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Prendere con la forza lo smartphone del coniuge è reato?

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(@raffaella-mari)
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Se il partner, il coniuge, il compagno o la compagna, nell’ambito di un diverbio di coppia, dovesse strappare dalle mani dell’altro il cellulare per leggerne i messaggi e vedere cosa vi è nascosto, quale azione penale si potrebbe intraprendere? 

Di recente la Cassazione ha detto che è ben possibile fare lo screenshot ai messaggi trovati sul cellulare del coniuge se ciò serve per dimostrare in giudizio un tradimento e chiedere l’addebito. E non importa se la segretezza della corrispondenza è tutelata dalla Costituzione: nell’ambito di una famiglia, la sfera della privacy subisce una compressione per via della condivisione dei medesimi spazi. Peraltro anche la prova acquisita in modo illecito può essere utilizzata se serve per far valere i propri diritti.

Ciò non toglie che l’uso della violenza non può mai essere tollerato dal nostro ordinamento, neanche quando non è finalizzato a ferire ma solo a impossessarsi di un oggetto altrui. Sicché è naturale chiedersi se prendere con la forza lo smartphone del coniuge è reato?

La Cassazione è tornata sul punto dopo aver già detto, in passato, che tale comportamento non può essere tollerato e va inquadrato come reato.

In particolare, con la sentenza n. 29360/2023, la Suprema Corte ha giudicato il caso di una coppia. Uno dei due coniugi, sospettando che l’altro gli stesse nascondendo qualcosa all’interno dello smartphone glielo ha strappato dalle mani per leggerne le chat e gli altri contenuti. Secondo la Corte un comportamento del genere integra il reato di rapina e come tale può portare a una condanna penale.

Chiaramente il fatto andrà provato e sul punto, oltre alle dichiarazioni della vittima, che nel processo penale fanno prova, ben si possono usare le registrazioni delle conversazioni tra i presenti pur se avvenute senza l’altrui consenso.

Cosa ha determinato la condanna del marito per rapina?

L’episodio analizzato ha luogo in un ambiente domestico in cui una donna è vittima di violenze e molestie da parte del marito. L’uomo, nell’atto di sottrarre con forza lo smartphone alla moglie, ha commesso un atto che i giudici hanno considerato come un reato di rapina. La condanna è stata di tre anni e cinque mesi di reclusione e una multa di 1.500 euro, basata sulle dichiarazioni della vittima, supportate da una registrazione audio e messaggi salvati sul suo cellulare.

La difesa dell’uomo ha sollevato due punti principali di obiezione alla sentenza. Il primo riguardava la validità delle prove, sostenendo che le dichiarazioni della donna, la registrazione audio e i messaggi avrebbero potuto essere facilmente manipolati.

Il secondo punto era legato alla natura del reato, sostenendo che la breve e temporanea sottrazione dello smartphone dovrebbe essere considerata come un furto d’uso o violenza privata, non come un reato di rapina, dal momento che non vi era stato un danno patrimoniale.

Come ha risposto la Cassazione a queste obiezioni?

La Corte di Cassazione ha ribadito la validità delle prove utilizzate, precisando che i giudici di secondo grado avevano approfondito la questione della loro autenticità e non avevano riscontrato manipolazioni nelle registrazioni. Inoltre, è stato chiarito che tali registrazioni di conversazioni tra presenti, realizzate da uno dei partecipanti, costituiscono una prova documentale utilizzabile in tribunale. Salvo che vi sia una contestazione della parte contro cui vengono prodotte e tale contestazione non sia generica ma insinui un fondato dubbio sulla genuinità della riproduzione.

Sottrarre lo smartphone al proprietario è reato

Per quanto riguarda la sottrazione dello smartphone, la Corte di Cassazione ha confermato che l’atto costituiva un reato di rapina. È stato sottolineato che per il delitto di rapina, il profitto può consistere in qualsiasi utilità, anche morale, e che l’importante è che l’azione sia commessa appropriandosi con violenza o minaccia di un bene mobile altrui.

La Corte di Cassazione ha confermato che l’intenzione di trarre un qualsiasi tipo di profitto, anche non patrimoniale, dalla propria azione è sufficiente per configurare il reato. Pertanto, anche se l’uomo voleva semplicemente conoscere il nome dell’avvocato della moglie, il suo atto è stato considerato un reato di rapina.

 

 
Pubblicato : 10 Luglio 2023 14:00