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Previdenza complementare, come e perché aderire

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(@roberto-scavo)
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Quanto sarà alta la tua pensione? Riuscirai a mantenere lo stesso tenore di vita rispetto a quando lavoravi? Ecco il modo per integrare il tuo reddito.

Nell’immaginario collettivo, la pensione è il traguardo che garantisce la definitiva serenità a chi, per 40 e passa anni, ha fatto ogni giorno il proprio dovere, nei momenti buoni e in quelli meno buoni. Il momento in cui arriva il primo assegno previdenziale lo si attende come un evento straordinario: «Finalmente sono in pensione e mi pagano per stare a casa, dopo tanti sacrifici, dopo tanta schiena spaccata, dopo tanto tempo tolto alla famiglia», viene da pensare con un sorriso soddisfatto. Poi, guardando l’assegno, c’è chi rischia la doccia fredda: l‘importo potrebbe non essere certamente quello atteso, quello che doveva garantire i progetti fatti per gli anni di vita che restano. A dare una mano a chi si trova in questa situazione c’è la previdenza complementare. Come e perché aderire?

Il motivo è quello appena detto: con la previdenza complementare, disciplinata da un decreto legislativo del 2005, si ha la possibilità di concorrere ad assicurare al lavoratore un livello adeguato di tutela pensionistica, insieme alle prestazioni garantite dal sistema pubblico di base.

In pratica, il lavoratore a riposo può contare su una doppia prestazione:

  • la pensione che spetta per il lavoro svolto;
  • il capitale accumulato negli anni come pensione complementare.

La previdenza complementare, quindi, si basa su un sistema di forme pensionistiche che hanno il compito di raccogliere il risparmio previdenziale mediante il quale, al termine della vita lavorativa, si potrà beneficiare di una pensione integrativa.

La posizione individuale del lavoratore risulta costituita:

  • dai contributi versati dal lavoratore e dal datore di lavoro alla forma pensionistica complementare;
  • dai rendimenti ottenuti, al netto dei costi, attraverso l’investimento sui mercati finanziari dei contributi stessi;
  • alla durata del periodo di versamento dei contributi.

Possono aderire alla previdenza complementare:

  • lavoratori dipendenti, privati e pubblici;
  • soci lavoratori e i lavoratori dipendenti di società cooperative di produzione e lavoro;
  • lavoratori autonomi e i liberi professionisti;
  • persone che svolgono lavori non retribuiti in relazione a responsabilità familiari;
  • lavoratori con un’altra tipologia di contratto (ad esempio, un lavoratore a progetto o occasionale).

 Previdenza complementare: tipologia di fondi

Sono forme pensionistiche complementari:

  • i fondi pensione negoziali, o fondi chiusi, istituiti dai rappresentanti dei lavoratori e dei datori di lavoro nell’ambito della contrattazione nazionale, di settore o aziendale;
  • i fondi aperti, istituiti da banche, imprese di assicurazioni, società di gestione del risparmio e società di intermediazione mobiliare;
  • i Piani pensionistici individuali (Pip), ovvero contratti di assicurazione sulla vita con finalità previdenziale;
  • i fondi pensione preesistenti al 15 novembre 1992, cioè prima del decreto legislativo n. 124 del 21 aprile 1993 che ha istituito la previdenza complementare.

Previdenza complementare: come viene alimentata?

Il finanziamento delle forme pensionistiche complementari è a carico del lavoratore destinatario della prestazione e, in caso di rapporto di lavoro dipendente, in parte anche a carico del datore di lavoro. Inoltre, i lavoratori dipendenti possono decidere di integrare i versamenti contributivi anche mediante il conferimento al Fondo del trattamento di fine rapporto (Tfr).

Il lavoratore dipendente, entro sei mesi dall’assunzione, può decidere di:

  • destinare le quote di Tfr ancora da maturare ad una forma pensionistica complementare;
  • lasciare il Tfr presso il datore di lavoro;
  • non decidere nulla: il datore di lavoro trasferisce il Tfr maturando alla forma pensionistica collettiva prevista dagli accordi o contratti collettivi, salvo accordi aziendali diversi. Nel caso di presenza di più forme pensionistiche, il Tfr è trasferito, salvo diverso accordo aziendale, al fondo pensione al quale ha aderito il maggior numero di dipendenti. In assenza di forme pensionistiche integrative collettive di riferimento, il datore di lavoro deve trasferire il Tfr maturando alla forma pensionistica complementare istituita appositamente presso l’Inps;
  • destinare il Tfr futuro alla previdenza complementare anche in un secondo momento. Il trattamento di fine rapporto maturato resta accantonato presso il datore di lavoro e sarà liquidato al momento della risoluzione del rapporto di lavoro.
 
Pubblicato : 25 Giugno 2023 06:45