratto di finanziamento viene sottoscritto in filiale, senza quindi il notaio. Si pensi a una fideiussione o all’apertura di credito sul conto corrente.
In tali ipotesi, se il cliente non restituisce le somme avute in prestito, la banca deve richiedere al giudice un decreto ingiuntivo che condanni il debitore a pagare le somme entro 40 giorni. Nello stesso termine, il debitore può fare opposizione se ritiene il debito inesistente o se sussistono vizi procedurali.
Scaduti i 40 giorni, il decreto ingiuntivo diventa definitivo e non può più essere contestato. Questo significa che, se anche ci si accorge in un momento successivo di non dover nulla alla banca è ormai troppo tardi.
Proprio qui è intervenuta la Cassazione a Sezioni Unite con la sentenza n. 9479/2023. Tale pronuncia ha stabilito che, laddove il contratto firmato con l’istituto di credito (ad esempio un mutuo, una fideiussione, un’apertura del credito) presenti clausole abusive, come tali contrarie al codice del consumo e alla direttiva 93/13/Cee, il debitore può bloccare l’asta giudiziaria nonostante l’intervenuta definitività del decreto ingiuntivo.
In altre parole, non importa se i termini per l’opposizione sono scaduti: è ben possibile fare opposizione all’asta e bloccare il pignoramento della casa. Pignoramento che, pertanto, verrà estinto e cesserà per sempre.
Di tanto abbiamo già parlato in:
Come proteggersi dalla banca e dal pignoramento della casa
Come bloccare la casa all’asta e il pignoramento immobiliare
Cosa cambia da oggi in poi?
La Cassazione ha rimproverato i giudici che emettono i decreti ingiuntivi per conto delle banche senza verificare prima la legittimità del contratto sottoscritto dal consumatore e senza accertarsi se ci sono clausole abusive. Un vaglio che, da oggi in poi, andrà fatto in sede preventiva proprio per garantire i diritti del consumatore.
Chi può avvantaggiarsi di questa sentenza “blocca-aste”?
La sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione va a beneficio solo dei consumatori e non anche delle aziende o degli imprenditori. Questo perché la disciplina sul divieto di clausole abusive è proprio rivolta a tutelare il consumatore, persona fisica, che è più indifeso.
Dunque, chi ha contratto un mutuo per il lavoro o per l’azienda non può avvalersi di questo rimedio. Chi invece ha firmato un finanziamento, una fideiussione o un fido per altre finalità è tutelato contro le clausole abusive dei contratti e può avvalersi della sentenza della Cassazione.
Per distinguere un consumatore da un professionista, il giudice deve valutare la presenza della Partita IVA nel ricorso e nelle fatture allegate. Se un individuo agisce come fideiussore verso la banca, garantendo il credito di un’entità cui è estraneo, ha diritto al riconoscimento come consumatore.
Quali sono le clausole considerate abusive?
Tra le clausole abusive contrarie al codice del consumo e alla direttiva 93/13/Cee che possono determinare l’illegittimità del debito e quindi, con esso, anche del pignoramento, vi sono:
- la clausola che deroga alla competenza del giudice o alla giurisdizione: si tratta della clausola che stabilisca, quale tribunale competente per decidere eventuali controversie, uno diverso da quello del luogo di residenza del debitore (in violazione della norma inderogabile del codice del consumo che invece impone quest’ultimo come unico ed esclusivo);
- la clausola penale di importo manifestamente eccessivo;
- la clausola che prevede interessi di mora da ritardato pagamento ad un tasso manifestamente eccessivo: come noto, tale tasso non può mai essere usurario o comunque superiore al saggio previsto dal d.lgs. n. 231/2002 (fanno eccezione i contratti bancari, ad esempio sulle carte di credito revolving, che prevedono tassi corrispettivi più alti);
- la clausola risolutiva espressa: è quella che, in caso di inadempimento, impone al consumatore di pagare a titolo di penale l’importo che avrebbe versato come corrispettivo se il contratto non fosse stato dichiarato risolto;
- la clausola che prevede, nei contratti di durata (come il mutuo), la decadenza del consumatore dal beneficio del termine, imponendogli cioè la restituzione immediata di tutte le somme, nel caso di inadempimento anche di una sola rata o simili (tale clausola viola l’articolo 33, co. 2, lett. O) del Codice del Consumo);
- la clausola che prevede, a carico del consumatore, l’obbligo di pagare il professionista con tariffa oraria senza che sia indicato l’impegno orario prevedibile o almeno determinato un impegno/monte orario massimo.
Per maggiori approfondimenti sul tema leggi Clausole vessatorie con le banche: quali sono?
Come si determina la competenza territoriale del giudice?
Il foro del consumatore ha la precedenza. Ciò significa che la causa si basa sul luogo di residenza o domicilio del consumatore al momento della domanda, e non quando è stato stipulato il contratto. Se un consumatore risiede fuori dal circondario del giudice attuale, il tribunale dovrebbe dichiararsi incompetente.
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