forum

Licenziamento ritor...
 
Notifiche
Cancella tutti

Licenziamento ritorsivo: come vincere la causa

1 Post
1 Utenti
0 Reactions
79 Visualizzazioni
(@angelo-greco)
Post: 3207
Illustrious Member Registered
Topic starter
 

Come contestare il licenziamento per motivi di rappresaglia a seguito di un comportamento legittimo del dipendente. 

Contestare un licenziamento, riuscendo a dimostrare che lo stesso è avvenuto per una ritorsione del datore di lavoro nei confronti del dipendente, per aver questi tentato di esercitare un proprio diritto, ha un grande vantaggio. Difatti, secondo la giurisprudenza, l’annullamento di un licenziamento ritorsivo determina la reintegra sul posto di lavoro e non un semplice risarcimento del danno. Ma come vincere una causa per licenziamento ritorsivo? Cerchiamo di spiegarlo alla luce della più recente giurisprudenza, a partire dal caso reale del Tribunale di Busto Arsizio riguardante il licenziamento di un dipendente a seguito alla cessione di un ramo aziendale. Questo caso ci servirà come esempio pratico per spiegare come si manifesta l’intento ritorsivo nel licenziamento.

Cosa si intende per licenziamento ritorsivo?

Il licenziamento si definisce “ritorsivo” quando è la conseguenza di una reazione (una rappresaglia) dal datore a un comportamento legittimo del dipendente o all’esercizio di un diritto da parte di questi. Si pensi a un lavoratore che chieda più volte l’adozione di determinate misure di sicurezza sul lavoro o che minacci di scioperare se non verranno pagati regolarmente gli stipendi: in questi casi l’eventuale reazione del datore di lavoro attuata tramite licenziamento sarebbe illegittima. 

Il licenziamento ritorsivo si distingue da quello discriminatorio per il fatto che quest’ultimo viene invece intimato per ragioni collegate al sesso, all’età, all’orientamento sessuale, religioso, politico o sindacale del dipendente. Non consegue dunque a un comportamento del lavoratore ma a un suo modo di essere.

Cosa succede quando si impugna un licenziamento per ritorsione?

Quando il dipendente impugna il licenziamento sostenendo che, dietro di esso, vi è un intento ritorsivo spetta al datore di lavoro dimostrare invece il contrario ossia la veridicità delle ragioni formalmente poste a fondamento del provvedimento espulsivo. È ciò che si chiama «inversione dell’onere della prova». In buona sostanza, al dipendente basta assumere che il dipendente sia stato comminato per rappresaglia; sarà l’azienda a dover fornire le prove della sussistenza delle ragioni dedotte nella lettera di licenziamento. 

Dunque, vincere una causa per licenziamento ritorsivo è tutt’altro che impossibile. 

Si pensi al caso di un lavoratore licenziato per crisi aziendale. Il datore di lavoro gli invia la lettera di licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Il dipendente contesta il licenziamento. In causa, il datore di lavoro non riesce a dimostrare di aver effettuato la verifica del repêchage (il cosiddetto “ripescaggio”): non ha cioè verificato, prima di procedere alla risoluzione del rapporto di lavoro, se vi erano altre mansioni libere a cui adibire il lavoratore prima di mandarlo definitivamente a casa. In tale ipotesi, dietro l’assenza delle ragioni poste a base del licenziamento, potrebbe sussistere un intento ritorsivo che verrebbe quindi “presunto” sulla base delle deduzioni presentate dal dipendente.

Come è stato applicato questo concetto nel caso del Tribunale di Busto Arsizio?

Prendiamo come esempio il caso analizzato dal Tribunale di Busto Arsizio il 18 aprile 2023. Un dipendente con vent’anni di esperienza lavorativa viene licenziato per giustificato motivo oggettivo dopo la cessione di un ramo dell’azienda. Il giudice, tuttavia, ha rilevato l’assenza di prove sufficienti da parte del datore di lavoro sulla impossibilità di ricollocare il dipendente in un’altra mansione.

Un elemento importante nel caso considerato è il rifiuto del dipendente di aderire al piano di incentivo all’esodo proposto dall’azienda. Questo rifiuto ha portato l’azienda a escludere il dipendente dal piano di cessione e successivamente a procedere con il licenziamento. È possibile che questo rifiuto abbia innescato un intento ritorsivo nei confronti del lavoratore.

Nel caso del Tribunale di Busto Arsizio, il giudice ha concluso che il licenziamento era ritorsivo e, pertanto, nullo. Il lavoratore è stato reintegrato e l’azienda è stata obbligata a pagare un’indennità oltre a contributi assistenziali e previdenziali.

Licenziamento del lavoratore per ragioni sindacali

Per l’accertamento dell’intento ritorsivo del licenziamento è necessaria la prova della sussistenza di un rapporto di causalità tra l’asserito intento di rappresaglia e l’appartenenza del lavoratore ad un sindacato o la sua partecipazione, anche se attiva, ad attività sindacali (Cass. 14 luglio 2005 n. 14816).

 
Pubblicato : 26 Maggio 2023 12:15