Lavoro domestico: ultime sentenze
Fittizietà del rapporto di lavoro domestico; lavoratori stranieri che svolgono attività di assistenza o lavoro domestico di assistenza.
Lavoro domestico: prestazione di disoccupazione
L’art. 4, § 1, della direttiva 79/7/CEE del Consiglio, del 19 dicembre 1978, relativa alla graduale attuazione del principio di parità di trattamento tra gli uomini e le donne in materia di sicurezza sociale, deve essere interpretato nel senso che esso osta a una disposizione nazionale che esclude le prestazioni di disoccupazione dalle prestazioni di sicurezza sociale riconosciute ai collaboratori domestici da un regime legale di sicurezza sociale, qualora tale disposizione ponga in una situazione di particolare svantaggio i lavoratori di sesso femminile rispetto ai lavoratori di sesso maschile e non sia giustificata da fattori oggettivi ed estranei a qualsiasi discriminazione fondata sul sesso.
Corte giustizia UE sez. III, 24/02/2022, n.389
Risarcimento dei danni da perdita di capacità lavorativa specifica
In tema di risarcimento dei danni da perdita di capacità lavorativa specifica, colui che veda ridursi la propria capacità di lavoro domestico subisce un danno futuro risarcibile, per la cui liquidazione non è necessaria né la prova che, dopo la guarigione, l’attività domestica si sia ridotta o sia cessata (essendo invece sufficiente anche solo la prova che la vittima sarà costretta ad una maggiore usura o ad una anticipata cessazione da tale attività ), né la prova che la vittima sia dovuta ricorrere all’ausilio di un collaboratore domestico (giacché, diversamente, il risarcimento non potrebbe essere liquidato proprio a coloro che, per insufficienza di risorse economiche, non abbiano potuto affrontare tale spesa).
Tribunale Vicenza sez. I, 24/11/2021, n.2180
Presupposti per l’operatività della copertura assicurativa
L’art. 6, comma 2 della L. n. 493 del 1999, ai fini della tutela dell’infortunio domestico, non parla di ‘residenza’ dell’assicurato, ma di ‘dimora’ e dunque, a mente quanto previsto dall’art. 43 c.c., non si fa riferimento al luogo di abituale residenza, con la conseguenza che l’infortunio è tutelato anche se avviene in un luogo di temporanea dimora, purché il lavoro domestico sia finalizzato solo alla cura delle persone e dell’ambiente domestico del nucleo familiare. La nozione di nucleo familiare, tuttavia, impone di considerare esclusivamente i figli a carico, seppure non conviventi. Fatte tali premesse, deve concludersi che non possa essere riconosciuta la rendita se l’assistenza domestica venga prestata a favore di membri di un nucleo familiare diverso da quello dell’assicurato.
Tribunale Castrovillari sez. I, 04/03/2021, n.427
Lavoro domestico: principio dell’automaticità delle prestazioni
Anche ai rapporti di lavoro domestico si applica il principio dell’automaticità delle prestazioni, principio sancito dall’art. 2116 c.c. alla cui stregua le prestazioni di previdenza ed assistenza obbligatorie sono dovute al prestatore di lavoro, anche quando l’imprenditore non ha versato regolarmente contributi dovuti alle istituzioni di previdenza e di assistenza, salvo diverse disposizioni delle leggi speciali. Trattasi di principio di portata applicativa generale rispetto all’intero ambito dei sistemi di previdenza e assistenza obbligatorie proprie del rapporto di lavoro dipendente suscettibile di essere derogato (salvo diverse disposizioni delle leggi speciali) solo in presenza di una esplicita disposizione in tal senso, costituendo un logico corollario della finalità di protezione sociale inerente ai sistemi di assicurazione obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti.
Tribunale Roma sez. lav., 30/10/2019, n.9438
Lavoro domestico: va sempre dichiarata la subordinazione?
Il vincolo della subordinazione non ha tra i suoi tratti caratteristici ed indefettibili la permanenza dell’obbligo del lavoratore di tenersi a disposizione del datore di lavoro. Ne consegue che si configura lavoro subordinato anche se la lavoratrice domestica abbia lavorato solo la mattina per due giorni a settimana.
Tribunale Roma sez. lav., 26/04/2019, n.4005
Lavoro domestico: si applica il principio dell’automaticità delle prestazioni?
Anche ai rapporti di lavoro domestico si applica il principio dell’automaticità delle prestazioni, principio sancito dall’art. 2116 c.c. alla cui stregua le prestazioni di previdenza ed assistenza obbligatorie sono dovute al prestatore di lavoro, anche quando l’imprenditore non ha versato regolarmente contributi dovuti alle istituzioni di previdenza e di assistenza, salvo diverse disposizioni delle leggi speciali.
Trattasi di principio di portata applicativa generale rispetto all’intero ambito dei sistemi di previdenza e assistenza obbligatorie proprie del rapporto di lavoro dipendente suscettibile di essere derogato (salvo diverse disposizioni delle leggi speciali) solo in presenza di una esplicita disposizione in tal senso, costituendo un logico corollario della finalità di protezione sociale inerente ai sistemi di assicurazione obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti.
Tribunale Roma sez. lav., 30/10/2019, n.9438
Lavoro domestico del coniuge economicamente più debole
Gli acquisti dei coniugi rientrano nella comunione dei beni (art. 177 c.c.) a meno che non si tratti di un bene personale come da dichiarazione (art. 179 c.c.); presumendosi de jure un pari apporto economico per l’acquisizione del bene, sia pure indirettamente, attraverso il risparmio ed il lavoro domestico del coniuge economicamente più debole, la divisione non può che avvenire per la metà ciascuno (art.194 c.c.).
Tribunale Bolzano sez. I, 01/03/2019, n.224
Lavoro domestico: la violazione riguardante l’irrituale assunzione
In materia di lavoro domestico, le violazioni riguardanti l’irrituale assunzione di lavoratori a domicilio rappresentano reati istantanei con effetti permanenti poiché il legislatore fissa un termine preciso, per l’adempimento delle prescrizioni relative, coincidente non oltre il termine di costituzione del rapporto di lavoro.
Cassazione civile sez. lav., 24/10/2018, n.27002
Legittimità del licenziamento ad nutum
Si qualifica come di lavoro domestico la prestazione lavorativa a favore di una comunità religiosa o familiare, con conseguente legittimità del licenziamento ad nutum intimato alla lavoratrice medesima.
Cassazione civile sez. lav., 30/08/2018, n.21446
Quando sussiste lavoro domestico?
Il rapporto di lavoro deve essere qualificato come domestico laddove sia caratterizzato dalla prestazione finalizzata al funzionamento della vita familiare per soddisfare un bisogno personale del datore e che non costituisce strumento per l’esercizio della sua attività professionale.
Cassazione civile sez. lav., 30/08/2018, n.21446
Rapporto di lavoro domestico
La formula “somma maggiore o minore ritenuta dovuta” o altra equivalente, che accompagna le conclusioni con cui una parte chiede la condanna al pagamento di un certo importo, non costituisce una clausola meramente di stile quando vi sia una ragionevole incertezza sull’ammontare del danno effettivamente da liquidarsi, mentre tale principio non si applica se, all’esito dell’istruttoria, sia risultata una somma maggiore di quella originariamente richiesta e la parte si sia limitata a richiamare le conclusioni rassegnate con l’atto introduttivo e la formula ivi riprodotta, perché l’omessa indicazione del maggiore importo accertato evidenzia la natura meramente di stile dell’espressione utilizzata.
(Nella specie la S.C. ha cassato, per ultrapetizione, la sentenza, in rapporto di lavoro domestico, di condanna alla corresponsione delle differenze retributive nell’importo risultante dalla disposta CTU, eccedente rispetto alla quantificazione operata col ricorso introduttivo, in rilevata carenza di iniziative della parte di adeguamento della domanda ai più favorevoli esiti della consulenza).
Cassazione civile sez. VI, 20/07/2018, n.19455
L’onere della prova della gratuità della prestazione lavorativa
L’assenza di retribuzione non comporta, di per sé, la non configurabilità di un rapporto di lavoro, in quanto ben può esservi spendita di attività lavorativa in assenza di controprestazione retributiva (si pensi alla presunzione di gratuità del lavoro domestico prestato in favore di familiari all’interno della comune abitazione o nell’azienda di uno di essi; oppure ancora alla prestazione di lavoro gratuito nell’ambito del volontariato).
Si presume infatti effettuata a titolo oneroso ogni attività lavorativa oggettivamente configurabile come prestazione di lavoro subordinato, a meno che non risulti che la stessa sia stata resa affectionis vel benevolentiae causa, ovvero in vista di vantaggi indiretti che il lavoratore intendeva trarre dalla gratuità della stessa, ben potendo le parti – nell’esercizio dell’autonomia privata – legittimamente prevedere la prestazione di attività lavorativa gratuita; tale ultima prova – che va ricavata in modo rigoroso da elementi oggettivi e soggettivi, quali il tipo e le concrete modalità del rapporto, la qualità e la condizione economico-sociale dei soggetti, nonché le relazioni personali tra essi – è a carico del beneficiario della prestazione lavorativa (ovverosia del datore di lavoro), e non può consistere nella semplice inerzia del prestatore d’opera, seppur prolungata nel tempo, nel chiedere un compenso per la prestazione stessa, né nel mero rapporto di convivenza.
Tribunale Roma sez. lav., 13/02/2018, n.1092
Compromissione della capacità di lavoro domestico
Le lesioni riportate nel sinistro stradale hanno comportato una tale sofferenza psichica per cui la massima percentuale di personalizzazione è congrua; non altrettanto per il lavoro domestico.
Dalle lesioni riportate nel sinistro è derivata all’appellante una invalidità permanente stimata dal c.t.u. nel 60% per la quale le tabelle di liquidazione applicate dal primo Giudice permettono una personalizzazione fino al 25%.
Il fatto che si tratti di una giovane donna sottoposta a nove interventi chirurgici, che ha subito la parziale amputazione della gamba sinistra risultando così colpita anche nella principale attività di svago (il ballo) con presumibile gravissima sofferenza psico -fisica sfociata, come rileva il c.t.u., in depressione cronica di grado medio, induce a ritenere congrua l’applicazione della massima percentuale di personalizzazione del danno non patrimoniale prevista dalle applicate tabelle di liquidazione. Infondato, invece, è il motivo d’appello concernente il danno patrimoniale correlato alla compromissione della capacità di lavoro domestico.
Corte appello Bologna sez. II, 19/01/2018, n.196
Lavoro domestico: l’assenza di retribuzione
Quanto all’elemento costituito dalla percezione di una retribuzione per l’attività lavorativa svolta, l’assenza di retribuzione non comporta, di per sé, la non configurabilità di un rapporto di lavoro, in quanto ben può esservi spendita di attività lavorativa in assenza di controprestazione retributiva (si pensi alla presunzione di gratuità del lavoro domestico prestato in favore di familiari all’interno della comune abitazione o nell’azienda di uno di essi; oppure ancora alla prestazione di lavoro gratuito nell’ambito del volontariato).
Tribunale Roma sez. lav., 30/10/2017, n.8809
Indebita percezione di Naspi
Dalla fittizietà del rapporto di lavoro domestico discende la illegittimità di eventuali percezioni di assegni di disoccupazione e l’obbligo di trasmissione degli atti all’INPS per il recupero degli indebiti ed alla procura per l’accertamento di eventuali reati.
Tribunale Roma sez. lav., 02/10/2017, n.7929
Permesso di soggiorno e lavoro domestico
L’art. 1-ter del D.L. n. 78 del 2009, introdotto dalla Legge di conversione 3 agosto 2009, n. 102, significativamente rubricato « Dichiarazione di attività di assistenza e di sostegno delle famiglie », — che ha previsto la regolarizzazione della posizione lavorativa dei lavoratori extracomunitari che, da tre mesi anteriori alla data del 30 giugno 2009 e quanto meno sino alla data di presentazione della dichiarazione, svolgevano attività di assistenza al datore di lavoro o a componenti della sua famiglia affetti da patologie o handicap che ne limitassero l’autosufficienza, ovvero di lavoro domestico di sostegno al bisogno familiare — deve essere interpretato nel senso che l’obiettivo cui la norma mira va individuato nella realizzazione dell’interesse all’assistenza o al sostegno domestico di persone che ne abbisognino effettivamente, con la conseguenza che il contratto di soggiorno in parola necessariamente presuppone la volontà di addivenirvi anche della parte datoriale, di modo che mancando la conclusione del procedimento di emersione, non può essere rilasciato il permesso di soggiorno per motivi di lavoro.
T.A.R. Bologna, (Emilia-Romagna) sez. I, 27/02/2017, n.150
Risarcimento del danno da perdita del lavoro domestico
Il lavoro domestico costituisce utilità suscettibile di valutazione economica e la relativa perdita comporta un danno risarcibile, la cui prova può essere fornita presuntivamente, potendo farsi risalire dal fatto noto che una persona sia rimasta vittima di lesioni, tali da costringerla ad un lungo periodo di invalidità, l’esistenza del fatto ignoto della perdita patrimoniale corrispondentemente subita.
(Nella specie, rilevato l’impedimento ad attendere alle occupazioni domestiche a seguito dell’incidente stradale, il Tribunale ha riconosciuto alla casalinga il danno patrimoniale, quantificato tenendo conto del costo ideale pari alla retribuzione spettante ad un collaboratore domestico).
Tribunale Napoli sez. VI, 29/11/2016, n.12905
La domanda di emersione dal lavoro irregolare
Ai sensi dell’art. 1 ter comma 4 lett. d), d.l. 1 luglio 2009, n. 78 la dichiarazione di emersione dell’extracomunitario deve contenere, a pena d’inammissibilità, l’attestazione – per la richiesta di assunzione di un lavoratore di cui alla lett. b) del comma 1, addetto al lavoro domestico di sostegno al bisogno familiare – del possesso di un reddito imponibile, risultante dalla dichiarazione dei redditi, non inferiore a 20.000 euro annui in caso di nucleo familiare composto da un solo soggetto percettore di reddito, ovvero di un reddito complessivo non inferiore a 25.000 euro annui in caso di nucleo familiare composto da più soggetti conviventi percettori di reddito; l’indicazione della soglia reddituale minima che, in base alla lett. d) del comma 4 dell’art. 1 ter, d.l. n. 78 del 2009, il datore di lavoro deve attestare nel corso della procedura di emersione, risponde alla ratio di conferire certezza alla retribuzione che verrà erogata, posto che il reddito del datore di lavoro diventa la fonte di sostentamento del lavoratore, in vista del proficuo e pacifico inserimento di quest’ultimo nella realtà lavorativa e sociale italiana.
Consiglio di Stato sez. III, 20/10/2016, n.4399
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