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Obblighi del datore di lavoro verso il dipendente diventato disabile

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(@angelo-greco)
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Dipendente divenuto disabile e superamento del periodo di comporto: il licenziamento non può essere automatico. 

Quali sono gli obblighi di un datore di lavoro nei confronti di un dipendente divenuto disabile durante l’impiego? Nel caso in cui quest’ultimo non possa più svolgere le mansioni precedentemente assegnategli l’azienda può licenziarlo oppure, nel doversi adeguare ai principi di correttezza e buona fede, deve prima verificare se sia possibile collocarlo ad altri compiti, compatibili con le sue condizioni fisiche? La sentenza 8/2023 della Corte di appello di Trento porta luce e chiarezza su questi quesiti, prevedendo nuovi doveri in capo ai datori di lavoro in caso di disabilità sopravvenuta. Ma procediamo con ordine.

Che cosa significa “disabilità” nel contesto del lavoro?

La disabilità/handicap, secondo la Corte di giustizia UE, è una «limitazione di capacità risultante da durature menomazioni fisiche, mentali o psichiche» che impattano la partecipazione piena della persona alla vita professionale. Questa definizione prescinde dal riconoscimento formale di invalidità inteso come una riduzione della capacità lavorativa accertata da organi sanitari competenti ai sensi della legge 104 del 1992.  

Qual è la differenza tra handicap e malattia?

La Corte di Trento (sent. n. 8/2023) ha chiarito che la distinzione tra handicap e malattia risiede nella “permanenza della patologia e dalla lunga durata” della prima, a differenza della seconda che invece è momentanea e, di solito, destinata a guarire. 

Come noto, le leggi nazionali prevedono un limite massimo alla malattia entro il quale il dipendente ha diritto alla conservazione del posto di lavoro. È il cosiddetto periodo di comporto (la cui durata è indicata dal CCNL), superato il quale può scattare il licenziamento. 

Da ciò va distinta la situazione di handicap. Secondo la sentenza in commento, le leggi nazionali che permettono il licenziamento a seguito di lunghe assenze a causa di disabilità sono contrarie alla direttiva CE 200/78 in quanto discriminatorie.

Quali sono i doveri del datore di lavoro nei confronti di un dipendente disabile?

I datori di lavoro, come afferma la normativa europea, sono tenuti ad adottare soluzioni ragionevoli per permettere ai lavoratori con disabilità di «accedere al lavoro e di conservarlo nei limiti delle massime disponibilità ed a patto che ciò non debba comportare per il datore oneri sproporzionati».

È vero: a causa delle norme sulla privacy, il datore di lavoro non può conoscere le condizioni di salute del proprio dipendente (salvo sia disposta la sorveglianza sanitaria). Tuttavia, ciò non lo solleva dal dovere di adottare provvedimenti a tutela di quest’ultimo. In altri termini, il datore non può adottare, come giustificazione del licenziamento del lavoratore divenuto disabile, la propria ignoranza circa la sopravvenuta disabilità.

La sentenza 8/2023 stabilisce che il datore di lavoro, dopo aver avuto notizia della malattia del dipendente, deve prendere “iniziative di tutela” appropriate in favore di quest’ultimo. Questo include l’informare il lavoratore della possibilità di chiedere un periodo di aspettativa per evitare che scada il comporto e scongiurare così la risoluzione del rapporto di lavoro. 

Inoltre, il datore può disporre il licenziamento per giustificato motivo oggettivo per superamento del comporto o per incapacità a svolgere le mansioni solo dopo aver verificato che non vi sia possibilità di ricollocare il dipendente in altre attività (cosiddetto repêchage). 

Il licenziamento è valido se il datore dà prova che tali misure di ricollocamento possono comportare gravi problematiche di natura organizzativa e imprenditoriale o determinano oneri spropositati. Diversamente il licenziamento può essere dichiarato nullo in quanto discriminatorio, con reintegrazione del dipendente e riconoscimento di un’indennità risarcitoria pari alla retribuzione globale di fatto tra la data del licenziamento e quella della effettiva 

Esempio pratico

Nel caso di specie un dipendente, affetto da diabete di tipo 2, aveva subito a causa di ciò l’amputazione di un dito. Nonostante questa condizione non fosse stata formalmente riconosciuta come invalidità prima della fine del periodo di comporto, la sentenza ha stabilito che il datore di lavoro, informato della malattia, avrebbe dovuto agire per tutelare il dipendente, inclusa l’informazione riguardante la possibilità di fruire di un periodo di aspettativa.

 
Pubblicato : 19 Luglio 2023 10:30