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Mobbing: la guida completa

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(@angelo-greco)
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Scopri tutto quello che c’è da sapere sul mobbing, le diverse forme e i passi da seguire per difendersi da questa realtà lavorativa dannosa.

Cosa si intende per mobbing? Quali sono le diverse forme di mobbing? Come riconoscere il mobbing sul luogo di lavoro? E quali sono i passi da seguire per affrontare questa realtà negativa? In questo articolo, ti guideremo attraverso tutti gli aspetti del mobbing, fornendo esempi pratici e consigli su come affrontare il fenomeno e difendere i propri diritti sul luogo di lavoro.

Cos’è il mobbing e quali sono le sue caratteristiche principali?

Il mobbing è un insieme di comportamenti persecutori e aggressivi messi in atto sul luogo di lavoro con l’obiettivo di emarginare e colpire la persona vittima di tale comportamento. 

Le azioni che caratterizzano il mobbing possono variare da situazioni di isolamento sul posto di lavoro, come l’esclusione da riunioni o progetti, a insulti, pettegolezzi e comportamenti ostili. 

In alcuni casi, la vittima potrebbe vedersi sottrarre mansioni, essere assegnata a compiti dequalificanti o subire un controllo eccessivo da parte del datore di lavoro.

Poniamo il caso di Tizio, che lavora in un’azienda e inizia a subire un trattamento ostile da parte dei suoi colleghi: viene escluso dalle riunioni, si ritrova a dover gestire carichi di lavoro insostenibili e viene oggetto di continue critiche infondate. In questo caso, Tizio potrebbe essere vittima di mobbing.

Quali sono le diverse forme di mobbing?

Il mobbing può assumere diverse forme, a seconda dei soggetti coinvolti e della loro posizione gerarchica all’interno dell’azienda:

  • mobbing verticale: coinvolge soggetti a diversi livelli gerarchici e può essere sia discendente (dal datore di lavoro o da un superiore gerarchico verso un dipendente) sia ascendente (da un dipendente verso un superiore);
  • mobbing orizzontale: si verifica tra colleghi posti allo stesso livello gerarchico.

Quali sono gli elementi costitutivi del mobbing?

Per parlare di mobbing, è necessario che siano presenti alcuni elementi costitutivi, come:

  • una serie di comportamenti persecutori e vessatori, protratti nel tempo;
  • un evento lesivo della salute, della personalità o della dignità del lavoratore;
  • un nesso di causalità tra le condotte mobbizzanti e il danno subito dalla vittima;
  • un intento persecutorio che unifica i singoli comportamenti ostili.

Come difendersi dal mobbing?

Se si sospetta di essere vittima di mobbing, è importante seguire alcuni passi fondamentali:

  • documentare i comportamenti persecutori: annotare episodi, date e persone coinvolte;
  • cercare il sostegno di colleghi o superiori disposti ad aiutare;
  • consultare un legale o un sindacato per ricevere consulenza e supporto;

In alcuni casi, potrebbe essere utile rivolgersi a un professionista della salute mentale per affrontare gli effetti psicologici del mobbing.

Mobbing: può costituire reato?

Nonostante non esista un reato specifico di mobbing nella legislazione italiana, alcune condotte persecutorie possono configurare reati previsti dal codice penale a tutela dell’incolumità individuale, dell’onore e della libertà personale e morale.

Tra i reati ipotizzati e talvolta riconosciuti dalla giurisprudenza in relazione al mobbing, troviamo:

  • maltrattamenti contro familiari e conviventi (art. 572 c.p.): applicabile solo se le condotte vessatorie si verificano in contesti lavorativi di dimensioni ridotte, in cui sussiste un rapporto di tipo para-familiare tra le parti coinvolte;
  • violenza privata (art. 610 c.p.): quando la condotta vessatoria costringe la vittima a un determinato comportamento, come accettare peggioramenti delle proprie condizioni lavorative;
  • minaccia (art. 612 c.p.): se il mobber prospetta alla vittima il pericolo di future ed ingiuste conseguenze dannose;
  • lesioni personali dolose o colpose (artt. 582 e 590 c.p.): se la condotta aggressiva ledesse l’integrità psicofisica del lavoratore vittima;
  • violenza sessuale (art. 609-bis c.p.): quando la condotta vessatoria assume forme che rientrano nella nozione di atti sessuali, come baci, abbracci, palpeggiamenti e simili;
  • molestia o disturbo alle persone (art. 660 c.p.): applicabile a casi in cui la condotta mobbizzante sia meno grave rispetto alle altre ipotesi;
  • abuso d’ufficio (art. 323 c.p.): nel settore del pubblico impiego, quando le condotte vessatorie sono poste in essere da soggetti muniti della qualità di pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio.

Mobbing: quando ottenere il risarcimento del danno?

Il lavoratore che subisce mobbing non ha automaticamente diritto al risarcimento dei danni. Gli spetta solo se riesce a fornire la prova di un danno alla carriera o alla salute psicofisica. Dunque non basta la prova della condotta illecita del datore di lavoro. 

Per ottenere il risarcimento, è possibile avvalersi di diverse modalità a seconda della tipologia di responsabilità che si intende far valere in giudizio: contrattuale o extracontrattuale.

Responsabilità contrattuale

La responsabilità contrattuale si verifica quando il danneggiato lamenta l’inadempimento di un’obbligazione preesistente. Nel caso del mobbing, l’obbligazione inadempiuta riguarda l’art. 2087 del Codice Civile, che impone al datore di lavoro di adottare tutte le misure necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.

Il datore di lavoro è inadempiente sia se commette direttamente atti vessatori nei confronti del dipendente, sia se non vigila adeguatamente sulle condotte mobbizzanti dei suoi sottoposti. Per far valere la responsabilità contrattuale, il lavoratore dovrà provare i comportamenti subiti, il danno patito e il rapporto di causa-effetto con l’inadempimento del datore di lavoro.

Uno dei vantaggi di questa azione è la presunzione di colpa del datore di lavoro inadempiente. Tuttavia, il lavoratore deve comunque dimostrare l’intento persecutorio del mobber. La giurisprudenza, per non aggravare eccessivamente l’onere probatorio, consente di fornire la prova dell’idoneità persecutoria della condotta complessiva.

Responsabilità extracontrattuale

La responsabilità extracontrattuale si verifica quando un soggetto danneggia ingiustamente un altro senza essere legato da un vincolo obbligatorio. Nel caso del mobbing, ciò accade quando la condotta vessatoria proviene da colleghi dello stesso livello gerarchico della vittima o da superiori diversi dal datore di lavoro.

Per intraprendere un’azione di responsabilità extracontrattuale, il lavoratore dovrà dimostrare il fatto dannoso, il danno patito, il rapporto di causa-effetto tra fatto e danno e l’atteggiamento doloso del danneggiante. È possibile agire anche nei confronti del datore di lavoro, facendo valere la responsabilità indiretta prevista dall’art. 2049 del Codice Civile.

Sebbene il termine di prescrizione sia più breve rispetto alla responsabilità contrattuale (cinque anni), la disciplina della responsabilità extracontrattuale permette di richiedere il risarcimento di tutti i danni che siano conseguenza immediata e diretta della condotta illecita, indipendentemente dalla prevedibilità da parte del danneggiante.

Mobbing: i danni risarcibili

Il mobbing può causare vari danni al lavoratore, sia di natura patrimoniale che non patrimoniale.

Dal punto di vista patrimoniale, il risarcimento può includere costi sostenuti dalla vittima a causa delle condotte vessatorie, come spese mediche o farmaceutiche, e mancati guadagni dovuti a demansionamento o limitazione di opportunità professionali.

Per quanto riguarda i danni non patrimoniali, si possono risarcire il danno biologico (patologie fisiche o psichiche), il danno morale (sofferenza e dolore) e il danno esistenziale (alterazione delle abitudini di vita e relazioni personali).

Mobbing: come difendersi

Oltre al risarcimento, il lavoratore ha a disposizione altri strumenti di tutela, come rivolgersi al Responsabile dei Lavoratori per la Sicurezza (R.L.S.) o al Comitato Unico di Garanzia (C.U.G.). È possibile richiedere l’adempimento delle misure di contrasto e prevenzione del mobbing da parte del datore di lavoro, o, in casi gravi, proporre un’azione cautelare per ottenere un provvedimento d’urgenza. Il lavoratore può anche rifiutare di lavorare fino a quando non si adottano misure adeguate, oppure optare per le dimissioni per giusta causa, ottenendo un’indennità sostitutiva del preavviso e, se previsto, l’indennità di disoccupazione (NASpI).

Come dimostrare di essere vittima di mobbing?

Il lavoratore deve provare gli elementi costitutivi del mobbing: atti aggressivi e vessatori, sistematicità, danni subiti e rapporto di causalità tra le condotte e i danni.

L’onere della prova riguarda anche l’intento persecutorio che accomuna i singoli episodi di vessazione. Si può fornire prova documentale (certificazioni mediche) o testimoniale (colleghi di lavoro), e il giudice può desumere la sussistenza di alcuni danni non patrimoniali anche in via presuntiva.

Mobbing e straining: le differenze

Il mobbing si caratterizza per la sistematicità delle condotte persecutorie, mentre lo straining riguarda singoli episodi di vessazione ma, in questo caso, a differenza del mobbing, tali episodi non sono sorretti da un unico intento di emarginare la vittima: dunque dimostrare lo straining è molto più facile. Anche lo straining può determinare effetti lesivi e giustificare una pretesa risarcitoria, se gli episodi sono gravi e accompagnati da frustrazione personale o professionale e altre circostanze particolari.

 

 
Pubblicato : 6 Maggio 2023 09:45