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Quando essere nullatenenti è reato

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(@angelo-greco)
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Intestare i propri beni a società o genitori è lecito?

Tempo addietro una nota associazione di tutela dei consumatori ha presentato un esposto alla finanza contro un ancor più noto personaggio pubblico il quale, dinanzi al giudice, si era dichiarato “nullatenente”. E ciò perché aveva intestato tutti i suoi beni alle società, di cui erano soci, oltre a lui stesso, anche i genitori. Questi ultimi però rivestivano i ruoli chiave (quelli cioè di amministratore). Detto ciò, sono stati in molti a chiedersi se essere nullatenenti è reato, se cioè si può incorrere in una denuncia per il semplice fatto di non aver nulla di proprietà e aver intestato tutto in capo a terzi come una madre, un padre o una Srl.

Una persona smaliziata dirà di certo che se essere nullatenenti è reato, dovrebbe andare in carcere mezza Italia. E, dall’altro lato, ci sarà anche chi si trova in condizioni di indigenza non certo per colpa sua. In verità la risposta alla domanda da cui siamo partiti non è così scontata e banale. Cerchiamo allora di comprendere quando essere nullatenenti è reato perché, a ben vedere, esistono delle situazioni in cui si può scomodare codice penale e Guardia di Finanza. Ma procediamo con ordine.

Intestare i propri beni a società o a terzi è legale?

Intestare i propri beni a terzi, quali persone fisiche (ad esempio i genitori o il coniuge) o giuridiche (società), è consentito dalla legge poiché ciascuno può fare dei propri beni ciò che vuole, amministrandoli personalmente o lasciandoli amministrare a terzi. Del resto il cosiddetto trust è proprio un contratto, previsto dal nostro ordinamento, con cui si intestano uno o più immobili in capo a una società fiduciaria, non risultandone più proprietari.

Tuttavia intestare i propri beni a una persona fisica o giuridica è illegale quando lo scopo è

  • danneggiare i diritti di terzi (ad esempio quelli dei creditori);
  • eludere il pagamento delle imposte.

Facciamo qualche esempio pratico.

Antonio ha un debito di 30mila euro con Matteo. Per evitare che questa gli pignori la casa, simula una separazione e intesta l’abitazione alla ex moglie. Mattero, in questo caso, può dimostrare che la separazione è simulata e pignorare ugualmente l’immobile.

Roberto, titolare di una azienda, ha un grosso debito con un ex dipendente. Pertanto svuota la società di cui è titolare di tutti i suoi beni e li intesta a un’altra società. In questo caso, il suo creditore può rivolgersi al giudice affinché revochi tali atti.

Antonio deve versare 100.000 euro all’Erario a titolo di Iva. Ma poiché non ha i soldi, per evitare che il fisco gli pignori il conto corrente, lo intesta al padre. Nello stesso tempo dona la seconda casa al figlio. In questo caso Antonio può essere inquisito penalmente.

Mario è un professionista che fa molto nero. Avendo parecchio contante che non sa come riciclare, apre un conto corrente a nome della moglie e, confidando sul fatto che su di costei l’Agenzia delle Entrate non farà indagini, vi versa tutti i soldi non dichiarati.

Da quanto abbiamo appena appreso, possiamo tracciare una prima rapida conclusione: l’intestazione fittizia di beni a terzi è illecita quando chi opera in tal modo:

  • ha dei debiti;
  • oppure sta tentando di ottenere un indebito risparmio fiscale.

Nel primo caso non si commette un reato ma un semplice illecito civile, a fronte però del quale il creditore può esperire la cosiddetta azione revocatoria entro cinque anni dall’atto contestato. Questa azione è rivolta a rendere inefficace la cessione del bene onde poterlo poi pignorare.

Nel secondo caso, si commette un reato, quello di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, quando il debito è superiore a 50mila euro e le imposte evase sono quelle sui redditi (Irpef, Ires) e Iva.

Non pagare i debiti è reato?

Chi non paga i propri debiti non commette reato ma un semplice illecito civile, quello di inadempimento. A fronte di ciò il creditore può agire con un pignoramento dei beni. Ma se il debitore è nullatenente, il creditore non ha alcun tipo di azione per potersi tutelare.

Tuttavia esiste un caso che può far scattare un reato: è quello di insolvenza fraudolenta. Questo illecito penale scatta tutte le volte in cui un soggetto conclude un contratto pur sapendo di non poter adempiere ma simulando una situazione diversa al creditore in modo da farlo cadere in errore. In parole semplici, si tratta di un comportamento volto a ingannare i creditori, creando l’apparenza di una solidità economica inesistente.

Il reato scatta in presenza di due elementi:

  • dissimulazione dello stato di insolvenza: il soggetto deve aver occultato o dissimulato la propria situazione di difficoltà economica, creando l’apparenza di essere in grado di adempiere alle proprie obbligazioni. La dissimulazione può avvenire attraverso diverse condotte, come ad esempio la falsificazione di bilanci, la sottrazione di beni al patrimonio aziendale o la creazione di società fittizie;
  • contrazione di obbligazioni che non si possono adempiere: il soggetto deve aver contratto nuove obbligazioni che, al momento della loro assunzione, già sapeva di non poter adempiere. Quindi non compie reato chi conclude un contratto avendo le capacità per adempiervi ma, successivamente, a causa di eventi imprevisti, non può più pagare.

Non è necessario che il soggetto abbia intenzione di truffare i creditori: è sufficiente che sia consapevole della propria incapacità di adempiere.

Il classico caso di insolvenza fraudolenta è quella del soggetto che si rivolta a una finanziaria per chiedere un prestito. Questa esige una busta paga e il contratto di lavoro per erogare il mutuo. Il dipendente produce tale documentazione ma tace di aver già ricevuto un preavviso di licenziamento. In tal caso la finanziaria erogherà il prestito che il debitore però non potrà mai onorare.

La pena per l’insolvenza fraudolenta è la reclusione da uno a cinque anni.

È importante sottolineare che la semplice difficoltà economica non configura il reato di insolvenza fraudolenta. La prova del reato è complessa e richiede la dimostrazione della consapevolezza del soggetto di non poter adempiere alle proprie obbligazioni.

Il caso di chi intesta i propri beni ai genitori prima di sposarsi

Un altro caso che aveva destato particolare clamore è stato quello di un calciatore che, prima del matrimonio, aveva intestato tutti i suoi beni alla madre. Sicché, al momento della separazione, l’ex moglie non ha potuto ricevere la casa coniugale, né il lauto assegno di mantenimento che avrebbe sperato di avere.

Anche in questo caso, nulla vieta che ci si possa spossessare dei propri beni in vista di un futuro incerto. Qui non c’è neanche l’intento malizioso del debitore che, dopo aver contratto il debito, dona o vende i beni. Quindi non è esercitabile l’azione revocatoria.

 
Pubblicato : 16 Febbraio 2024 07:00