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Patto di prova nullo: conseguenze dell’illegittimo licenziamento

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(@angelo-greco)
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Se il patto di prova era illegittimo, al dipendente spetta la reintegra (con una assunzione a tempo indeterminato e full time) oppure solo il risarcimento del danno?

Il patto di prova è uno strumento utilizzato di frequente nel mondo del lavoro per consentire una prova prima dell’avvio dell’assunzione vera e propria, ma cosa accade se viene ritenuto nullo? Porta automaticamente all’assunzione a tempo indeterminato (o meglio, alla reintegra) o solo a un risarcimento del danno nei confronti del dipendente? Queste sono domande che ogni lavoratore si pone e alle quali la recente sentenza della Cassazione (la n. 20239 del 2023) ha fornito una risposta chiara. Vediamo dunque quali sono le conseguenze dell’illegittimo licenziamento in caso di patto di prova nullo, quali i diritti del dipendente estromesso e le tutele legali previste dalla legge.

Quando il patto di prova è nullo?

La legge consente al datore di lavoro di assumere il dipendente dopo un primo periodo di prova all’esito del quale, in caso di valutazione negativa della prestazione, licenziarlo senza dover fornire un giustificato motivo. In altri termini, per tutta la prova ciascuna parte può recedere dal contratto ad nutum, ossia in tronco e senza tante spiegazioni.

A tal fine però la legge prevede una serie di condizioni affinché il patto di prova sia valido. Esso deve essere innanzitutto scritto, deve indicare il termine della prova e soprattutto le mansioni a cui è addetto il dipendente al fine di verificare se l’eventuale valutazione negativa della sua prestazione è stata effettuata proprio sulle attribuzioni alle quali sarebbe stato preposto e pertanto è da considerarsi obiettiva e non pretestuosa.

La violazione di tali regole porta alla nullità del patto di prova, come abbiamo già spiegato nella guida Patto di prova: quando è nullo.

In particolare, il patto di prova è nullo quando:

  • non è stato riportato nel contratto e pertanto non è scritto ma verbale;
  • il patto di prova non è stato firmato da entrambe le parti;
  • manca l’indicazione specifica delle mansioni a cui è preposto il dipendente (è tuttavia possibile fare riferimento al sistema classificatorio della contrattazione collettiva);
  • concerne mansioni per le quali il dipendente è stato già valutato in passato dall’azienda (si pensi al lavoratore che, prima licenziato, viene poi riassunto per le stesse attività ma con un patto di prova);
  • la verifica è stata condotta su mansioni diverse da quelle di assunzione (inferiori o superiori);
  • il lavoratore dimostra che il periodo è stato inadeguato a permettere un’idonea valutazione delle sue capacità;
  • il licenziamento è riconducibile ad un motivo illecito (come, ad esempio, una ragione discriminatoria) o estraneo al rapporto di lavoro (come, ad esempio, l’invalidità del lavoratore).

Che succede alla scadenza del periodo di prova?

Al termine del periodo di prova entrambe le parti sono libere di recedere dal contratto oppure di continuarne l’esecuzione. In questo caso, perché il rapporto di lavoro si consideri definitivo, non è necessario che il datore di lavoro renda esplicita la sua volontà di confermare il lavoratore assunto in prova, ma è sufficiente che l’attività lavorativa prosegua – anche per breve tempo – dopo la scadenza della prova.

Tuttavia, se le parti hanno stabilito una durata minima del periodo di prova per consentire l’effettività dell’esperimento (prevedendo, ad esempio, un obbligo risarcitorio in capo al lavoratore che si dimette anticipatamente), il recesso può avvenire solo dopo la scadenza del termine.

Il recesso alla fine della prova può avvenire anche in forma orale, senza lettera scritta. Secondo infatti la giurisprudenza, l’obbligo di comunicazione scritta del licenziamento sorge solo dal momento in cui l’assunzione del lavoratore diviene definitiva.

Patto di prova è nullo: cosa prevede la legge?

In presenza di una delle cause di nullità del patto di prova (per come sopra elencate) ci si chiede: c’è diritto all’assunzione a tempo indeterminato o solo a un risarcimento?

La sentenza della Cassazione n. 20239/2023 ha stabilito che per i rapporti di lavoro regolati dalle tutele crescenti, un patto di prova nullo comporta solamente il risarcimento del danno. Non si prevede, in questi casi, la reintegrazione in servizio.

La conclusione cambia per i vecchi rapporti di lavoro regolati dall’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Qui, infatti, alla dichiarazione di illegittimità del licenziamento segue l’ordine di reintegrazione in servizio.

La distinzione tra le due situazioni è chiara: mentre nel regime delle tutele crescenti la reintegrazione è prevista solo in casi eccezionali (ossia per licenziamento verbale, discriminatorio, per ragioni di maternità/paternità o matrimonio, per assenza di giusta causa o giustificato motivo), nell’articolo 18 essa mantiene una sua centralità.

Patto di prova nullo: risarcimento o reintegra sul posto?

In sintesi, secondo la Cassazione, per tutti i rapporti di lavoro sorti dopo l’approvazione del Jobs Act, ossia dal 7 marzo 2015, in caso di licenziamento senza un valido patto di prova, il dipendente ha solo diritto al risarcimento dei danni.

Questa interpretazione rispecchia la logica del Dlgs 23 del 2015, che mira a graduare le sanzioni in base alla gravità del vizio del licenziamento. Risulta quindi incoerente reintegrare in caso di nullità del patto di prova quando, in situazioni di maggiore gravità, si opta per una tutela indennitaria.

In passato la Cassazione aveva sposato la stessa interpretazione. In particolare, proprio all’indomani dell’entrata in vigore della riforma del lavoro, la Corte aveva detto che, in caso di recesso illegittimo il lavoratore ha diritto a terminare il periodo di prova, oppure a ottenere il risarcimento del danno (Cass. 3 dicembre 2018 n. 31159; Cass. 27 marzo 2017 n. 7801).

 
Pubblicato : 12 Settembre 2023 18:00