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Offese all’azienda in atto giudiziario: è legittimo il licenziamento?

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(@mariano-acquaviva)
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In cosa consiste il diritto di critica del lavoratore? Le offese contenute negli scritti difensivi possono essere sanzionate con il licenziamento?

Il primo articolo dello Statuto dei lavoratori afferma che i dipendenti, senza distinzione di opinioni politiche, sindacali e di fede religiosa, hanno diritto, nei luoghi dove prestano la loro opera, di manifestare liberamente il proprio pensiero. Nonostante ciò, è davvero difficile lasciarsi andare a critiche manifestate apertamente al datore: l’ovvio timore è quello di perdere il posto. È in questo contesto che si pone il seguente quesito: è legittimo il licenziamento nel caso di offese all’azienda in un atto giudiziario?

Alla domanda ha fornito risposta la Corte di Cassazione, analizzando il caso di un dipendente che, all’interno di un proprio atto difensivo volto a ottenere una maggiore retribuzione, si era rivolto nei confronti del proprio datore con frasi irrispettose che ne offendevano la reputazione. Ma procediamo con ordine.

È legale criticare il proprio datore di lavoro?

Il diritto di critica rientra nel più ampio diritto di esprimere il proprio pensiero, contemplato sia dalla Costituzione che dalla legge.

Anche in ambito lavorativo, quindi, la critica è legittima, purché sia:

  • Veritiera, cioè basata su fatti reali e non falsi;
  • continente, ovverosia espressa in modo rispettoso, quindi senza offese né denigrazioni;
  • pertinente, cioè inerente al rapporto lavorativo.

In assenza di queste condizioni, la critica può sfociare in diffamazione e/o costituire giusta causa di licenziamento [1].

Secondo la giurisprudenza [2], l’esercizio del diritto di critica dei lavoratori nei confronti del datore è lecito se è espressione del diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero, tenuto conto dell’interesse dei dipendenti ad esprimersi sulle modalità di esercizio dell’attività imprenditoriale che possano avere ricadute sulle condizioni di vita e di lavoro del personale.

È legale criticare il datore in un atto giudiziario?

Il diritto di critica beneficia di una sorta di “rafforzamento” allorquando si tratta di atti giudiziari.

Posto che è assolutamente legale la critica che si traduce nella denuncia di fatti illeciti (di rilievo penale o amministrativo) alle autorità competenti, purché la stessa non abbia carattere calunnioso [3], bisogna comprendere se le critiche che superano i limiti della continenza e veridicità possono giustificare il licenziamento del dipendente anche se le stesse sono contenute in un atto giudiziario, come ad esempio un ricorso o una citazione.

Secondo la Suprema Corte [4], il contenuto dell’atto difensivo del lavoratore non integra una giusta causa che legittima il suo licenziamento anche nel caso in cui vengano utilizzate espressioni sconvenienti od offensive.

Per la Cassazione, infatti, si tratta di un documento giudiziario riferibile all’esercizio del diritto di difesa ed oggetto dell’attività del difensore tecnico.

Secondo la Suprema Corte, l’unica condizione necessaria è che le offese rinvenibili negli atti difensivi del giudizio devono riguardare l’oggetto del processo in modo immediato e diretto e devono essere funzionali rispetto alle argomentazioni svolte a sostegno della tesi prospettata o all’accoglimento della domanda proposta.

Insomma: all’interno degli atti giudiziari è possibile superare i normali limiti della critica lecita, purché ciò sia fatto per tutelare i propri diritti all’interno di un procedimento giudiziario.

Offese negli scritti difensivi: è diffamazione?

Il principio espresso dalla Corte di Cassazione si pone in linea con quanto affermato dalla legge.

Per la precisione, il Codice penale [5] non sono punibili le offese contenute negli scritti o nei discorsi pronunciati dalle parti o dai loro avvocati nei procedimenti dinanzi all’Autorità giudiziaria o amministrativa, quando le offese concernono l’oggetto della causa o del ricorso amministrativo.

In ipotesi del genere non sussiste nemmeno il reato di diffamazione, il quale è “scusato” dalla necessità di difendersi in giudizio.

Al contrario, sussiste il reato di calunnia se, all’interno degli atti giudiziari e degli scritti difensivi, si accusa ingiustamente qualcun altro di aver commesso un crimine nonostante si sappia essere innocente.

 
Pubblicato : 18 Agosto 2023 06:00