L’avvocato può parlare con i testimoni?
Il difensore può convocare presso il proprio studio le persone che dovranno essere sentite come testimoni nel corso del processo?
Quando un cliente si reca presso uno studio legale, la prima cosa che l’avvocato gli chiede è se ci sono testimoni che possono confermare la sua versione dei fatti. In caso positivo, occorre preparare una lista in cui specificare i nominativi di tali persone, affinché siano chiamate in giudizio a deporre. È in questo contesto che si inserisce la seguente domanda: l’avvocato può parlare con i testimoni?
Accade spesso che, prima di indicare i propri testi, l’avvocato chieda un incontro con loro al fine di chiarire a quali domande sono in grado di rispondere: sarebbe infatti inutile convocare persone che non possano riferire nulla. Fin qui tutto normale. Le cose si complicano, invece, se il legale cerca di fare pressioni sui testimoni: in casi del genere può configurarsi una responsabilità sia deontologica che disciplinare. Vediamo perché.
L’avvocato può incontrare i testimoni?
Nessuna norma di legge vieta all’avvocato di incontrare o perfino di convocare presso il proprio studio i testimoni che intende sentire durante il processo.
Si tratta in realtà di una prassi piuttosto diffusa, giustificata da almeno due circostanze:
- innanzitutto, l’avvocato deve capire se le persone indicate dal proprio assistito siano realmente in grado di esporre circostanze utili ai fini della controversia. Come anticipato in apertura, sarebbe infatti totalmente inutile citare in giudizio soggetti che non hanno nulla da dire. Insomma: l’avvocato chiede di parlare con il testimone per capire se è davvero tale;
- spesso sono le persone indicate come testimoni a voler incontrare il difensore, ad esempio per capire il motivo della loro citazione o, più semplicemente, per essere rassicurate sulla procedura. Capita spesso, infatti, che i testi non abbiano mai avuto prima un’esperienza del genere e, pertanto, vogliono sapere come e quando presentarsi in udienza.
Insomma: nulla vieta all’avvocato di incontrare i testimoni, nel rispetto delle posizioni di ciascuno. Occorre però rispettare alcuni limiti imposti dalla deontologia forense. Vediamo quali sono.
Quali sono i rapporti tra avvocato e testimoni?
Secondo il Codice di deontologia forense, l’avvocato non deve intrattenersi con testimoni o persone informate sui fatti oggetto della causa o del procedimento con forzature o suggestioni dirette a conseguire “deposizioni compiacenti” [1].
Insomma: l’avvocato non deve incontrare i testimoni con lo scopo di invitarli a deporre nella maniera più favorevole possibile al proprio assistito.
Il testimone, infatti, si impegna solennemente a dire la verità e a non nascondere nulla di quanto a sua conoscenza, pena il reato di falsa testimonianza, punito con la reclusione fino a sei anni [2].
Quando l’avvocato incontra il testimone, quindi, deve limitarsi a un colloquio formale in cui ognuno deve sempre tenere a mente qual è il suo ruolo, senza influenze di sorta.
Infatti, il testimone non è un ausiliario del difensore né una parte coinvolta nella controversia, ma un soggetto esterno che collabora con la giustizia affinché emerga la verità.
L’avvocato che viene meno al suo dovere deontologico cercando di influenzare la deposizione del teste rischia una sanzione disciplinare che può andare dalla mera censura fino alla sospensione dall’esercizio della professione per un periodo di tempo massimo pari a tre anni.
Se l’avvocato parla con i testimoni commette reato?
In un solo caso l’avvocato che parla con il testimone commette reato: quando si mette d’accordo con lui per fargli deporre il falso.
In un’ipotesi del genere sia il testimone che il difensore risponderebbero del reato di falsa testimonianza: il primo per aver mentito, il secondo per averlo istigato o convinto a fare ciò (cosiddetto concorso morale nel reato).
Pagare un testimone è reato?
L’avvocato che offre una somma di denaro a un testimone, magari per ottenere una deposizione favorevole, commette il reato di intralcio alla giustizia (conosciuto anche come “subornazione”). Stesso delitto si integra se il legale utilizza la violenza o la minaccia per ottenere il suo scopo [3].
Il reato scatta solamente se la somma di denaro non è accettata oppure, se accettata, il teste decide di non mentire e di dire il vero.
Se invece la falsa testimonianza si verifica effettivamente, allora entrambi (sia il teste che l’avvocato) risponderanno di questo reato.
Secondo la Cassazione [4], pagare un testimone non è reato se la persona a cui si offrono danaro o altre utilità non abbia ancora acquisito formalmente la qualità di teste, cioè non sia già stato formalmente designato dal giudice quale testimone.
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