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Patto di non concorrenza del dipendente: cosa c’è da sapere

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(@valentina-azzini)
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Patto di non concorrenza, legittimo se limitato nel tempo e remunerato

Il tuo contratto di lavoro prevede che, cessato il rapporto con la tua azienda, tu non possa lavorare nel medesimo settore per un certo periodo di tempo? Oppure che tu non possa divulgare informazioni apprese durante l’attività lavorativa? In questi casi siamo di fronte ad un patto di non concorrenza, ossia ad uno strumento che l’azienda ha inserito nel tuo contratto di lavoro, oche ti ha fatto firmare separatamente, per tutelarsi qualora tu decidessi di andare a lavorare per imprese concorrenti. Probabilmente ti chiedi subito se il patto sia valido, se la rinuncia a lavorare in concorrenza con la tua azienda debba essere in qualche modo ricompensata. Vediamo allora, in materia di patto di non concorrenza del dipendente, cosa c’è da sapere per evitare penali, o penalizzazioni.

Il patto di non concorrenza

Il patto di non concorrenza è quell’accordo con cui l’azienda vieta al dipendente, una volta cessato il rapporto di lavoro, la divulgazione di informazioni apprese durante rapporto di lavoro, oppure lo svolgimento di attività lavorativa presso altre imprese concorrenti.

Oggetto del patto di non concorrenza sono, dunque, il divieto di svolgere determinate attività e di divulgare informazioni. È bene precisare che l’oggetto del patto di non concorrenza può andare anche oltre le mansioni precedentemente svolte dal lavoratore e riguardare qualunque tipo di attività potenzialmente concorrenziale, pregiudizievole per l’impresa.

Per concorrenza tra imprese si intende lo svolgimento di attività riconducibili al medesimo settore, con conseguente potenziale sviamento di clientela tra le stesse. Si pensi a due aziende che offrono sullo stesso mercato prodotti o servizi analoghi, magari di qualità diversa, rivolgendosi allo stesso pubblico.

Il patto di non concorrenza, che deve necessariamente rivestire la forma scritta, può essere stipulato dalle parti prevedendo una specifica clausola all’interno del contratto di lavoro, oppure con atto separato.

I limiti al patto di non concorrenza

In merito al contenuto del patto di non concorrenza, l’art. 2125 c.c. fornisce precise indicazioni solamente con riguardo ai limiti di durata del patto stesso: esso non può eccedere i cinque anni per i dirigenti e i tre anni per gli altri lavoratori. Qualora le parti convengono una durata superiore essa sarà automaticamente ridotta entro i limiti di legge.

Con riguardo, invece, ai limiti territoriali di efficacia del patto di non concorrenza, nulla è previsto dalla legge, ritenendosi evidentemente questo elemento non rilevante. La giurisprudenza addirittura è costante nel ritenere valido il patto di non concorrenza esteso all’intero territorio nazionale, o comunitario, purché tuttavia il suo oggetto sia circoscritto in modo tale da lasciare impregiudicate all’ex dipendente la possibilità di lavorare e l’espressione della propria professionalità.

La remunerazione

Affinché il patto di non concorrenza sia valido, è indispensabile che preveda un corrispettivo in favore del lavoratore per la limitazione della sua futura attività lavorativa e, quindi, delle sue possibilità di guadagno. Il compenso pattuito non deve essere simbolico o palesemente sproporzionato rispetto alle limitazioni richieste all’ex dipendente, pena la nullità del patto.

Detto corrispettivo può essere corrisposto in misura fissa o in percentuale sulla retribuzione, in rate mensili, oppure in soluzione unica alla cessazione del rapporto di lavoro.

La tassazione del patto di non concorrenza

Le somme corrisposte a titolo di indennità derivante da patto di non concorrenza sono sottoposte a diverso regime di tassazione, a seconda che siano pagate ratealmente, unitamente alla retribuzione, oppure in soluzione unica alla cessazione del rapporto.

Nel primo caso, esse saranno sottoposte a tassazione ordinaria, secondo le aliquote ordinarie progressive Irpef, esattamente come lo stipendio e su tali somme dovranno altresì essere versati i contributi previdenziali.
Diversamente, se corrisposte in soluzione unica alla cessazione del rapporto di lavoro, tali somme saranno sottoposte a tassazione separata, analogamente al TFR.

Come evitare il patto di non concorrenza

Per sciogliere un patto di non concorrenza già stipulato sarà indispensabile che vi sia l’accordo di entrambe le parti, azienda e lavoratore. In mancanza di mutuo consenso non sarà dunque possibile recedere da un patto di non concorrenza validamente stipulato.

Violazione del patto di non concorrenza

La violazione del patto di non concorrenza da parte del dipendente e costituisce inadempimento contrattuale e legittima l’azienda a richiedere la risoluzione del patto e il risarcimento del danno per responsabilità contrattuale. Frequente è l’inserimento, a tal fine, nell’accordo di clausole penali; generalmente si tratta di stabilire una somma di denaro che il dipendente dovrà pagare, a titolo risarcitorio, in caso di violazione del patto.

Qualora il dipendente violi le previsioni del patto di non concorrenza, l’azienda potrà altresì agire d’urgenza dinanzi al giudice del lavoro, chiedendo che venga ordinata l’immediata cessazione dell’attività concorrenziale.

 
Pubblicato : 29 Ottobre 2023 13:45