Quando denunciare un datore di lavoro ingiusto
Affrontiamo il caso di estorsione in ambiente lavorativo, esplorando le tutele legali a disposizione dei dipendenti e le sanzioni per i datori di lavoro scorretti.
Non tutte le aziende rispettano i diritti dei dipendenti. In alcuni contesti, i lavoratori sono sotto perenne ricatto: «O accetti queste condizioni, o puoi andartene». Questa minaccia integra, secondo la Cassazione, il reato di estorsione, sicché il dipendente potrebbe sporgere anche querela contro il proprio capo.
È stata la giurisprudenza a evidenziare più volte quando denunciare un datore di lavoro ingiusto. Ci sono alcuni esempi piuttosto ricorrenti. Li vedremo qui di seguito.
Obbligo di accettare un pagamento inferiore alla busta paga
Secondo la Cassazione (sent. n. 1284/2011) commette estorsione il datore di lavoro che costringe i dipendenti, mediante la minaccia di licenziamento, a firmare buste paga superiori alla prestazione lavorativa effettivamente compiuta. È quindi un illecito penale il fatto di costringere il dipendente ad accettare una paga più bassa (facendosi restituire una parte dello stipendio in contanti). Quindi il datore di lavoro che dice “ti posso pagare solo questo” commette reato.
Poiché però lo stipendio deve essere accreditato per intero sul conto corrente, il datore di lavoro potrebbe obbligare il dipendente a restituirgli una parte dell’importo in contanti. Se questi dovesse rifiutarsi, non potrebbe chiaramente essere licenziato ma anzi, come anticipato, potrebbe sporgere querela entro tre mesi.
Obbligo di rinunciare al TFR
In un recente caso la Cassazione ha condannato per estorsione il datore di lavoro che ha fatto firmare al dipendente una rinuncia al TFR in cambio di una nuova assunzione presso una diversa azienda. Il trattamento di fine rapporto va sempre liquidato al termine del rapporto di lavoro e tale diritto non può essere oggetto di rinuncia, neanche se con apposita accettazione scritta dell’interessato.
Costringere il dipendente a dimettersi
Obbligare il dipendente a dimettersi, sottoponendolo al ricatto di una vita lavorativa altrimenti infernale, piena di ostacoli e di difficoltà, integra il reato di estorsione. Anche questo chiarimento è stato fornito dalla Suprema Corte (sent. n. 7225/19).
Costringere il dipendente ad accettare condizioni diverse dal contratto di lavoro
In un recente caso preso in esame dalla seconda sezione penale della Cassazione (sent. n. 29047 del 05.07.2023), si è evidenziata una ulteriore forma di estorsione da parte del datore di lavoro. Quest’ultimo, pur regolarizzando un rapporto di lavoro precedentemente “in nero”, ha imposto condizioni di lavoro non corrispondenti a quelle riportate sul contratto, causando uno svantaggio economico per il dipendente.
Nel caso specifico, i soci della società indagata hanno utilizzato pressioni psicologiche per costringere i lavoratori a accettare condizioni lavorative sfavorevoli.
Quando si può configurare l’estorsione?
L’estorsione si configura quando il datore di lavoro minaccia di licenziare o costringere i dipendenti a dimettersi per indurli ad accettare condizioni di lavoro peggiorative rispetto a quelle pattuite inizialmente. Il giudice, però, deve verificare caso per caso se queste condizioni si verificano effettivamente e se, attraverso tale comportamento, il datore di lavoro mira a ottenere un “vantaggio ingiusto”.
Il vantaggio ingiusto si ha quando il datore di lavoro beneficia di condizioni contrattuali che, pur sembrando rispettare le normative di tutela dei diritti dei lavoratori, in realtà nascondono situazioni svantaggiose per il dipendente, come orari di lavoro estenuanti, mancanza di ferie o una retribuzione inferiore a quella dichiarata.
Lavoratori sottopagati a causa della crisi
Sempre secondo la Cassazione (sent. n. 4290/2012), si può querelare per il reato di estorsione il datore che, nel momento dell’assunzione, con delle minacce ottiene che i dipendenti lavorino per lui sottopagati, tutelandosi, contestualmente, dalle eventuali azioni civilistiche dei lavoratori tese a ottenere quanto loro dovuto facendo loro firmare già delle quietanze. Peraltro tali quietanze non avrebbero alcun valore visto che l’unica prova dell’effettivo e completo pagamento consiste nel bonifico bancario.
Allo stesso modo è estorsione tenere i lavoratori in nero sotto minaccia di licenziamento (Cass. sent. n. 36642/2007): anche in questo caso si può sporgere querela.
-
Vaccino non obbligatorio senza consenso informato: c’è risarcimento?
2 giorni fa
-
Come fa il datore di lavoro a sapere il motivo della malattia?
4 giorni fa
-
Residenza persone fisiche: nuove regole
4 giorni fa
-
Quando è illegittimo il contratto a termine?
5 giorni fa
-
Proposta di acquisto casa legata alla concessione del mutuo
6 giorni fa