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Licenziamento ingiustificato: quando c’è reintegra

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(@paolo-florio)
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Al dipendente spetta la restituzione del posto di lavoro in caso di inesistenza del fatto o lieve irregolarità

Nell’ambito del diritto del lavoro italiano, le più recenti decisioni della Corte di Cassazione hanno segnato un punto di svolta nella valutazione dei licenziamenti disciplinari, ampliando la discrezionalità dei giudici anche in assenza di specifiche previsioni nei contratti di lavoro.

Le riforme introdotte dalla legge Fornero e dal Jobs Act hanno profondamente modificato la disciplina dei licenziamenti, ponendo particolare attenzione all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori (Legge 300/1970), che regola la reintegrazione sul posto in favore dei licenziamenti ingiustificati. Secondo la versione riformata dell’articolo, in caso di licenziamento disciplinare, la possibilità di reintegrazione del lavoratore rimaneva valida solo per quei comportamenti inadempienti specificamente sanzionati da una norma conservativa nel contratto collettivo o nel codice disciplinare applicabile.

Tuttavia, la Cassazione, con le sentenze 11665/2022 e 20780/2022, ha reinterpretato tale norma, estendendo il diritto alla reintegrazione anche a situazioni di inadempienza delineate in termini generali o flessibili nei contratti collettivi, come per esempio “lievi irregolarità” o “negligenza grave”. Questo significa che non è più indispensabile che il contratto collettivo descriva dettagliatamente la condotta inadempiente, consentendo al giudice una valutazione basata sulla gravità dell’azione del lavoratore.

Queste due pronunce rappresentano una vera e propria rivoluzione giuridica, in contrasto con la precedente linea interpretativa che limitava la reintegrazione ai soli casi di licenziamenti basati su violazioni disciplinari dettagliatamente descritte nei contratti collettivi. Tale evoluzione normativa si presta a un dibattito sulla bilancia tra flessibilità contrattuale e tutela del lavoratore, mettendo in luce la necessità di un equilibrio tra le esigenze di disciplina aziendale e la salvaguardia dei diritti dei lavoratori.

In questo contesto, la discrezionalità giudiziale emerge come elemento chiave, capace di adattarsi alle specificità di ciascun caso, nel rispetto delle norme e dei principi del diritto del lavoro.

Continuando l’analisi sulle recenti evoluzioni in materia di licenziamenti, un altro importante spartiacque giurisprudenziale riguarda la gestione dei licenziamenti per giustificato motivo oggettivo, in particolare alla luce delle pronunce della Corte di Cassazione e delle decisioni della Corte Costituzionale.

In seguito alla riforma dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, si è assistito a un intenso dibattito giuridico sull’adeguatezza delle sanzioni applicabili in caso di illegittimità dei licenziamenti per giustificato motivo oggettivo. La Corte di Cassazione, con la sentenza 16975/2022, ha interpretato restrittivamente le possibilità di scelta del giudice tra la tutela reale, consistente nella reintegrazione nel posto di lavoro, e quella esclusivamente indennitaria, segnando un deciso ritorno alla tutela reale come unica sanzione applicabile in presenza di una “manifesta insussistenza del fatto” sottostante il licenziamento.

Questa posizione è stata rafforzata da un recente intervento della Corte Costituzionale, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di parte del medesimo comma 7 dell’articolo 18, laddove limitava la tutela reale ai soli casi di “manifesta insussistenza del fatto”. Di conseguenza, la normativa attuale predispone la reintegrazione come unica risposta ai licenziamenti per giustificato motivo oggettivo ritenuti illegittimi, escludendo la possibilità di optare per un risarcimento meramente economico.

Un ulteriore aspetto da considerare in questo contesto è la sentenza 30950/2022, che ha introdotto una notevole innovazione in termini di repêchage, ovvero la ricerca di posizioni alternative disponibili prima di procedere al licenziamento. Secondo questa sentenza, il giudice deve valutare non solo la disponibilità di posizioni equivalenti o inferiori ma anche la possibilità di assegnare al lavoratore mansioni superiori, qualora queste siano state già svolte di fatto dal dipendente prima del licenziamento.

Infine, la Cassazione, con la sentenza 27334/2022, ha esteso la tutela reintegratoria anche alle aziende che non soddisfano i requisiti dimensionali previsti dallo Statuto dei Lavoratori, focalizzandosi sul rispetto del periodo di comporto in caso di malattia. In tale contesto, il licenziamento intimato senza il superamento del periodo massimo di malattia previsto dal contratto collettivo giustifica l’applicazione della tutela reale, indipendentemente dalle dimensioni aziendali.

Questi sviluppi evidenziano un rafforzamento delle tutele a favore dei lavoratori nel caso di licenziamenti per giustificato motivo oggettivo, sottolineando l’importanza di una valutazione accurata delle circostanze di ciascun caso e delle potenziali alternative al licenziamento, nel rispetto dei diritti dei lavoratori e delle esigenze organizzative delle imprese.

 
Pubblicato : 12 Marzo 2024 12:45