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Messaggi molesti su WhatsApp: quando è reato

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(@angelo-greco)
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L’invio di messaggi molesti su WhatsApp integra il reato di molestie telefoniche previsto dall’art. 660 cod. pen. – la Corte di Cassazione chiarisce la responsabilità penale e l’adattamento alla moderna comunicazione.

Ti sei mai chiesto se e quando l’invio di messaggi molesti tramite WhatsApp è un reato? In che modo la giurisprudenza si è adattata alle nuove tecnologie di comunicazione, come i sistemi di messaggistica istantanea? Scopriamo insieme come la Corte di Cassazione affronta queste problematiche nell’ambito del diritto penale e quali orientamenti giurisprudenziali emergono dal caso.

Quando i messaggi possono diventare molesti?

La Corte di Cassazione [1] ha stabilito che l’invio di messaggi molesti tramite sistemi di messaggistica telematica come WhatsApp integra il reato di molestie telefoniche previsto dall’art. 660 cod. pen., indipendentemente dalla modalità sincrona o asincrona di comunicazione o dalla possibilità di bloccare il mittente. Non rileva quindi che il destinatario del messaggio possa leggere il contenuto dello stesso quando vuole lui e potrebbe anche bloccare il mittente: il reato sussiste lo stesso e il responsabile può essere condannato penalmente. 

La giurisprudenza si è quindi adattata all’evoluzione delle nuove tecnologie estendendo la portata di alcune norme per includere i sistemi di messaggistica istantanea come WhatsApp nel contesto del reato di molestie “col mezzo telefono” di cui all’art. 660 c.p.

Tuttavia è bene ricordare che il reato di molestie telefoniche richiede la reiterazione del comportamento che, pertanto, non può limitarsi a una sola occasione. Ben però si potrebbe configurare nel caso di pochi messaggi nell’ambito di una ristretta forbice temporale: si pensi a chi invia tre o quatto messaggi nel giro di dieci minuti.

Quali sono gli orientamenti giurisprudenziali conformi e difformi?

Gli orientamenti conformi sono rappresentati dalle sentenze Cass. pen. sez. I, n. 36779 del 27 settembre 2011 e Cass. pen. sez. I, n. 24670 del 7 giugno 2012, mentre l’orientamento difforme è rappresentato dalla sentenza Cass. pen. sez. I, n. 24510 del 17 giugno 2010.

Qual è l’oggetto di tutela del legislatore in relazione al reato di molestie?

Il reato di molestie mira a prevenire il turbamento della tranquillità pubblica attuato mediante l’offesa alla quiete privata e non alla libertà di comunicazione. Ciò che rileva è l’invasività in sé del mezzo impiegato per raggiungere il destinatario, non la possibilità per quest’ultimo di interrompere l’azione disturbatrice.

Il blocco dell’utente sgradito è rilevante ai fini del reato di molestie?

No, secondo la Corte di Cassazione, la possibilità di bloccare l’utente sgradito non ha alcun rilevanza ai fini del reato di molestie, poiché il reato si consuma con l’invio del messaggio molesto e non con la sua ricezione. Il blocco dell’utente non elimina il fatto che il messaggio sia stato inviato con intento molestatorio.

Quali conseguenze giuridiche derivano dalla sentenza della Corte di Cassazione?

La sentenza della Corte di Cassazione rafforza l’idea che la comunicazione tramite sistemi di messaggistica istantanea come WhatsApp non sia esente da responsabilità penale. Ciò implica che chiunque utilizzi queste piattaforme per molestare o minacciare altri utenti potrebbe essere perseguito penalmente.

Quanto appena detto non vale solo per WhatsApp ma qualsiasi altro sistema di messaggistica: ad esempio Messenger, Telegram, ecc.

Anche l’invio di una mail sul telefono può realizzare diretta e sgradita intrusione del mittente nell’attività del destinatario.

Come spiegato dalla Cassazione: «Ai fini della configurabilità del reato, non ha ragione di esistere alcun distinguo tra messaggistica istantanea e messaggi di testo telefonici (Sms), perché entrambe queste modalità di comunicazione possono realizzare in concreto una diretta e immediata intrusione del mittente nella sfera delle attività del ricevente. Né in senso contrario potrebbe valere il rilievo che il destinatario potrebbe disattivare la segnalazione acustica di ricezione o finanche escludere o bloccare il contatto indesiderato, perché ciò che rileva, ai fini del reato, è l’invasività in sé del mezzo impiegato per raggiungere il destinatario, non la possibilità per quest’ultimo di interrompere l’azione perturbatrice, già subita e avvertita come tale, ovvero di prevenirne la reiterazione (nella specie, il reato è stato ravvisato rispetto a messaggi whatsapp ed a sms reiterati nel tempo, inviati anche in orari serali e notturni)».

Qual è la posizione delle vittime di molestie su WhatsApp?

Le vittime di molestie su WhatsApp possono far valere i propri diritti e tutelarsi tramite denuncia alle autorità competenti. A ben vedere, trattandosi di un reato procedibile solo a querela di parte, non si parla di “denuncia” ma di “querela”. La querela va presentata entro 3 mesi dall’ultimo messaggio molesto.

 

 
Pubblicato : 9 Maggio 2023 11:15