Le tasse sui contratti di locazione: tutto ciò che devi sapere
Quali imposte gravano sugli affitti di immobili ad uso abitativo o commerciale; quando conviene optare la cedolare secca; quanto si paga sugli affitti brevi.
I proprietari che desiderano dare un appartamento in affitto devono districarsi tra uno slalom di adempimenti: la scelta degli inquilini adatti, la stipula del contratto appropriato, il controllo sull’uso dell’immobile ed anche gli aspetti fiscali. In questo articolo ti illustriamo tutto ciò che devi sapere riguardo alle tasse sui contratti di locazione: è necessario sapere in anticipo quali imposte bisogna versare e dunque a quali costi si va incontro.
Tasse sugli affitti: quali sono?
Ti diciamo subito che le tasse sugli affitti sono molteplici: si inizia con l’imposta di registro del contratto di locazione, che è pari al 2% del canone annuo, con un minimo di 67 euro, e con l’imposta di bollo (16 euro ogni 4 facciate e comunque ogni 100 righe) e si arriva all’Irpef sui redditi percepiti con i canoni: qui l’importo dipende dallo scaglione Irpef e dalla correlativa aliquota in cui si trova il contribuente, in base all’ammontare dei suoi redditi complessivi annui.
Per evitare di pagare troppo, è prevista una importante valvola di sfogo: la cedolare secca, una sorta di flat tax pari al 21% e, in determinati casi, solo del 10%, dunque ben minore della consueta Irpef, che parte dal 23% per i redditi annui fino a 15mila euro ed arriva al 43% per l’eccedenza oltre i 50mila euro. La cedolare secca è un’imposta sostitutiva dell’Irpef ordinaria, ma talvolta potrebbe non convenire.
Infine, non bisogna dimenticare la tassa sugli affitti brevi, come le locazioni turistiche: qui, se l’attività viene esercitata in forma abituale o comunque se il numero degli immobili è superiore a quattro, bisogna aprire la partita Iva e porre in essere gli adempimenti conseguenti; ma è possibile rientrare nel regime forfettario, se l’ammontare dei ricavi non supera gli 85mila euro annui.
Dopo questa veloce illustrazione preliminare, vediamo più da vicino i singoli aspetti che abbiamo sintetizzato.
Registrazione del contratto di locazione
La registrazione del contratto di locazione va eseguita, presso l’Agenzia delle Entrate, entro 30 giorni dalla stipula o dalla data di decorrenza, se anteriore. La registrazione non è obbligatoria, ma rimane facoltativa, per i contratti che non superano la durata di 30 giorni complessivi nell’anno.
Si può registrare il contratto presso un qualsiasi ufficio dell’Agenzia delle Entrate, compilando il modello Rli con i dati delle parti (locatore e conduttore) e dell’immobile locato, oppure utilizzando i servizi telematici dell’Agenzia, direttamente se si è abilitati all’accesso, o tramite un intermediario abilitato, come un commercialista, un Caf o un’associazione di categoria dei proprietari o degli inquilini.
In fase di registrazione bisogna allegare una copia dell’Ape (attestato di prestazione energetica) dell’immobile, oppure, se viene locata una singola unità immobiliare, basta dichiarare nel contratto che il conduttore ha ricevuto le informazioni e la documentazione, comprensiva dell’attestato, sulle prestazioni energetiche dell’edificio.
L’importo dovuto per l’imposta di registro sul contratto di locazione dipende dalla tipologia dell’immobile, e precisamente è pari a:
- per i fabbricati dati in locazione ad uso abitativo: 2% del canone annuo moltiplicato per il numero delle annualità;
- fabbricati strumentali per natura: 1% del canone annuo, se la locazione è effettuata da soggetti passivi Iva, altrimenti 2%;
- fondi rustici: 0,50% del corrispettivo annuo moltiplicato per il numero delle annualità;
- altri immobili 2% del corrispettivo annuo moltiplicato per il numero delle annualità.
I contratti a canone concordato (stipulati con l’assistenza delle associazioni di categoria dei proprietari e degli inquilini, e riguardanti immobili che si trovano in un Comune “ad elevata tensione abitativa”) hanno un’imposta di registro ridotta del 30%. Come detto in apertura, il versamento dell’imposta di registro per la prima annualità di contratto ha un minimo di 67 euro, anche se la percentuale sul canone annuo desse un importo inferiore.
Sono obbligati alla registrazione sia il locatore sia il conduttore, ed entrambi rispondono in solido del pagamento dell’intera somma dovuta; tra loro, le parti possono accordarsi per una ripartizione in parti uguali, del 50% ciascuno, o in proporzioni differenti, ma senza addossare l’intera spesa al conduttore (leggi “Chi paga le spese di registrazione della locazione?“.
Irpef sui redditi da locazione
La tassazione ordinaria dei redditi da locazione è l’Irpef che si applica sul 95% dei canoni annui percepiti durante l’anno di imposta considerato: questa base imponibile viene rapportata agli scaglioni Irpef in cui rientra il proprietario locatore in base ai suoi redditi complessivi (che possono comprendere proventi di altra natura, come i redditi di lavoro dipendente o autonomo, di capitale o d’impresa).
L’importo da pagare come Irpef sui redditi derivanti dalle locazioni e dagli affitti è, dunque, variabile in base al totale dei redditi del contribuente; in ogni caso, l’ammontare del reddito ricavato dai canoni di locazione nell’anno di imposta considerato deve essere inserito nella dichiarazione dei redditi, riportando l’importo nel quadro B del modello 730 o nel quadro RB del modello Redditi.
Cedolare secca sugli affitti
La cedolare secca è un’imposta sostitutiva dell’Irpef e delle relative addizionali (regionale e comunale), in alternativa al regime ordinario di cui abbiamo parlato. L’aliquota è fissa, del 21% sul canone di locazione annuo stabilito dalle parti, a prescindere dagli altri eventuali redditi del locatore. C’è anche un’aliquota ridotta al 10% per i contratti a canone concordato.
La cedolare secca può essere scelta dalle persone fisiche che locano un immobile appartenente alle categorie catastali da A1 ad A11 (esclusa A10 – uffici e studi privati) al di fuori dell’esercizio di attività d’impresa, arte o professione. I contratti di locazione per i quali è stata esercitata l’opzione della cedolare secca non sono soggetti al pagamento delle imposte di registro e di bollo. La cedolare secca, tuttavia, comporta la rinuncia alla facoltà del proprietario di chiedere l’aggiornamento del canone di locazione in base alle variazioni dell’inflazione accertate dall’indice Istat.
Inoltre sulla parte del reddito assoggettato a cedolare non possono essere applicati oneri deducibili o detrazioni Irpef, mentre tale porzione rientra comunque nell’Isee. Ci sono, quindi, dei pro e contro da valutare bene. Per un’analisi comparativa dei vantaggi e degli svantaggi della cedolare secca rispetto al regime ordinario, leggi “Cedolare secca: quando e a chi conviene?“.
Tasse sulle locazioni brevi
Sono considerate locazioni brevi quelle per uso abitativo, stipulate da persone fisiche al di fuori dell’esercizio dell’attività d’impresa, e che prevedono una durata non superiore a 30 giorni.
Dal 2021 l’opzione della cedolare secca per le locazioni brevi è consentita solo se nell’anno si affittano al massimo quattro appartamenti; oltre questa soglia l’attività si considera esercitata in forma imprenditoriale, con i conseguenti obblighi Iva, a cominciare dall’apertura della relativa partita per arrivare alla liquidazione ed al versamento.
Ciò non toglie che si possa godere delle semplificazioni consentite dal regime forfettario (dal 2023 la soglia di accesso e di permanenza è stata elevata a 85mila euro annui di ricavi, e oltre i 100mila euro la fuoriuscita è automatica). Con il forfettario si paga solo il 15%, ed il 5% nei primi 5 anni di attività; inoltre non bisogna versare l’Iva. Per maggiori informazioni su questi adempimenti fiscali per le locazioni di breve durata, leggi “Quanto si paga di tasse sugli affitti brevi“.
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