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Le sentenze sono retroattive?

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(@angelo-greco)
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Che valore ha una sentenza e a quali rapporti si applica? Può avere effetti anche per il passato?

Quante volte si legge sui giornali di una sentenza innovativa che ha riconosciuto un importante diritto in capo ai cittadini. Spesso, in un ipotesi del genere, ci si chiede se tale principio possa essere applicato al proprio caso, sebbene esso sia anteriore alla pronuncia. La domanda che ci si pone insomma è se le sentenze sono retroattive. Per comprendere la questione dobbiamo fare un passo indietro: dobbiamo stabilire che valore ha una sentenza, a chi si applica, se essa è vincolante e quando è possibile “appellarsi” ad essa per ottenere giustizia.

Questo articolo è rivolto ai meno tecnici del settore, che vogliono comprendere come avvalersi di un precedente giurisprudenziale e di una nuova interpretazione fornita dai giudici.

Che valore ha una sentenza?

Una sentenza vincola solo le parti in giudizio. Tecnicamente si dice che ha valore inter partes, ossia solo per i due confliggenti.

La decisione del giudice, in particolare, obbliga la parte soccombente a rispettare la condanna.

La sentenza dunque non ha valore di legge nei confronti della collettività (solo la legge infatti ha valore erga omnes ossia per tutti quanti).

Peraltro, il nostro sistema giudiziario è regolato dal cosiddetto principio del civil law dove il precedente giurisprudenziale, ossia la singola decisione, non può influire sulle sorti dei successivi giudizi (al contrario dei sistemi di common law).

Ciò però non toglie che ci siano sentenze che possano influenzare l’orientamento di altri giudici. Si tratta delle sentenze della Cassazione, in quanto organo rivolto a garantire l’interpretazione unitaria del diritto su tutto il territorio nazionale. Le sue pronunce, se anche non sono vincolanti, hanno una certa autorevolezza, in particolare se emesse dalle Sezioni Unite.

Dunque, anche se un giudice può sempre decidere in modo diverso da come ha fatto la Cassazione, dovrebbe adeguatamente motivare la propria interpretazione. È comunque facoltà della parte soccombente far ricorso in appello e, successivamente, alla stessa Cassazione per ottenere la corretta interpretazione della legge secondo l’indirizzo da quest’ultima sposato.

La legge ha valore retroattivo?

Spesso ci si chiede se le leggi possono disciplinare anche situazioni passate, già consumatesi. Qui bisogna fare una distinzione tra leggi civili e leggi penali.

Nell’ambito del diritto civile, la legge non può essere retroattiva. Ma questo principio è stabilito da un’altra legge (art. 11 delle preleggi del Codice civile). Sicché può ben essere derogato da un’altra legge. Quindi, eccezionalmente, una norma può stabilire che la stessa si applichi anche a situazioni passate. Fanno eccezione i cosiddetti “diritti quesiti”, quelli ormai consolidatisi o per i quali è stata già emessa una sentenza, che sono intangibili.

Nell’ambito del diritto penale invece il discorso è più complicato.

Se la legge penale è più favorevole al reo, essa ha valore retroattivo. Sicché, ad esempio, una legge che depenalizza una condotta o che prevede una sanzione più lieve si applica anche ai comportamenti già commessi in passato, a meno che la pena non sia stata già scontata o la sentenza sia divenuta definitiva.

Invece se la legge penale è più sfavorevole al reo, essa non ha valore retroattivo. Si pensi a una legge che istituisce un nuovo reato: essa non potrebbe applicarsi a chi ha già commesso la condotta incriminata solo di recente. E lo stesso per la norma che inasprisca una sanzione.

La sentenza ha valore retroattivo?

Abbiamo detto che la sentenza non è una legge: essa è solo una interpretazione della legge. Dunque essa non aggiunge nulla alla norma che già esisteva, ma specifica solo il modo in cui essa deve essere applicata. Di conseguenza le sentenze hanno valore retroattivo.

Per comprendere meglio la questione facciamo un esempio, peraltro riferito a un caso realmente avvenuto.

Tizio fa causa alla propria banca perché ha applicato sul suo conto corrente una commissione di massimo scoperto a “percentuale”, ritenuta generica. La Cassazione gli dà ragione e ordina alla banca di restituire a Tizio le somme prelevate illegittimamente. Caio, leggendo la notizia, si chiede se potrà applicare tale principio al proprio caso sebbene egli abbia già stipulato da tempo un contratto di affidamento con un istituto di credito. La risposta è positiva: la sentenza della Cassazione infatti non fa altro che specificare come la legge doveva essere interpretata sin dall’inizio.

Le sentenze interpretative, e in particolare quelle della Corte di Cassazione, hanno quindi valore retroattivo. Ciò significa che esse esplicano i loro effetti non solo dal momento della loro pronuncia, ma anche per il passato.

Le sentenze interpretative non creano nuova legge, ma si limitano a chiarire il significato di una norma già esistente. In questo senso, esse specificano come la legge doveva essere interpretata sin dall’inizio.

Effetti del valore retroattivo della sentenza

Il valore retroattivo delle sentenze interpretative può avere diverse conseguenze:

  • ripristino della legalità: le sentenze possono annullare atti illegittimi compiuti in base a un’interpretazione errata della legge;
  • risarcimento del danno: le persone che hanno subìto un danno a causa di un’errata interpretazione della legge possono ottenere il risarcimento;
  • modifica dei rapporti giuridici: le sentenze possono modificare i rapporti giuridici tra le parti, determinando nuovi diritti e obblighi.

Limiti al valore retroattivo delle sentenze

Il valore retroattivo delle sentenze interpretative non è assoluto. Esistono infatti dei limiti, tra cui:

irretroattività delle norme penali più sfavorevoli al reo: le sentenze interpretative non possono avere effetto retroattivo in materia penale se queste implicano un aggravamento della condizione del reo;

ragionevolezza: il valore retroattivo non può essere applicato in modo vessatorio e deve essere bilanciato con altri principi, come l’affidamento e la certezza del diritto. Questo significa che i diritti che si sono ormai consolidati non possono essere intaccati. Si pensi al caso di una pronuncia che stabilisca la tassazione di alcune voci dello stipendio che prima erano ritenute esenti. Nessun giudice potrà obbligare i lavoratori che hanno già percepito tale somme a restituirle al fisco.

 
Pubblicato : 11 Marzo 2024 06:45