Possibile un decreto ingiuntivo su un’e-mail?
L’email vale come prova scritta solo se certificata (PEC) o se munita di firma elettronica.
Per recuperare un credito è necessario avviare una causa contro il debitore affinché il giudice accerti l’esistenza del diritto e il suo ammontare. Tuttavia, in presenza di una prova scritta di detto credito, si può accelerare l’iter bypassando il giudizio e richiedendo l’emissione di un decreto ingiuntivo.
In un’era tuttavia in cui ogni contatto a distanza, anche quando si tratta di affari di lavoro, avviene tramite strumenti telematici, è normale chiedersi se sia possibile un decreto ingiuntivo su un’email. La posta elettronica ordinaria può valere come prova del credito? In presenza di uno scambio di email che attestino un contratto o qualsiasi altro accordo di natura commerciale, o comunque da cui si evinca l’obbligazione di corrispondere una determinata somma di denaro, si può chiedere al giudice l’emissione di un’ingiunzione di pagamento?
Per comprenderlo dobbiamo fare un passo indietro e comprendere quali sono innanzitutto le prove scritte a fronte delle quali può essere rilasciato un decreto ingiuntivo dal giudice competente.
Cos’è un decreto ingiuntivo?
Il decreto ingiuntivo è un provvedimento con il quale il giudice – su ricorso del creditore – intima al debitore di adempiere agli impegni assunti, onde evitare di subire l’esecuzione forzata.
Per ottenere una ingiunzione di pagamento (procedimento più celere ed economico rispetto alla causa ordinaria) è necessario però che il creditore sia in possesso di una prova scritta che attesti l’esistenza del credito.
Una volta che il giudice ha emesso il decreto ingiuntivo (senza necessità di instaurare un processo e quindi senza sentire la controparte), il creditore, nei 60 giorni successivi, notifica il decreto al debitore. Quest’ultimo ha 40 giorni di tempo per:
- pagare;
- non pagare e subire l’esecuzione forzata (il pignoramento dei beni);
- fare opposizione e, in tal caso, rovesciare l’onere della prova sul creditore.
Con l’opposizione si instaura una vera e propria causa in cui il giudice accerterà il diritto del creditore sulla base delle prove offerte da quest’ultimo.
Decreto ingiuntivo: quale prova è necessaria?
Il creditore che chiede l’emissione di un decreto ingiuntivo deve dimostrare l’esistenza del proprio credito fornendo una prova scritta dello stesso.
I documenti che costituiscono prova scritta del credito e che consentono di ottenere l’emissione di un decreto ingiuntivo possono essere i seguenti:
- documenti contabili (fatture, estratti conto, libri, registri e parcelle);
- fatture;
- estratto conto e estratto di saldaconto;
- estratti autentici dei libri e delle scritture contabili (se il creditore è imprenditore o lavoratore autonomo);
- libri o registri della pubblica amministrazione per crediti dello Stato o di enti o istituti soggetti a tutela o vigilanza dello Stato;
- parcella per onorari, spese o altre prestazioni;
- contratti (contratti di lavoro, di locazione, di fideiussione, di vendita, di finanziamento, ecc.);
- polizze assicurative;
- PEC e posta elettronica ordinaria;
- Fax e telegramma;
- assegno e cambiale;
- verbale di assemblea condominiale;
- riconoscimento di debito sottoscritto dal debitore;
- pusta paga;
- promesse di pagamento con scrittura privata;
- perizie;
- attestato di credito emesso dalla Siae;
- buono di consegna della merce.
Una disciplina particolare è prevista per gli onorari degli avvocati e di altri soggetti che prestano la propria opera in un processo nonché per i notai e i liberi professionisti. Per questi è ammessa la parcella vidimata dall’ordine di appartenenza.
La PEC per il decreto ingiuntivo
Il decreto ingiuntivo può essere certamente emesso sulla base di una PEC, la posta elettronica certificata che, come noto, rappresenta la forma telematica di una normale raccomandata a.r. e fa prova non solo dell’invio e del ricevimento ma anche del contenuto della stessa.
Il creditore tuttavia non può limitarsi a dimostrare la PEC inviata ma deve produrre anche le due ricevute (la prima di invio e la seconda di consegna) inoltrategli dal gestore per provare il corretto invio della mail.
La firma elettronica e la PEC si considerano autentiche fino a prova contraria, assicurano l’identità del mittente e impediscono, a soggetti diversi dal titolare, la modifica del documento.
Qualora dunque la mail certificata o con firma elettronica contenga una promessa di pagamento o il riconoscimento di un debito o comunque contenga la prova di un credito altrui, su di essa è possibile fondare la richiesta – indirizzata al tribunale o al giudice di pace – per l’emissione di una ingiunzione di pagamento nei confronti del debitore.
L’email ordinaria può fondare un decreto ingiuntivo
La mail ordinaria non ha lo stesso valore della Pec. Secondo la giurisprudenza, l’email ordinaria è una semplice “riproduzione meccanica” (al pari, ad esempio, di una fotocopia o una fotografia), ma diventa prova documentale solo se non contestata dalla controparte. Quindi, a rigore, la posta elettronica semplice non può essere sufficiente per fondare un decreto ingiuntivo poiché, nel procedimento monitorio (quello cioè per l’emissione dell’ingiunzione di pagamento), il debitore non è presente e quindi non è possibile verificare se questi si oppone o meno.
Secondo alcuni giudici il messaggio inviato tramite cellulare o tramite chat WhatsApp costituisce prova scritta ai fini della concessione del decreto ingiuntivo (Trib. Genova 24 novembre 2016).
Quando l’email ordinaria non consente di ottenere un decreto ingiuntivo
Ciò nonostante, parte della giurisprudenza considera prova scritta anche la posta elettronica ordinaria, formando piena prova dei fatti e delle cose rappresentate se colui contro il quale viene prodotta non ne disconosce la conformità nel successivo giudizio di opposizione. In buona sostanza viene rimessa al debitore la possibilità di opporsi all’email facendo opposizione all’ingiunzione di pagamento. Questo è l’orientamento della più recente giurisprudenza (confronta: Cass. 14 maggio 2018 n. 11606, Trib. Foggia 20 giugno 2012, Trib. Cassino 24 febbraio 2009, Trib. Verona 26 novembre 2005, Trib. Ancona 9 aprile 2005, Trib. Lucca 17 luglio 2004).
Tale orientamento non è comunque condiviso da tutti. Ve n’è un altro secondo cui l’email priva di firma elettronica non ha lo stesso valore di prova di una scrittura privata poiché non v’è certezza circa il suo autore. La posta elettronica, infatti, non è considerata dalla legge una prova scritta a meno che non sia certificata (cosiddetta PEC) o non sia munita di firma elettronica [1]. Spetterà pertanto al giudice valutare liberamente la sua idoneità soddisfare il requisito della forma scritta (Cass. 8 marzo 2018 n. 5523).
I documenti informatici sono considerati valide prove [2] solo se dotati di firma elettronica [3] – paragonabile alla firma autografa nel documento cartaceo – oppure se si tratti di PEC (che, a differenza della mail ordinaria e semplice, ha valore certificativo).
Pertanto, secondo tale indirizzo interpretativo, il documento informatico su cui è apposta una firma elettronica digitale oppure altro tipo di firma elettronica qualificata o una firma elettronica avanzata invece soddisfa sempre il requisito di forma scritta.
La stampa di un’email è una prova scritta?
Anche la stampa di una e-mail non va considerata come scrittura privata ma come una riproduzione meccanica che può essere disconosciuta. Pertanto chi se ne vuole avvalere deve dimostrarne la conformità al fatto ivi rappresentato e non a un inesistente documento originale (Trib. Torino 12 febbraio 2008).
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