Lavoro intermittente e assegno per il nucleo familiare
Il lavoratore che stipula un contratto a chiamata gode degli stessi diritti di un ordinario lavoratore dipendente, ma ciò accade solo nei periodi di effettivo lavoro.
Ti è stato proposto un contratto di lavoro intermittente? Ti stai chiedendo quali diritti ti spettano con questo contratto? Innanzitutto, occorre premettere che la legge prevede un principio di parità di trattamento tra lavoratori subordinati standard e lavoratori intermittenti, a patto che svolgano le stesse mansioni e siano inseriti al medesimo livello di inquadramento.
Tuttavia, occorre sempre tenere in considerazione che questo principio si applica solo nei periodi in cui il lavoratore intermittente presta la propria attività di lavoro.
Ne consegue, come vedremo, che in caso di lavoro intermittente gli assegni per il nucleo familiare spettano solo durante le chiamate. Nei periodi di non lavoro, il trattamento economico e normativo del lavoratore a chiamata dipende dalla tipologia di contratto di lavoro intermittente che è stato stipulato e dagli obblighi che il lavoratore si è assunto nei confronti del datore di lavoro.
Contratto di lavoro intermittente: la disciplina
Il contratto di lavoro intermittente, definito anche lavoro a chiamata o job on call, è stato introdotto dalla riforma Biagi nel 2003 [1] al fine di dare una risposta efficace a quelle aziende la cui attività presenta un andamento altalenante in cui si alternano delle fasi di intenso lavoro e delle altre di chiusura o di scarsa attività.
Dopo un periodo di abolizione di questo istituto, il lavoro intermittente è stato reintrodotto e oggi è una delle tipologie di contratto previste dal Codice dei contratti di lavoro [2].
Con esso, il lavoratore non inizia subito a lavorare tutti i giorni, con un orario di lavoro fisso. Al contrario, dopo la firma del contratto, si mette semplicemente in attesa di essere contattato dal datore di lavoro.
Il contratto a chiamata, dunque, stabilisce solo una cornice, entro la quale esiste la possibilità che il lavoratore sia chiamato per svolgere prestazioni di lavoro della durata non predeterminabile ex ante.
In realtà, in base all’intensità del vincolo che il lavoratore assume verso il datore di lavoro, possiamo distinguere tra due tipologie di contratto a chiamata:
- contratto di lavoro intermittente con obbligo di risposta;
- contratto di lavoro intermittente senza obbligo di risposta.
Nel primo caso, il lavoratore a chiamata si obbliga contrattualmente a rispondere alle chiamate del datore di lavoro. Questa tipologia di contratto presenta un indubbio vantaggio per il datore di lavoro: se decide di chiamare quel lavoratore sa che la risposta sarà affermativa e potrà, dunque, contare sulla sua presenza in servizio. Viceversa, per il lavoratore, questo obbligo è abbastanza gravoso, poiché condiziona la libertà di organizzazione della propria vita personale e lavorativa.
Per questo al lavoratore a chiamata con obbligo di risposta spetta l’indennità di disponibilità, ossia, un importo mensile il cui ammontare è definito dai Ccnl e, in ogni caso, non può essere inferiore ad almeno il 20% della retribuzione minima fissata dal Ccnl di settore per lavoratori di pari mansioni e di pari inquadramento contrattuale.
Inoltre, il lavoratore ha degli stringenti obblighi di comunicazione verso il datore di lavoro in caso di temporanea impossibilità a rispondere alle chiamate (ad es. per malattia, o altra impossibilità oggettiva. Se non provvede a comunicarlo, perde il diritto all’indennità per un periodo di quindici giorni, salvo diversa previsione del contratto individuale.
Pertanto, se il lavoratore dovesse rifiutarsi di rispondere alla chiamata, senza alcuna giustificazione, ne deriverebbe un inadempimento. Da ciò potrebbe discendere la risoluzione del contratto, con congruo risarcimento del danno e restituzione della quota di indennità corrispondente al periodo successivo al rifiuto medesimo.
Nel contratto a chiamata senza obbligo di risposta, invece, il datore di lavoro può chiamare a lavorare il lavoratore, ma non può essere certo che la risposta sarà affermativa. Ne deriva che, in tal caso, nei periodi di non lavoro, al lavoratore a chiamata non spetta né l’indennità di disponibilità, né alcun altro trattamento economico o normativo.
A volte, è lo stesso datore di lavoro a prediligere questa seconda tipologia di contratto in quanto obbedisce ad un’esigenza molto sentita dalle aziende: “ti chiamo quando serve e ti pago solo quando lavori”. Traduce l’esigenza di avvalersi della prestazione lavorativa solo nel momento in cui diventa necessaria, in maniera del tutto discontinua, senza ulteriori oneri di retribuzione del lavoratore, se non quello corrispondente all’effettiva esecuzione della prestazione.
Per completezza, si ricorda che il ricorso al lavoro intermittente risulta vietato per sostituire lavoratori in sciopero; nel caso in cui presso delle unità produttive si sia proceduto, entro i 6 mesi precedenti, a licenziamenti collettivi o presso delle unità produttive nelle quali sia operante una sospensione del lavoro o una riduzione dell’orario in regime di cassa integrazione guadagni; o quando le imprese non abbiano effettuato la valutazione dei rischi.
Contratto a chiamata: cosa spetta al lavoratore?
Nel contratto a chiamata, concluso in forma scritta, le parti specificano la durata; la natura variabile della programmazione del lavoro; le ipotesi che ne consentono la stipulazione; il trattamento economico e normativo spettante al lavoratore per la prestazione eseguita; le modalità in cui viene garantita la disponibilità del lavoratore; le forme e le modalità con cui il datore di lavoro richiede la prestazione, nonché per quali mansioni il lavoratore potrà essere chiamato a lavorare e con quale inquadramento contrattuale.
Il contratto può essere concluso in presenza di una delle causali oggettive:
- si tratta di prestazioni dal carattere discontinuo o intermittente in base alle esigenze individuate dai contratti collettivi stipulati da associazioni dei datori di lavoro e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale;
- per periodi predeterminati, nel corso della settimana, del mese o dell’anno, dagli stessi contratti collettivi.
Le causali soggettive riguardano, invece, l’età del lavoratore, poiché può essere stipulato da soggetti con meno di ventiquattro anni di età, purché la prestazione si concluda entro il venticinquesimo anno, o da lavoratori con più di cinquantacinque anni.
La mancanza di tale requisito, determina la nullità del negozio per contrasto con norme imperative di legge e la possibilità di una conversione, ove il negozio sia idoneo a produrre gli effetti di un’altra fattispecie e previo accertamento, da parte del giudice di merito, della volontà delle parti [3].
Con l’eccezione dei settori del turismo, dei pubblici esercizi e dello spettacolo, il contratto di lavoro intermittente è ammesso, per un periodo complessivamente non superiore a quattrocento giornate di effettivo lavoro nell’arco di tre anni solari. In caso di superamento, il relativo rapporto si trasforma in un rapporto di lavoro a tempo pieno e indeterminato.
Ad esempio, il titolare di un negozio di abbigliamento ed un lavoratore possono firmare un contratto a chiamata che prevede che il datore di lavoro possa chiamare il lavoratore a svolgere, per determinati periodi di tempo, mansioni di cassiere comune con inquadramento al quarto livello del Ccnl Commercio.
In questo caso al lavoratore spetta:
- nei periodi di non lavoro, non spetta nulla, a meno che il contratto a chiamata non preveda l’obbligo di risposta, ipotesi in cui al lavoratore spetta l’indennità di disponibilità;
- nei periodi di effettivo lavoro, al lavoratore a chiamata spetta la retribuzione ed il trattamento normativo previsto dal Ccnl Commercio per un lavoratore assunto con mansioni di cassiere comune ed inquadramento al quarto livello.
Ovviamente, il trattamento economico e normativo del lavoratore a chiamata deve essere riparametrato al periodo di effettivo svolgimento della prestazione di lavoro. Ne consegue che se il negozio chiama il cassiere per un mese, gli spetteranno:
- una mensilità di retribuzione;
- un rateo mensile di tredicesima;
- un rateo mensile di quattordicesima;
- un rateo mensile di ferie;
- un rateo mensile di permessi retribuiti (rol ed ex festività);
- l’accantonamento di un rateo mensile di trattamento di fine rapporto (Tfr).
Ciò deriva dal principio di non discriminazione del lavoratore intermittente che, nei periodi di effettivo lavoro, deve percepire lo stesso trattamento che spetta ad un lavoratore standard di pari livello e mansioni.
Nei periodi di non lavoro, invece, al lavoratore intermittente non spetta alcunché, salvo l’indennità di disponibilità ove prevista.
Assegni per il nucleo familiare: cosa sono?
Prima di chiarire se al lavoratore a chiamata spettino gli assegni per il nucleo familiare (detti anche Anf) vediamo in cosa consiste questa prestazione.
Gli assegni per il nucleo familiare costituiscono una prestazione di natura economica che viene erogata dall’Inps ai nuclei familiari di determinate categorie di lavoratori, dei soggetti titolari di pensione e dei lavoratori assistiti dall’assicurazione contro la tubercolosi.
Non a tutti i nuclei familiari spettano le stesse somme a titolo di Anf. Infatti, il riconoscimento del diritto all’assegno e la quantificazione dell’importo spettante a titolo di Anf avvengono sulla base della tipologia di nucleo familiare, del numero dei membri e della condizione reddituale complessiva del nucleo stesso.
Essendo una prestazione di natura sociale, l’importo degli Anf decresce per scaglioni crescenti di reddito. Quando il reddito familiare raggiunge determinate soglie di esclusione, il diritto agli Anf cessa. L’importo degli Anf non è fisso ma cambia negli anni, anche in funzione delle variazioni dell’inflazione. Per questo, annualmente, l’Inps pubblica delle tabelle che sono valide dal 1° luglio di ogni anno sino al 30 giugno dell’anno seguente [4].
Ci si chiede che rapporto ci sia tra Anf e contratto di lavoro intermittente perché gli assegni per il il nucleo familiare non sono una prestazione sociale a tutela della famiglia in genere, ma sono una prestazione strettamente connessa allo status di lavoratore dipendente.
Infatti, gli Anf non spettano a tutte le famiglie, ma solamente ai:
- lavoratori dipendenti (settore privato);
- lavoratori dipendenti (settore agricolo);
- lavoratori somministrati;
- lavoratori domestici;
- lavoratori iscritti, sul piano previdenziale, alla Gestione Separata Inps;
- lavoratori dipendenti di ditte fallite e cessate;
- soggetti titolari di pensione a valere sul Fondo Pensioni Lavoratori Dipendenti, sui fondi speciali ed ex Epals;
- soggetti titolari di prestazioni previdenziali;
- lavoratori in pagamento diretto.
Quando si tratta di cittadini stranieri soggiornanti di lungo periodo in Italia, l’assegno per il nucleo familiare non richiede che i familiari siano ivi residenti.
La famiglia prende gli Anf, dunque, solo se al suo interno c’è almeno un componente che abbia un rapporto di lavoro dipendente ed è proprio tramite la busta paga che gli assegni vengono materialmente pagati al lavoratore dal datore di lavoro che, poi, li recupera dall’Inps tramite conguaglio con i contributi che egli deve pagare all’istituto previdenziale. Non solo. Per poter avere accesso agli Anf, il reddito complessivo del nucleo familiare deve derivare, per almeno il 70%, da reddito da lavoro dipendente e assimilato.
Dovrà, dunque, essere l’interessato a provare l’esistenza dei requisiti, per cui l’assegno non spetta se la somma dei redditi da lavoro dipendente, da pensione o da altra prestazione previdenziale derivante da lavoro dipendente è inferiore alla percentuale prevista del reddito complessivo del nucleo familiare.
A partire dal 1° marzo 2022, l’ANF per i nuclei familiari con figli e orfanili è sostituito dall’Assegno unico e universale per i figli a carico, fino al compimento dei 21 anni e senza limiti di età per figli disabili a carico, istituito dal D.Lgs. 230/2021. Anch’esso è determinato sulla base della situazione economica del nucleo familiare, essendo rivolto a lavoratori dipendenti, autonomi, pensionati, disoccupati e inoccupati,
Sicchè, a seguito di tale intervento legislativo, la prestazione ANF è riconosciuta unicamente ai nuclei familiari non orfanili e senza figli. Quindi quei nuclei costituiti dal richiedente l’assegno; dal coniuge non legalmente ed effettivamente separato o dalla parte di unione civile non sciolta da unione civile; da fratelli, sorelle e nipoti in linea collaterale del richiedente, minori di età o maggiorenni inabili, se orfani di entrambi i genitori e non aventi diritto alla pensione ai superstiti.
Contratto di lavoro intermittente: spettano gli assegni per il nucleo familiare?
Chiarito cosa sono gli Anf e lo stretto legame che lega questa prestazione economica allo statusdi lavoratore dipendente, è possibile ora rispondere all’interrogativo che si pone un lavoratore a chiamata circa il suo diritto a percepire gli Anf. La risposta è stata fornita direttamente dall’Inps [5] che ha affermato che al lavoratore intermittente spetta l’assegno per il nucleo familiare per i soli periodi in cui il lavoratore presta effettivamente attività lavorativa a favore del datore di lavoro.
Al contrario, per il periodo di mera disponibilità, per il quale il lavoratore percepisce un’indennità, l’assegno per il nucleo familiare non deve essere corrisposto in assenza di una effettiva prestazione lavorativa, in linea con quanto avviene per la globalità dei lavoratori dipendenti, ai quali l’assegno spetta, in via generale, in presenza di effettiva prestazione lavorativa, ovvero per le situazioni espressamente disciplinate dalla legge (malattia, maternità, ferie, etc.).
Ovviamente, anche nel contratto a chiamata senza disponibilità vale (a maggior ragione) la stessa regola e, dunque, il lavoratore avrà diritto agli assegni per il nucleo familiare solo nei periodi in cui viene chiamato a lavorare e non nei periodi di mera attesa.
Ovviamente, l’erogazione degli Anf al lavoratore a chiamata, oltre alla presenza di una effettiva prestazione di lavoro, resta subordinata al possesso, da parte del nucleo familiare del lavoratore intermittente, di tutti gli altri requisiti richiesti, in generale, per l’accesso a tale prestazione.
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