Moglie prestanome: cosa rischia?
Amministratore di fatto e testa di legno: ci può essere concorso nel reato se il prestanome è a conoscenza delle condotte illecite del marito.
Non di rado avviene che, in una società, venga nominato amministratore un prestanome mentre la gestione effettiva viene svolta da un’altra persona. Ciò accade anche all’interno delle famiglie: la moglie funge da prestanome (si usa parlare anche di “testa di legno”) mentre il marito è amministratore di fatto.
Il problema si pone nel caso di compimento di illeciti amministrativi o penali (si pensi alla bancarotta fraudolenta, all’evasione fiscale, alle truffe, ecc.): chi dei due dovrà assumersi la relativa responsabilità? Cosa rischia la moglie prestanome?
La Costituzione impone, in materia penale, il principio della cosiddetta «responsabilità personale»: solo colui che commette materialmente l’azione illecita ne può rispondere. Pertanto, afferma la Cassazione [1], il solo matrimonio fra prestanome e amministratore di fatto non fa scattare a carico del primo la condanna penale. Solo se viene dimostrata la consapevolezza degli intenti fraudolenti del partner si può incriminare anche la prestanome.
In linea principale, quindi, la responsabilità è sempre a carico dell’amministratore di fatto e può essere estesa anche al prestanome solo se si dimostri la compartecipazione di questi o comunque la conoscenza delle altrui condotte illecite.
Il semplice rapporto di coniugio non basta a far ritenere provata la consapevolezza dell’imputata delle vicende societarie.
Chi è l’amministratore di fatto di una società?
È assai diffusa, ed è spesso collegata a fenomeni fraudolenti e strumentali all’evasione delle imposte, l’attribuzione di cariche societarie in capo a meri prestanome (cosiddette “teste di legno”) che si impegnano in maniera più o meno inconsapevole ad assumersi ogni responsabilità amministrativa ed eventualmente penale.
L’amministratore di fatto di una società di capitali può essere definito come colui che, senza un’investitura formale, si ingerisce nella gestione della società, esercitando in modo continuativo funzioni gestorie riservate dalla legge agli amministratori di diritto, con il loro consenso espresso o tacito e comunque senza alcuna opposizione da parte loro.
Chi è il prestanome?
Il prestanome è l’amministratore apparente, chi assume la carica solo formalmente senza però compiere le scelte gestionali e quindi avere alcuna voce in capitolo in merito.
Secondo il vocabolario della lingua italiana il prestanome è colui che dà il proprio nome, che cioè firma in luogo di altra persona il cui nome non può o non deve comparire. Il termine si usa sia con riferimento a chi firma atti pubblici, obbligazioni e simili, sia con riferimento a chi firma articoli, opere letterarie, progetti, scritti di vario genere.
Si fa uso di prestanome quando un soggetto non vuole apparire pubblicamente come amministratore o quando questi non può farlo per incompatibilità. Ma c’è anche chi usa il prestanome per evitare responsabilità penali o perché già condannato in passato per crimini o evasione.
Responsabilità amministratore di fatto
È in tali circostanze che viene a delinearsi la figura dell’amministratore di fatto, ovverosia di colui che, senza una investitura formale, si inserisce nella gestione di una società, esercitando in modo continuativo funzioni di gestione riservate dalla legge agli amministratori di diritto, con il loro consenso espresso o tacito e comunque senza alcuna opposizione da parte degli stessi.
Ai sensi dell’articolo 2639 del codice civile, l’amministratore di fatto di una società è da ritenersi responsabile di tutti quei doveri cui è soggetto normalmente anche l’amministratore di diritto; egli quindi, secondo la Cassazione [2], risponde dell’evasione fiscale e di tutti gli altri reati (tributari e non) connessi alla qualifica di amministratore.
In proposito, l’articolo 2639 del Codice civile, con riferimento ai reati societari, ha assimilato i soggetti di diritto a quelli di fatto e affermando testualmente che «al soggetto formalmente investito della qualifica o titolare della funzione prevista dalla legge civile è equiparato sia chi è tenuto a svolgere la stessa funzione, diversamente qualificata, sia chi esercita in modo continuativo e significativo i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione».
La Cassazione ha affermato [3] che la qualifica di amministratore spetta non solo a colui che ha la rappresentanza della società di fronte ai terzi, ma anche al soggetto che di fatto esercita il potere di decisione sulla gestione del patrimonio.
È ormai un consolidato orientamento giurisprudenziale quello per cui il soggetto che assume la qualifica di amministratore di fatto di una società è da ritenersi gravato dell’intera gamma dei doveri cui è soggetto l’amministratore di diritto. Egli è quindi penalmente responsabile per tutti i comportamenti a quest’ultimo addebitabili, anche nel caso di colpevole e consapevole inerzia a fronte di tali comportamenti.
Responsabilità prestanome?
Secondo la Cassazione [4], la pur cosciente accettazione del ruolo di amministratore apparente non necessariamente implica la consapevolezza di disegni criminosi nutriti dall’amministratore di fatto.
Ci può tuttavia essere un concorso di responsabilità se il prestanome ha almeno la generica consapevolezza degli illeciti commessi dall’amministratore di fatto; fermo restando che tale consapevolezza non può presumersi in base al semplice dato di avere il soggetto acconsentito a ricoprire formalmente la carica o per il fatto di essere a questi legato dal vincolo di matrimonio.
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