Limite penale in un contratto
Importo massimo della penale previsto dalla legge: cosa fare se la penale è troppo alta.
Immagina di aver sottoscritto un contratto e di accorgerti, solo in un momento successivo, che la penale prevista per il caso di inadempimento o recesso anticipato sia talmente alta da escludere, di fatto, ogni tua libertà. Può succedere spesso, ad esempio nei contratti di fornitura delle utenze domestiche (luce, gas) oppure con le agenzie immobiliari. Si può tuttavia parlare di una clausola illegittima con riferimento a quella che prevede un importo della penale particolarmente elevato? Esiste, per legge, un limite alla penale in un contratto? Di tanto si è più volte occupata la giurisprudenza. Vediamo cosa dicono in proposito la legge e i giudici.
Cos’è la penale?
La clausola penale è una clausola contenuta (non obbligatoriamente) in un contratto che prevede l’obbligo di pagare una somma di denaro in caso di inadempimento di una o più obbligazioni previste nel contratto stesso. La clausola penale ha lo scopo di tutelare la parte da eventuali inadempimenti, ritardi o recessi anticipati della controparte, ma anche quello di preventivare – e quindi limitare – il risarcimento, in modo tale che la parte sappia già, alla conclusione del contratto, quanto rischia nel caso in cui non dovesse rispettare i propri obblighi.
La clausola penale può essere inserita in qualsiasi tipo di contratto e può essere prevista a favore di una sola delle parti o di entrambe.
Inoltre, la clausola penale deve essere espressamente accettata dalle parti e non può essere applicata se non è stata prevista nel contratto.
Importo massimo penale
La clausola penale deve essere adeguata al danno subito dalla parte che ha subito l’inadempimento.
In particolare l’articolo 1384 del codice civile stabilisce che la penale può essere diminuita equamente dal giudice, se l’obbligazione principale è stata eseguita in parte o se l’ammontare della penale è manifestamente eccessivo, avuto sempre riguardo all’interesse che il creditore aveva all’adempimento.
Da ciò si intuisce che la penale deve essere proporzionata alla gravità dell’inadempimento.
Dunque, in caso di contestazione della clausola penale, le parti possono ricorrere al giudice per ottenere il suo accertamento o per ottenere la sua modifica o la sua cancellazione.
Come chiarito dalla giurisprudenza [1], in tema di inserimento di clausole penali all’interno del contratto, al giudice è riconosciuto il potere di ridurre l’ammontare della penale secondo equità se manifestamente eccessiva, tenuto conto dell’interesse del creditore all’adempimento. Infatti, qualora l’applicazione della penale comporti un eccessivo sacrificio del debitore senza che il creditore abbia dedotto né provato alcun particolare disagio subito, come nel caso di consegna dei lavori in ritardo, la stessa va “ridimensionata” ad opera del giudice.
La penale eccessiva
Di recente la Cassazione [2] ha detto che in un contratto di mediazione è vessatorio il patto di una penale manifestamente sproporzionata ed eccessiva perché equivalente al valore della provvigione, in caso di rifiuto del conferente l’incarico di sottoscrivere il preliminare procurato del mediatore.
Non è la prima volta che la giurisprudenza elabora questo principio che, dalla mediazione, può essere esteso a qualsiasi tipo di contratto. Secondo la Suprema Corte, qualora sia previsto in contratto – per il caso in cui il conferente l’incarico rifiuti, anche ingiustificatamente, di concludere l’affare propostogli dal mediatore – un compenso in misura identica (o vicina) a quella stabilita per l’ipotesi di conclusione dell’affare, il giudice deve stabilire se tale clausola determini uno squilibrio fra i diritti e gli obblighi delle parti e sia, quindi, vessatoria. Il tutto però salvo che in tale pattuizione non sia chiarito che, in caso di mancata conclusione dell’affare per ingiustificato rifiuto, il compenso sia dovuto per l’attività sino a quel momento esplicata.
Qualora, invece, il rifiuto di concludere l’affare tragga origine da circostanze ostative, di cui il conferente l’incarico abbia omesso di informare il mediatore al momento della conclusione del contratto o cui abbia dato causa successivamente, è configurabile una responsabilità dello stesso conferente per la violazione dei doveri di correttezza e buona fede.
Nello stesso ordine di idee, e, in particolare, per il rilievo che in tema di mediazione, la clausola del contratto che riservi al mediatore, in caso di recesso anticipato del preponente, una penale commisurata al prezzo di vendita del bene, indipendentemente dall’attività di ricerca di acquirenti che il mediatore abbia concretamente svolto per la conclusione dell’affare, non attiene alla determinazione dell’oggetto del contratto o al corrispettivo, nel senso di cui all’articolo 34, comma 2, codice del consumo, e non si sottrae pertanto alla valutazione di vessatorietà, che il giudice è tenuto a compiere d’ufficio, sia al fine di verificare se la clausola determini un significativo squilibrio a carico del consumatore dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto, ex articolo 33, comma 1, codice del consumo, sia per il suo potenziale contrasto con l’articolo 33, comma 2, lett. e), stesso codice, in base al quale si presume vessatoria la clausola che consente al professionista di trattenere una somma di denaro versata dal consumatore se quest’ultimo non conclude il contratto o recede da esso, senza prevedere il diritto del consumatore di esigere dal professionista il doppio della somma corrisposta se è quest’ultimo a non concludere il contratto oppure a recedere, Cassazione, sentenza 18 settembre 2020, n. 19565, in Arch. loc. cond., 2020, p. 606.
Penale: approfondimenti tecnici
Per utili riferimenti:
- nel senso che nell’ambito dei contratti di telefonia mobile, al fine di valutare le pattuizioni contenute nelle condizioni generali di contratto e nelle opzioni prescelte dall’utente, il giudice deve preliminarmente, anche d’ufficio, individuare la qualità dei contraenti al fine di valutare correttamente, alla luce del principio sinallagmatico, l’eventuale squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dalle clausole stipulate e la loro vessatorietà con tutte le conseguenze da ciò derivanti [3] ;
- per il rilievo che a differenza della mediazione tipica, nella quale a norma dell’articolo 1756 Cc, per l’affare non concluso al mediatore spetta soltanto il diritto al rimborso delle spese, essendo il committente dominus della conclusione (o non) del contratto ed anche della revoca dello stesso incarico senz’altro onere, nel contratto, per cui sia pattuito un termine di efficacia con facoltà per l’incaricato, fino alla scadenza dello stesso, di promuovere affari con diritto alla provvigione anche se il committente rifiuti la conclusione del contratto, la revoca dell’incarico, ponendosi in contrasto con detta attribuzione, rientrante nel potere di autonomia contrattuale delle parti in rispondenza all’esigenza di favorire al massimo grado la promozione degli affari, comporta il diritto dell’incaricato ad un corrispettivo, anche in applicazione del principio generale di cui all’articolo 1373, comma 3, Cc [4].
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