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Quando è vietato il cambio di destinazione d’uso?

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(@angelo-greco)
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Può l’assemblea di condominio impedire di cambiare la destinazione d’uso di un appartamento? Quali sono i limiti alla modifica di un appartamento?

La gestione e la personalizzazione delle unità immobiliari in un condominio sono spesso soggette a specifiche normative. Anche se, in generale, ciascun condomino può fare della propria casa l’uso che vuole, e quindi può anche trasformare un’abitazione in ufficio o in un esercizio commerciale (e viceversa), esistono tuttavia dei limiti che devono essere rispettati e, pertanto, verificati prima di procedere alla trasformazione. In questo articolo vedremo quando è vietato il cambio di destinazione d’uso di un appartamento. Scopriremo se il condominio può vietare il cambio di destinazione d’uso, quando l’assemblea cioè può opporsi e, non in ultimo, se esistono regolamenti comunicali da rispettare. Ma procediamo con ordine.

Sono libero di cambiare l’uso di un appartamento o un magazzino?

Capita di frequente che il proprietario di un’unità immobiliare decida di cambiarne la destinazione d’uso per vari motivi: motivi di carattere personale o commerciale. L’esigenza potrebbe, ad esempio, scaturire da una potenziale vendita o affitto: non sono rari i casi in cui un appartamento viene alienato o dato in locazione sotto condizione che l’acquirente possa esercitare un’attività commerciale e che quindi ottenga tutte le licenze necessarie. La presenza di tale clausola fa sì che, se non si verifica la condizione dedotta in contratto, esso non produce effetti. È la cosiddetta “condizione sospensiva” che subordina l’efficacia dell’accordo a uno specifico evento.

Tuttavia la libertà del proprietario di cambiare l’uso dell’appartamento è soggetta a normative e limitazioni specifiche che riguardano la sicurezza, la stabilità, l’estetica dell’edificio e, non in ultimo, i piani regolatori del Comune.

La prima cosa da verificare è quindi la normativa urbanistica del Comune ove si trova l’immobile. Tale normativa ha carattere amministrativo e prevale su eventuali autorizzazioni concesse dal condominio.

Appurato che non vi sono limiti comunali, il secondo ostacolo è quello del condominio. Difatti la libertà di modificare l’uso di un’unità immobiliare non è illimitata. Vediamo quali sono gli ostacoli che potrebbe frapporre l’assemblea.

Il condominio può opporsi alla modifica di un appartamento?

L’unica norma del codice civile che si occupa di lavori nelle unità immobiliari è l’articolo 1122 del codice civile. Tale disposizione sancisce la libertà di ogni condomino di effettuare modifiche tanto alla proprietà individuale quanto alle parti comuni, a patto di non arrecare danno o pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro architettonico dell’edificio. Prima dell’avvio dei lavori bisogna sempre darne comunicazione all’amministratore che ne riferisce successivamente all’assemblea.

Come visto, la norma non pone limiti al cambio di destinazione d’uso a meno che questi possano danneggiare le aree comuni o la struttura stessa del palazzo, cosa piuttosto improbabile (a meno che non si intendano abbattere colonne portanti o muri che potrebbero pregiudicare la stabilità dell’edificio). Se così dovesse essere, l’amministratore o ciascun singolo condomino possono ricorrere al giudice affinché inibisca i lavori, ordinando la rimozione delle opere dannose e il ripristino della situazione anteriore.

Quando il condominio può opporsi alla modifica della destinazione d’uso?

Oltre al limite appena visto, esiste una seconda ipotesi in cui l’assemblea può vietare il cambio di destinazione: quando il regolamento lo vieti.

Attenzione però: deve necessariamente trattarsi di un “regolamento contrattuale” ossia approvato all’unanimità. Tale unanimità si può raggiungere in tre diversi modi:

  • con delibera assembleare cui partecipino tutti i condomini;
  • con apposito accordo contrattuale sottoscritto da ciascun condomino non necessariamente nel corso di una apposita delibera;
  • con l’allegazione del regolamento condominiale ai singoli atti di compravendita e approvazione dello stesso unitamente al rogito.

Tuttavia, affinché queste disposizioni siano valide, devono essere formulate in modo chiaro e inequivocabile. Regolamenti con formulazioni vaghe o incerte non sono sufficienti a limitare i diritti dei condomini.

Il regolamento poi, con la limitazione al cambio di destinazione, deve essere annotato nei pubblici registri immobiliari per poter essere opponibile anche ai successivi condomini, i cosiddetti “aventi causa” ossia coloro che acquisteranno l’immobile a seguito di compravendita, donazione o successione ereditaria. Se tuttavia l’annotazione non viene curata, il limite è ugualmente valido se il regolamento viene allegato all’atto pubblico di trasferimento dell’immobile.

Quando l’assemblea può impedire la compravendita

Quando il regolamento contrattuale vieta il cambio di destinazione d’uso, quest’ultimo è inibito anche senza bisogno che intervenga un’apposita delibera dell’assemblea a vietarlo. È quanto emerge dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 36301 del 28 dicembre 2023.

La pronuncia ha deciso la lite tra due persone: il proprietario di un immobile e un altro soggetto interessato all’acquisto. I due avevano sottoscritto un compromesso e, all’interno, avevano inserita una clausola che subordinava la conclusione della compravendita definitiva al cambiamento della destinazione d’uso dell’appartamento.

La clausola in questione garantiva che l’unità immobiliare oggetto di vendita potesse essere destinata a uso ufficio. Il promittente venditore si era impegnato a ottenere tutte le autorizzazioni necessarie per tale trasformazione, a spese del promissario acquirente, che avrebbe dovuto sostenere anche l’onere dei lavori per il cambio di destinazione.

L’assemblea dei condomini, tuttavia, aveva negato la possibilità di modificare la destinazione d’uso dell’immobile per via della presenza di un divieto nel regolamento condominiale. Il mancato verificarsi della condizione prevista dalla clausola di garanzia aveva quindi portato alla risoluzione del rapporto contrattuale (il contratto preliminare) e obbligato il promittente venditore a restituire il doppio della caparra.

Il venditore sosteneva che il mancato verificarsi della condizione prevista dalla clausola dipendeva da fattori esterni alla volontà delle parti: l’unico ostacolo era stata la delibera dell’assemblea condominiale che negava il mutamento d’uso. Ma tale doglianza non è stata accolta dalla Cassazione secondo cui ben può il condominio opporsi, se non alla vendita, al cambio di destinazione d’uso degli appartamenti se sussiste un divieto nel regolamento condominiale approvato all’unanimità.

Cosa si intende per danno nelle modifiche condominiali?

Il concetto di danno nelle modifiche condominiali va inteso in senso ampio. Non si limita al danno materiale ma include anche quello derivante da opere che riducono le utilità o il valore estetico della cosa comune. Pertanto, qualsiasi modifica che comporti un peggioramento del decoro architettonico dell’edificio rientra nel divieto. Questo significa che tutte le modifiche, anche quelle apparentemente insignificanti, devono essere valutate attentamente per assicurare che non violino le norme condominiali e non arrechino danno agli altri condomini.

 
Pubblicato : 5 Gennaio 2024 10:00