Per quali motivi l’assegnazione della casa coniugale viene revocata?
Condizioni e motivazioni per cui un giudice, dopo il divorzio, può revocare il diritto di abitazione nella casa di proprietà dell’ex coniuge.
Con la sentenza di separazione o di divorzio, il giudice, in presenza di una coppia con figli non ancora autonomi, riconosce il diritto di abitazione nell’ex casa familiare al genitore presso cui questi ultimi vanno a vivere (il cosiddetto “genitore collocatario”).
Recentemente, la tendenza dei giudici è però rivolta a limitare tale diritto, disponendone la decadenza al ricorrere di determinate condizioni. Qui di seguito vedremo per quali motivi l’assegnazione della casa coniugale viene revocata: quando cioè il proprietario dell’abitazione può ritornare a vivere all’interno di essa, sfrattando l’ex coniuge o partner. Ma procediamo con ordine.
Quando viene assegnata la casa coniugale?
Per comprendere quando e in quali casi decade il diritto di abitazione, bisogna comprendere innanzitutto la finalità per cui lo stesso viene riconosciuto.
In presenza di una coppia sposata o semplicemente convivente, il giudice può assegnare il diritto di abitazione in quella che prima era la dimora familiare al genitore collocatario dei figli. Lo scopo di tale provvedimento non è garantire a quest’ultimo un sostegno economico (neanche se dovesse essere privo di reddito), ma assicurare che i figli possano continuare a vivere nello stesso ambiente domestico in cui erano cresciuti sino ad allora. E non importa se, al momento della separazione, i bambini sono molto piccoli e non hanno ancora sviluppato una percezione dello spazio o non hanno ancora stabilito delle proprie abitudini.
La casa familiare viene vista dunque come uno strumento per garantire alla prole un habitat domestico, non semplicemente come un’alternativa al mantenimento (Cassazione, 25604/2018).
Proprio perché, come detto sopra, il diritto di abitazione viene riconosciuto non solo in presenza di un matrimonio ma anche di una convivenza di fatto, sarebbe meglio parlare di «assegnazione della casa familiare» piuttosto che della «casa coniugale».
Quando non viene assegnata la casa coniugale?
Se dunque è vero che scopo del diritto di abitazione è assicurare un tetto stabile alla prole, è anche vero che tale diritto non può essere riconosciuto nei seguenti casi:
- coppia senza figli;
- coppia non convivente (ad es. nel caso di figlio nato da una relazione occasionale);
- coppia con figli provenienti da una precedente relazione di uno dei due genitori;
- coppia con figli economicamente autonomi, anche se conviventi;
- coppia con figli non ancora autonomi ma che già vivono da soli (ad es. a casa del fidanzato).
Fino a quando dura l’assegnazione della casa coniugale?
Il diritto di abitazione nella casa del genitore non collocatario cessa nei seguenti casi:
- quando i figli vanno a vivere altrove;
- quando il coniuge collocatario si risposta o cambia residenza;
- quando i figli diventano economicamente indipendenti;
- quando i figli, sebbene non ancora autonomi, perdono comunque il diritto al mantenimento.
In merito a quest’ultimo punto, la Cassazione ha detto che il figlio perde gli alimenti quando:
- raggiunge l’autonomia economica (anche se con un contratto part-time o a tempo determinato purché abbia una durata lunga). Non rileva se, dopo poco, dovesse tornare disoccupato poiché, una volta cessato, il diritto al mantenimento non può risorgere più;
- divenuto maggiorenne, non studia né si preoccupa di cercare un’occupazione;
- rinuncia, senza valido motivo, ad offerte di lavoro;
- benché ancora disoccupato, superi 30/35 anni (a seconda del percorso di studi prescelto): oltre una certa età, infatti, si può presumere che lo stato di disoccupazione dipenda da un comportamento colpevole e inerte.
In quali altri casi viene revocata la casa coniugale?
Come abbiamo visto, l’assegnazione della casa coniugale può essere revocata per diversi motivi, principalmente legati all’interesse dei figli e all’uso effettivo dell’immobile.
Secondo l’articolo 337-sexies del Codice Civile, la revoca può avvenire se il coniuge assegnatario:
- abbandona l’abitazione,
- non vi vive stabilmente,
- inizia una convivenza di fatto stabile
- si risposa.
La Corte di Cassazione ha emesso diverse sentenze che illuminano i criteri di questa prassi.
Così, ad esempio, perde il godimento della casa familiare la madre di una ragazza che, pur non in grado di sostenersi, si trasferisce nella città del fidanzato per iniziare lì l’università e un percorso di vita del tutto autonomo, chiudendo consapevolmente ogni legame con il passato (Cassazione, 16134/2019). A maggior ragione, il genitore collocatorio perde il diritto di abitare nella ex casa comune se il figlio decide di emigrare all’estero e lì porre il centro dei propri interessi, tanto che il ritorno a casa si riduce ormai a semplice ospitalità (Cassazione, 11844/2019).
L’assegnazione dell’abitazione che, in sede di separazione, sia stata collegata alla quantificazione dell’assegno di mantenimento, può essere revocata al momento del divorzio – se non ci sono figli che ne giustifichino l’attribuzione – trattandosi di un’intesa non negoziale ma avente causa nella separazione stessa poiché fondata sugli obblighi derivanti dal matrimonio (Cassazione, ord. n. 7939 del 20 marzo 2019).
Cosa comporta la revoca della casa familiare?
La revoca dell’assegnazione della casa familiare non implica automaticamente un aumento dell’assegno di divorzio. Occorre prima una verifica sull’effettivo peggioramento della situazione dell’ex assegnatario.
Quali tutele esistono se la casa coniugale viene venduta?
Può accadere che, per tamponare disagi economici, il titolare dell’appartamento decida, durante il matrimonio, di venderlo a terzi. Quali rischi correrà l’affidatario dei figli che si sia visto assegnare la casa dopo il trasferimento? Nessuno, rassicura Cassazione 9990/2019, purché nell’atto di compravendita risulti inserita la cosiddetta «clausola di rispetto» della preesistente detenzione qualificata o il nuovo proprietario abbia stipulato un distinto contratto di comodato con chi l’aveva occupata fino ad allora.
Inoltre, le Sezioni Unite 11096/2002 ricordano che il provvedimento di attribuzione, avendo data certa, resta opponibile al terzo acquirente anche successivamente (per nove anni se non trascritto e anche oltre, se trascritto).
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