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Parto in anonimato: cos’è e come funziona?

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(@mariano-acquaviva)
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Si può dare alla luce un bambino senza riconoscerlo? Il figlio ha diritto a scoprire l’identità del genitore biologico? Quando la madre può restare anonima?

C’è una locuzione latina molto nota, usata per dire che sull’identità della madre non possono mai aversi dubbi, a differenza di quella del padre: “mater semper certa est, pater numquam”. In realtà, se ciò è assolutamente vero dal punto di vista “naturale”, sotto il profilo giuridico la legge consente anche alla madre di non riconoscere il proprio figlio, cosicché questi non potrà mai sapere chi è la donna che l’ha partorito. Proprio di questo argomento parleremo col presente articolo. Cos’è e come funziona il parto in anonimato?

Come vedremo, il parto in anonimato è una procedura che consente di tutelare sia la madre che il neonato: la prima può rinunciare alla maternità, decidendo di non crescere il proprio figlio, mentre quest’ultimo viene protetto dalla struttura sanitaria a cui è affidato. In pratica, il parto in anonimato consente di evitare la deplorevole pratica di abbandonare neonati per strada o nei cassonetti della spazzatura, salvando così la vita ai bambini e offrendo alle madri una via legale per non crescerli. Cos’è e come funziona il parto in anonimato? Scopriamolo insieme.

Cos’è il parto in anonimato?

Il parto in anonimato è la procedura che consente alla donna di lasciare in ospedale il proprio bambino appena nato senza esserne riconosciuta come madre.

Detto in maniera molto concreta, il parto in anonimato è la versione moderna della vecchia “ruota degli esposti”, cioè di quel congegno a forma di cilindro in cui le donne, sin dal medioevo, potevano abbandonare i bambini indesiderati o illegittimi senza essere viste.

Parto in anonimato: quando si può fare?

Ogni donna può decidere di partorire e di lasciare il suo bambino in ospedale, dando così luogo al parto in anonimato.

Per la precisione, la legge [1] stabilisce che, al momento della formazione dell’atto di nascita, bisogna rispettare l’eventuale volontà della madre di non essere nominata.

Ciò significa, appunto, che la donna può chiedere di partorire nell’anonimato, cioè di non indicare le proprie generalità in modo da non lasciare elementi che consentano in futuro la sua identificazione.

Secondo la legge [2], solo la madre del bambino nato a seguito di procreazione medicalmente assistita non può manifestare la volontà di non essere nominata, cioè non può ricorrere al parto in anonimato.

Il perché di questa scelta è evidente: chi ricorre alla medicina per avere un figlio non può poi disconoscerlo al momento del parto.

Dichiarazione di nascita: cos’è?

La dichiarazione di nascita è la denuncia, obbligatoria per legge, di nascita di ogni nuovo nato, al fine dell’iscrizione nel registro comunale dello stato civile.

L’atto di nascita è appunto il documento che viene redatto dall’ufficiale di stato civile in occasione di una dichiarazione di nascita.

La dichiarazione di nascita deve essere compiuta da uno dei genitori, da un procuratore speciale, dal medico o dalla ostetrica o da un’altra persona che abbia assistito al parto.

È proprio in questo contesto che si inserisce il parto in anonimato: al momento della denuncia di nascita (fatta, ad esempio, dal medico che ha assistito al parto), la donna sceglie di restare anonima, cioè di non fornire le proprie generalità.

Il nome della madre rimane per sempre segreto e nell’atto di nascita del bambino viene scritto “nato da donna che non consente di essere nominata”.

Una donna sposata può fare il parto in anonimato?

Il parto in anonimato è consentito a tutte le donne, anche a quelle sposate. Le conseguenze sono le seguenti:

  • il parto in anonimato della donna coniugata annulla la presunzione di paternità del marito. Ciò significa che, contrariamente a quanto previsto normalmente dalla legge, il marito della donna che ha partorito in anonimato non si presume essere padre del bambino;
  • il parto in anonimato della donna non sposata comporta la rinuncia a riconoscere il figlio.

Parto in anonimato: come funziona?

La scelta di partorire in anonimato deve essere tempestiva, in quanto la dichiarazione di nascita (che serve alla formazione dell’atto di nascita in Comune) deve essere fatta in tempi brevissimi, e cioè:

  • entro dieci giorni dalla nascita, presso il Comune nel cui territorio è avvenuto il parto o in alternativa;
  • entro tre giorni, presso la direzione sanitaria dell’ospedale o della casa di cura in cui è avvenuta la nascita.

Il parto in anonimato, quindi, si concretizza nel momento in cui la madre comunica di non voler comparire nella dichiarazione di nascita, cosicché la sua identità non verrà rivelata all’interno dell’atto di nascita ufficiale.

Se la madre vuole restare nell’anonimato la dichiarazione di nascita è fatta dal medico o dall’ostetrica.

“Parto in anonimato” non significa che la donna resti anonima anche alla struttura sanitaria: al momento dell’accettazione in ospedale i dati della partoriente sono sempre riportati e conservati nei registri interni; ugualmente, viene sempre compilata la cartella clinica con i dati personali della donna che ha partorito.

In seguito all’invio agli uffici di stato civile dell’attestazione con l’indicazione che la madre non vuole essere nominata, l’ufficiale di stato civile forma l’atto di nascita attestando che il neonato è “nato da donna che non consente di essere nominata”.

In tal caso la nascita, come meglio si dirà a breve, viene segnalata all’autorità giudiziaria minorile per l’avvio della procedura di adottabilità.

L’adozione del bambino nato con parto anonimo

L’immediata segnalazione alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni della situazione di abbandono del neonato non riconosciuto permette l’apertura di un procedimento di adottabilità e la sollecita individuazione di un’idonea coppia adottante.

Il neonato vede così garantito il diritto a crescere ed essere educato in famiglia e assume lo status di figlio legittimo dei genitori che lo hanno adottato.

Parto in anonimato: la madre può ripensarci?

La madre con particolari e gravi motivi che le impediscono di formalizzare il riconoscimento può chiedere, al Tribunale per i minorenni presso il quale è aperta la procedura per la dichiarazione di adottabilità del neonato, un periodo di tempo per provvedere al riconoscimento.

È il caso, ad esempio, della madre ancora minorenne oppure della donna priva di ogni sostegno, sia economico che morale, che si è vista costretta ad abbandonare il proprio bambino.

In questi casi, la sospensione della procedura di adottabilità può essere concessa per un periodo massimo di due mesi, nei quali la madre deve mantenere con continuità il rapporto con il bambino.

Il riconoscimento può essere fatto dal genitore che abbia compiuto almeno 16 anni. Nel caso di madre non ancora sedicenne, impossibilitata quindi al riconoscimento, ma che voglia occuparsi del figlio, la procedura di adottabilità è sospesa anche d’ufficio sino al compimento del sedicesimo anno, purché il minore, adeguatamente accudito, abbia un rapporto continuativo con la madre.

È possibile risalire all’identità della madre?

Il figlio che non conosce la propria madre biologica potrebbe avere interesse, da grande, a scoprirne l’identità; come detto, infatti, in ospedale vengono conservate le generalità della donna che ha partorito in anonimato.

Per la legge [3], però, l’accesso alle informazioni non è consentito se l’adottato non sia stato riconosciuto alla nascita dalla madre naturale e qualora anche uno solo dei genitori biologici abbia dichiarato di non voler essere nominato, o abbia manifestato il consenso all’adozione a condizione di rimanere anonimo.

In pratica, tra il diritto del figlio a scoprire l’identità della madre e il diritto della donna a rimanere anonima prevale quest’ultimo.

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Pubblicato : 28 Novembre 2022 12:00