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Maltrattamenti: quanto tempo per denunciare?

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(@paolo-remer)
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Non c’è un termine per denunciare le prepotenze e le violenze compiute nel corso del tempo dal marito o compagno, ma attenzione al rischio di perdere credibilità.

Botte oggi, insulti domani, vessazioni dopodomani, e così via per settimane, mesi o anni: sono situazioni che, purtroppo, capitano di frequente nei rapporti di coppia quando uno dei due partner cerca in tutti i modi di umiliare e sottomettere l’altro. Sono comportamenti illeciti, che integrano il grave delitto di maltrattamenti: ma quanto tempo c’è per fare la denuncia?

Il rischio che si corre ad aspettare troppo è duplice: innanzitutto, più tempo passa senza far nulla e più si continua a subire quella serie di violenze fisiche e morali, ed inoltre c’è il pericolo di non essere creduti nel processo. Tutto questo può accadere specialmente quando la denuncia per maltrattamenti è tardiva e avviene ad anni di distanza, magari per un episodio più grave che fa traboccare il vaso e segna il punto di rottura oltre il quale la vittima non è più disposta a tollerare prepotenze e abusi. Così finalmente decide di vuotare il sacco e di raccontare tutto ciò che è avvenuto ed ha subito in passato e fino a quel momento.

Maltrattamenti: perché le donne non denunciano subito

Sono soprattutto le donne che si trovano in una situazione di dipendenza economica dal proprio marito o compagno ad avere remore nel denunciare l’accaduto alla magistratura o alle forze dell’ordine, temendo non solo le probabili reazioni dell’uomo nel momento in cui scoprirà che è stato avviato un processo a suo carico, ma anche e soprattutto di rimanere senza sostegno finanziario. Così chi non può andarsene a vivere altrove, ad esempio tornando a casa dei suoi genitori, continua a subire in silenzio per tanto, troppo tempo, le continue prepotenze e vessazioni del partner.

È lo stesso motivo per il quale alcune donne maltrattate cercano di rimettere la querela in extremis, quando ormai il processo è in corso (cosa inutile, perché il reato è procedibile d’ufficio e dunque il processo va avanti comunque), o con vari espedienti non si presentano davanti al giudice per rendere la loro indispensabile testimonianza dei fatti accaduti.

Maltrattamenti in famiglia: quando la donna è l’unica testimone

Bisogna considerare che la maggior parte dei maltrattamenti in famiglia avviene al chiuso, all’interno delle mura domestiche, e al di là di chi li subisce, e di altri familiari stretti che vivono in quella casa, come i figli minori, il più delle volte non vi sono altri testimoni, a parte coloro che, de relato e in momenti successivi, hanno raccolto le confidenze della persona maltrattata, come i suoi genitori e gli amici stretti.

Quindi per il delitto di maltrattamenti la cosiddetta testimonianza della persona offesa è insurrogabile ed ha un valore probatorio fondamentale per arrivare alla condanna penale del responsabile. La giurisprudenza ammette che proprio in queste situazioni – così come per i reati di violenza sessuale – essa possa bastare, di per sé sola e anche quando non è assistita da altre testimonianze di riscontro, a fondare la condanna del responsabile, quando la persona che rende la deposizione risulta attendibile, la sua versione appare credibile e non emergono intenti ritorsivi (leggi “Su cosa possono riferire i testimoni“).

Maltrattamenti: quanto tempo per sporgere denuncia?

I giudici non sono sprovveduti e conoscono bene queste tristi situazioni che avvengono in ambito familiare. Perciò tendono ad attribuire credibilità al racconto della vittima dei maltrattamenti anche quando la sua denuncia è stata tardiva ed è arrivata a distanza di anni dall’inizio degli episodi, come avviene nel caso delle coppie sposate o conviventi da molto tempo e dove “per quieto vivere” la persona maltrattata aveva deciso di non sporgere denuncia subito.

Il delitto di maltrattamenti in famiglia, previsto e punito dall’art. 572 del Codice penale, è perseguibile d’ufficio, quindi non opera la condizione di procedibilità della querela da sporgere entro 3 mesi dai fatti (con la legge sul “Codice rosso“, il termine è esteso a 12 mesi per abusi e violenze sessuali), che, se non rispettata, impedirebbe la punizione del colpevole. Questo però non vuol dire in assoluto che la denuncia si possa presentare senza limiti di tempo, ad esempio a distanza di decenni dagli accadimenti che integrano il reato, perché altrimenti esso sarebbe già prescritto e dunque non si potrebbe procedere: la prescrizione è una causa di estinzione del reato e per i maltrattamenti è pari a 14 anni dall’ultimo episodio (il termine è più lungo se derivano lesioni e può arrivare a 30 anni se sono gravi).

Maltrattamenti: cosa succede quando la denuncia è tardiva

La denuncia tardiva per maltrattamenti non impedisce la punizione del colpevole, se la persona offesa è attendibile e il suo racconto risulta coerente. Lo ha affermato la Corte di Cassazione [1] in una vicenda in cui una donna aveva denunciato il suo compagno dopo molto tempo. Vista la peculiarità del rapporto di coppia e considerata la gravità dei fatti – compiuti nell’ambito di un «clima di grave e abituale vessazione» – era comprensibile che la donna non li avesse denunciati subito.

L’avvocato difensore dell’imputato aveva cercato di minare la credibilità della denunciante, sottolineando che «si era rivolta alle forze dell’ordine solo dopo un lungo periodo di tempo nel corso del quale, a suo dire, avrebbe subito le condotte maltrattanti»; ma il Collegio ha replicato che, quando in tali casi si constata la «presenza di un quadro probatorio pienamente affidabile, la mera circostanza che la persona offesa non abbia inteso tempestivamente denunciare le condotte maltrattanti non è un elemento idoneo, di per sé, a far sorgere il ragionevole dubbio circa la commissione del reato»: dunque si può e si deve condannare il responsabile con la prevista formula del giusto processo: «al di là di ogni ragionevole dubbio», che la tardività della denuncia non inficia affatto.

Secondo la Suprema Corte «rientra, infatti, nell’ordinaria dinamica delle relazioni familiari segnate da condotte di maltrattamento il differimento nel tempo del momento in cui la vittima decide di reagire, atteggiamento che può essere motivato da molteplici ragioni – quali il tentativo di salvaguardare l’unita familiare ed i figli, ragioni economiche, speranze nel miglioramento della situazione – che, tuttavia, non incidono in alcun modo né sulla configurabilità del reato, né sulla valutazione di attendibilità della persona offesa». Per altri particolari, leggi l’intera sentenza nel box a fondo pagina.

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Pubblicato : 25 Novembre 2022 07:30