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Licenziamento per scarso impegno, se sei pigro e non produci

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(@angelo-greco)
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Si può licenziare un dipendente che non lavora, è pigro o lento? E se sì, in quali casi? Cosa è necessario provare per dimostrare la legittimità del licenziamento?

Il licenziamento per scarso rendimento, quello cioè rivolto nei confronti dei lavoratori più lenti, pigri e che rendono poco sul lavoro, non è previsto da nessuna norma di legge. Nulla è cambiato anche dopo l’approvazione dei decreti attuativi del Jobs Act che non ha colmato la lacuna. Non resta che far riferimento alle sentenze dei tribunali per comprendere come si orientano i giudici in merito a questa fattispecie.

Cosa si intende per licenziamento per scarso rendimento?

Secondo un’interpretazione minoritaria, il licenziamento per scarso rendimento rientrerebbe in quello per giustificato motivo oggettivo (ossia per ragioni collegate all’azienda e all’organizzazione del lavoro): il lavoratore che opera con scarso rendimento, infatti, fornisce una prestazione lavorativa non sufficientemente e proficuamente utilizzabile per il datore di lavoro, andando a incidere negativamente sulla produzione [1].

L’interpretazione invece più seguita dai Tribunali riconosce la possibilità di licenziamento per scarso rendimento e lo riconduce al tipo di licenziamento disciplinare (cosiddetto “giustificato motivo soggettivo”) caratterizzato, cioè, dal notevole inadempimento del lavoratore al proprio dovere di diligenza. Questo perché il lavoratore subordinato non è tenuto a garantire al datore di lavoro un determinato risultato dalla propria attività [2], ma è obbligato a svolgere la prestazione osservando gli “ordini” da quest’ultimo impartitegli [3]. Nel fare ciò, tuttavia, il lavoratore deve agire con la diligenza tipica di quella determinata prestazione. Proprio in applicazione di tali principi, la giurisprudenza ha detto che “il rendimento lavorativo inferiore al minimo contrattuale o d’uso non fa scattare automaticamente l’inesatto adempimento”. In altre parole, non c’è inadempimento solo per il fatto che non sia stato raggiunto il risultato atteso dall’azienda se il lavoratore non è responsabile di alcun comportamento negligente nello svolgimento della prestazione lavorativa. L’inadeguatezza del risultato della prestazione resa, infatti, ben potrebbe essere ascrivibile alla stessa organizzazione dell’impresa o comunque a fattori non dipendenti dal lavoratore [4].

Dunque, non è così facile disporre un licenziamento per scarso rendimento: è infatti necessario che il datore di lavoro dimostri una condotta particolarmente grave del dipendente. Non basta provare, quindi, il solo mancato raggiungimento del risultato atteso, ma anche che ciò deriva solo dalla negligenza del lavoratore nell’esercizio della sua attività lavorativa.

Due sono quindi gli elementi che legittimano il licenziamento per scarso rendimento:

  • la significativa inadeguatezza della prestazione resa dal lavoratore e dei relativi risultati
  • il notevole (nella gravità) e persistente (nel tempo) inadempimento da parte del lavoratore degli obblighi scaturenti dal proprio contratto di lavoro che sia stata causa dei primi.

Di tutto ciò, dovrà dare prova il datore di lavoro.

Il lavoratore, invece, se vuol evitare il licenziamento, deve dimostrare che lo scarso rendimento è dovuto a causa a lui non imputabile, ma ad altri fattori come, per esempio, l’organizzazione dell’azienda, l’obsolescenza dei macchinari aziendali (per es. un computer lento) o anche un particolare e incolpevole stato soggettivo al momento dell’inadempimento [5].

Come si intima un licenziamento per scarso rendimento?

Trattandosi di licenziamento per motivo soggettivo, il datore di lavoro dovrà intimare lo stesso nel rispetto della procedura prevista dallo Statuto dei lavoratori:

  • forma scritta della lettera di contestazione al dipendente;
  • indicazione analitica, nella suddetta lettera, dei motivi dell’addebito;
  • invio tempestivo di tale lettera al dipendente, in concomitanza della condotta contestata o degli eventi specifici;
  • attesa di almeno cinque giorni (o il diverso e maggior termine previsto dall’eventuale contratto collettivo applicato) per valutare le eventuali giustificazioni del lavoratore e solo all’esito di ciò comunicare per iscritto il licenziamento (nel rispetto dell’eventuale termine previsto dal contratto collettivo applicato).

Quali sono le motivazioni del datore di lavoro?

Alla base di un licenziamento disciplinare per scarso rendimento, il datore di lavoro non può addurre giudizi soggettivi e/o valutazioni generiche di scarsa dedizione o impegno del lavoratore nello svolgimento della propria prestazione lavorativa. Dovrà invece indicare motivi oggettivi, valutati in modo sereno.

Inoltre, come detto l’inadempimento deve essere “notevole”, e cioè in grado di far venire meno l’interesse dell’azienda alla prestazione.

Infine la negligenza non deve limitarsi a un solo episodio ma deve essere stata continuativa. Il datore di lavoro potrà, per esempio, provare in giudizio che l’insofferenza del lavoratore nei confronti delle disposizioni del datore di lavoro sia rimasta inalterata anche dopo specifiche direttive impartite o addirittura dopo l’irrogazione di sanzioni disciplinari conservative di modo che il provvedimento espulsivo del licenziamento risulti l’unica soluzione possibile.

Si può licenziare il lavoratore che non raggiunge i minimi di produzione stabiliti in programmi di produttività individuale?

L’azienda è libera di stabilire dei cosiddetti “programmi di produttività individuale” (o “performance improvement plan”) con cui fissare parametri e specifici obiettivi per accertare che la prestazione sia eseguita con quella diligenza e quella professionalità proprie delle mansioni affidate al lavoratore. In questo caso, il mancato raggiungimento del risultato prefissato non costituirà di per sé inadempimento, ma integrerà, purtuttavia, un indice di non esatta esecuzione della prestazione. Non solo, ove il programma preveda lo svolgimento di una serie di attività ben identificate e ragionevoli, un sostanziale scostamento potrà essere prova dell’inadempimento.

Per esempio si può licenziare un lavoratore che rispetto a un programma di produttività, pur formulato con la finalità di erogare dei premi, risulti, nell’arco di quattro anni, raggiungere delle percentuali pari a rispettivamente pari al 31,6%, 37,8%, 5,5% e 5,8% rispetto agli obiettivi fissati dal programma, a fronte dei risultati tra il 42% e il 161%, raggiunti dai colleghi [6].

Cosa cambia con il Job Act

Il Jobs Act ha modificato solo le conseguenze in caso di illegittimità del licenziamento disciplinare, aspetto che potrebbe, comunque, avere un impatto su questo tipo di licenziamenti. Se prima era possibile, in forza del famoso articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, la reintegra sul posto di lavoro, oggi questa possibilità viene confinata solo ai casi in cui sia direttamente dimostrata in giudizio l’insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore, rispetto alla quale resta estranea ogni valutazione circa la sproporzione del licenziamento.
In tutti gli altri casi il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a due mensilità (…) per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a quattro e non superiore a ventiquattro mensilità.

Vietato licenziare per scarso rendimento chi è già stato sanzionato

Secondo una recente pronuncia della Cassazione [7] non si può licenziare per scarso rendimento il lavoratore per alcuni episodi di inadeguatezza e di scarsa collaborazione che erano già stati sanzionati e oggetto di provvedimenti disciplinari.

La vicenda nasce dalla causa insorta tra una società di trasporto pubblico locale e un suo dipendente. La vicenda nasce da un provvedimento di licenziamento adottato dall’azienda nei confronti del lavoratore, ritenuto colpevole di «scarso rendimento e palese insufficienza nell’adempimento delle funzioni» assegnategli. Per i giudici di merito, però, il licenziamento è illegittimo e la società deve far tornare in servizio il dipendente.

Innanzitutto, i giudici ritengono «confliggente col divieto del ne bis in idem in materia disciplinare l’adozione in successione, a partire dalla medesima contestazione, di un provvedimento sanzionatorio conservativo (sospensione dal servizio e dalla retribuzione per cinque giorni) e di un provvedimento di licenziamento, sub specie di esonero definitivo per inadeguatezza al servizio». In Appello, in particolare, i giudici ritengono palese che «l’esonero definitivo» del lavoratore «è stato basato esclusivamente sui precedenti disciplinari a suo carico del lavoratore, tra quali anche uno già sanzionato, poco prima del licenziamento, con una misura non espulsiva». Invece, la società non ha dedotto in altra maniera «un rendimento del lavoratore inferiore alla media» e «una sua colpa determinata da imperizia, incapacità e negligenza».

Col ricorso in Cassazione, però, il legale che rappresenta la società sostiene che «il cumulo, o, meglio, il notevolissimo numero, di sanzioni giustifica ampiamente l’esonero del lavoratore dal servizio». A questa obiezione, però, i Magistrati ribattono in modo netto, chiarendo che «l’esonero definitivo dal servizio per scarso rendimento si connota, sul piano oggettivo, per un rendimento della prestazione inferiore alla media esigibile e, sul piano soggettivo, per l’imputabilità a colpa del lavoratore. Per tale motivo, lo scarso rendimento non può essere dimostrato da plurimi precedenti disciplinari del lavoratore già sanzionati in passato, perché ciò costituirebbe un’indiretta sostanziale duplicazione degli effetti di condotte ormai esaurite».

In questo quadro si inserisce quanto appurato dai giudici d’Appello, e cioè che «all’atto della formale contestazione del cosiddetto comportamento complessivo, la società datrice di lavoro aveva già consumato il proprio potere disciplinare anche in relazione all’episodio ultimo in ordine di tempo». Tirando le somme, «non residuava più alla società spazio alcuno per operare una complessiva valutazione del pur cospicuo curriculum disciplinare del lavoratore». Ecco perché è illegittimo il licenziamento deciso dalla datrice di lavoro, che ora dovrà reintegrare il dipendente.

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Pubblicato : 3 Febbraio 2023 10:08