Licenziamento per malattia sopravvenuta: quando è legittimo?
Sopravvenuta infermità e impossibilità a svolgere le mansioni: si può licenziare?
Può avvenire che un dipendente, nel corso della propria carriera lavorativa, contragga una patologia che gli impedisca di svolgere le mansioni per le quali era stato assunto. In tali ipotesi, prima di procedere al licenziamento, il datore di lavoro deve valutare se possano essere adottati dei “ragionevoli accomodamenti” per consentire a questi di continuare a lavorare, eventualmente procedendo a un cambio di posizione, anche con slittamento della mansione verso il basso. Solo se ciò dovesse essere oggettivamente impossibile si potrà procedere alla risoluzione del rapporto di lavoro.
Cerchiamo quindi di comprendere, più nel dettaglio, quando è legittimo il licenziamento per malattia sopravvenuta alla luce della più recente giurisprudenza della Cassazione.
Quando è legittimo il licenziamento per malattia sopravvenuta?
Nei casi in cui è obbligatoria la cosiddetta «sorveglianza sanitaria», sarà la stessa visita medica a determinare la necessità di una sospensione dell’attività lavorativa da parte del dipendente. Difatti, scopo di tale visita è quello di verificare l’idoneità o la non idoneità del lavoratore a eseguire i compiti richiesti dalla mansione che svolge, al fine di garantire la sua sicurezza e salvaguardare la sua salute. Del resto obbligo del datore è di tutelare l’incolumità fisica e psichica dei dipendenti, come gli impone l’articolo 2087 del codice civile. Questo significa che se anche il dipendente tacesse la propria infermità o volesse proseguire a lavorare nonostante la sopravvenuta malattia, il datore è comunque tenuto a impedirglielo.
Nel caso invece di lavoratori non soggetti alla sorveglianza sanitaria, la valutazione circa la compatibilità tra le mansioni e lo stato di salute è rimesso al datore che dovrà valutare, caso per caso, sulla base della prudenza e della buona fede.
Affinché si possa procedere al licenziamento non è necessario che vi sia una totale incompatibilità tra lo stato morboso e la mansione ma la ragionevole probabilità che questa possa aggravare le condizioni del dipendente.
Dunque, il licenziamento può essere giustificato quando la malattia sopravvenuta del lavoratore comporta una inidoneità, anche parziale, a svolgere le mansioni assegnate. Tale inidoneità deve essere permanente o di durata indefinita e non dipendere dal lavoro svolto.
Come si definisce il licenziamento per malattia?
Il licenziamento per malattia rientra nella più ampia categoria di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, ossia per ragioni collegate alla produzione o all’organizzazione dell’azienda. Da ciò dipende che alcuna lettera di contestazione deve essere inviata all’interessato, il quale riceverà solo il licenziamento con il preavviso. Il datore può rinunciare al preavviso versando al dipendente la relativa indennità sostitutiva.
Chi accerta l’inidoneità del lavoratore?
L’inidoneità può essere accertata dal medico competente secondo il D.Lgs. 81/2008 o dalla Commissione medica ASL. Tuttavia, il giudizio di inidoneità non è vincolante per il giudice, che può avvalersi di un consulente tecnico d’ufficio (CTU) per valutazioni indipendenti.
Quali sono le condizioni per un licenziamento per malattia legittimo?
Affinché il licenziamento per sopravvenuta malattia sia legittimo è necessario che sussistano le seguenti condizioni:
- malattia senza prognosi definitiva di durata;
- mancanza di interesse del datore di lavoro alle prestazioni del dipendente, anche se ridotte;
- impossibilità di ricollocare il dipendente in altre mansioni compatibili con il suo stato di salute.
Quest’ultimo elemento è il più importante: viene definito repêchage. Il datore deve cioè fornire la prova di non aver potuto adibire il lavoratore a mansioni diverse da quelle cui era preposto, compatibili con la sua condizione fisica, anche di livello inferiore.
La Cassazione ha anche ritenuto illegittimo il licenziamento per sopravvenuta malattia se la conservazione del posto può avvenire operando ragionevoli accomodamenti, che non implichino costi eccessivi (ad esempio dei brevi turni di riposo supplementari, l’utilizzo di una sedia speciale, ecc.).
L’onere di provare l’impossibilità di reimpiegare il dipendente in altre mansioni ricade sul datore di lavoro, mentre il lavoratore deve solo indicare la potenziale nuova possibilità di lavoro.
Il ricollocamento deve rispettare l’organizzazione aziendale e le condizioni di lavoro degli altri dipendenti, senza imporre modifiche sostanziali all’assetto organizzativo.
La valutazione circa la legittimità del licenziamento avviene al momento dell’intimazione del licenziamento, indipendentemente dall’eventuale recupero successivo dell’idoneità fisica del lavoratore.
Quali sono le conseguenze di un licenziamento illegittimo per infermità sopravvenuta?
Un licenziamento giudicato illegittimo può portare alle stesse conseguenze previste per un licenziamento discriminatorio ossia il reintegro del lavoratore nel proprio posto di lavoro.
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