Lavoro a chiamata: cos’è e come funziona
Caratteristiche e peculiarità del job on call: chi può farlo, come viene pagato, quando conviene e quali svantaggi ci sono.
Con la precarietà sempre più diffusa, diventa importante sapere cos’è il lavoro a chiamata e come funziona nella pratica questo strumento contrattuale cui molti datori ricorrono per “arruolare” i dipendenti.
Il lavoro a chiamata – spesso definito anche «lavoro intermittente», e, con terminologia anglosassone, job on call – è un tipo di contratto di lavoro caratterizzato da un’estrema flessibilità per entrambe le parti del rapporto. Ciò però non vuol dire che il datore, o il dipendente, possano fare liberamente ciò che vogliono: a carico di entrambi ci sono condizioni, vincoli e limiti che ora esamineremo.
La formula del lavoro a chiamata, o intermittente, è stata introdotta in Italia nel 2003 con la legge Biagi. L’intento – ancor oggi, in buona parte, rimasto sulla carta – era quello di avvicinare le esigenze dei datori di lavoro alla ricerca di personale con quelle degli aspiranti ad un posto come dipendenti effettivi in un’azienda, anziché come lavoratori autonomi, senza busta paga e magari con obbligo di partita Iva.
Ci sono però settori in cui attualmente il lavoro intermittente viene molto utilizzato, anche se non è per tutti: è riservato solo ai lavoratori molto giovani o piuttosto anziani, e solo in specifici ambiti di attività.
Lavoro a chiamata e prestazioni occasionali: differenza
Innanzitutto chiariamo la fondamentale differenza tra il lavoro a chiamata e le prestazioni occasionali. Il lavoratore a chiamata è a tutti gli effetti un dipendente subordinato, quindi ha tutti i diritti e gli obblighi tipici di tale figura. Il prestatore occasionale, invece, è un lavoratore autonomo, che non ha un vincolo di subordinazione gerarchica con il datore di lavoro.
Le due figure hanno in comune soltanto la sporadicità delle attività svolte, che in entrambi i casi non hanno carattere continuativo e stabile.
In concreto, dal punto di vista fiscale il lavoratore a chiamata percepisce lo stipendio in busta paga, ed è soggetto alle normali trattenute Irpef, mentre il prestatore occasionale riceve il compenso con applicazione di ritenuta d’acconto, nella misura del 20% fino a 5.000 euro annui.
Lavoro intermittente: come si svolge
Da quanto abbiamo appena detto avrai capito che non si può ricorrere alla formula delle prestazioni occasionali per assumere dipendenti in un’azienda. Piuttosto, il datore può ricorrere alla chiamata in azienda di lavoratori in caso di necessità, evitando così un’assunzione di tipo stabile: ed è proprio a questo che serve il job on call.
Il lavoro a chiamata viene utilizzato molto spesso in settori economici nei quali il turn over del personale è particolarmente elevato e le prestazioni da svolgere sono avventizie e saltuarie, come il turismo (si pensi alle attività stagionali, come gli stabilimenti balneari) e lo spettacolo: qui possono esserci periodi dell’anno e momenti particolari che richiedono più personale, mentre in altri periodi non sussiste questa necessità.
Quando il datore di lavoro richiede personale intermittente, interpella telefonicamente i potenziali candidati, offrendogli la disponibilità del posto. La comunicazione può avvenire anche con sms, posta elettronica e con sistemi di messaggistica come WhatsApp e Telegram: le modalità di chiamata sono prestabilite all’inizio, quindi deve essere usato il canale di comunicazione scelto e concordato tra le parti (ad esempio, non si può inviare un sms se era stato deciso che le comunicazioni dovevano avvenire tramite Pec).
Il datore deve specificare, ovviamente, il tipo di impiego, la durata del rapporto e le modalità di svolgimento delle prestazioni lavorative richieste, nonché l’ammontare della retribuzione. Se il lavoratore interpellato accetta, il contratto è concluso e il rapporto di lavoro intermittente può iniziare. Ma vi sono requisiti e condizioni da rispettare per arrivare a questo risultato.
Lavoro a chiamata: requisiti e condizioni
Si può attivare un contratto di lavoro a chiamata soltanto con soggetti che hanno meno di 24 anni di età (e per prestazioni che devono concludersi entro il 25° anno di età) o più di 55 anni. Si tratta, essenzialmente, di giovani studenti universitari, o diplomati inoccupati, e di persone mature che sono già piuttosto anziane per il mondo del lavoro, ma non hanno ancora maturato il diritto alla pensione.
Tranne che per i settori dello spettacolo, dei pubblici esercizi e del turismo, la durata del lavoro a chiamata per ogni dipendente non può superare le 400 giornate di lavoro effettivo nell’arco di tre anni solari; se tale limite non viene rispettato, il rapporto si converte automaticamente in lavoro indeterminato a tempo pieno, con il riconoscimento di tutti i relativi diritti in favore del prestatore.
Inoltre, i contratti collettivi nazionali di lavoro stabiliscono, per ciascun comparto e categoria d’impiego, ulteriori limiti, che possono essere oggettivi e soggettivi, alla possibilità di attivare il lavoro a chiamata.
Tutto ciò dimostra che non si può ricorrere a questa particolare figura in modo indiscriminato, o come surrogato delle classiche formule contrattuali di lavoro.
Busta paga del lavoratore a chiamata: peculiarità
Il lavoratore a chiamata ha diritto di ricevere dal datore la busta paga mensile. Il cedolino del lavoratore a chiamata si caratterizza perché deve comprendere la descrizione di tutte le attività svolte nel mese di riferimento, con l’indicazione specifica delle ore effettivamente lavorate e della corrispondente retribuzione.
Devono, inoltre, essere riportate nel cedolino tutte le trattenute fiscali, contributive e previdenziali effettuate dal datore di lavoro, e indicare l’importo netto in busta paga.
Per il resto, la retribuzione del lavoratore a chiamata non differisce da quella ordinaria: anch’egli ha diritto ai periodi di ferie (calcolate in proporzione alle ore lavorate) e matura i ratei di tredicesima mensilità e di Tfr, ma soltanto in misura percentuale ai periodi di lavoro svolto.
Tieni presente che per il lavoratore a chiamata il salario o lo stipendio effettivamente percepito può variare notevolmente di mese in mese, in relazione alle ore lavorate durante tale periodo: non c’è un limite minimo, come nei contratti di lavoro standard a tempo pieno o in regime di part-time. Tutto ciò a differenza del lavoratore subordinato tradizionale, per il quale – a parte i casi particolari di assenze prolungate – la retribuzione mensile è tendenzialmente stabile.
Indennità di disponibilità del lavoratore a chiamata
Il lavoro a chiamata prevede anche l’erogazione di una speciale indennità di disponibilità, che costituisce un corrispettivo in favore di chi si è preventivamente obbligato ad aderire alle future richieste del datore di lavoro: in sostanza, questo “sì” anticipato alle chiamate che arriveranno viene retribuito, ma solo se un’apposita clausola inserita nel contratto prevede tale possibilità, altrimenti nei periodi in cui il lavoratore rimane in attesa di chiamata non c’è nessuna retribuzione.
Solitamente i datori di lavoro appongono la clausola di disponibilità per assicurarsi manodopera: così facendo sanno che potranno fare affidamento su quel dipendente, che quando sarà interpellato dovrà accettare la chiamata, in quanto si è già impegnato in anticipo a farlo. E anche al dipendente ciò conviene, perché ottiene un emolumento economico ulteriore.
L’entità dell’indennità di disponibilità stabilita in favore dei lavoratori a chiamata è fissata dai contratti collettivi, eventualmente integrati – ma mai al ribasso rispetto alle previsioni del Ccnl – dalla contrattazione aziendale e individuale.
C’è però una soglia minima da rispettare sempre: in nessun caso l’indennità di disponibilità può essere inferiore al 20% della retribuzione mensile prevista dal Ccnl, dunque deve essere pari ad almeno un quinto dello stipendio percepito.
A fronte della percezione dell’indennità di disponibilità, il lavoratore che non accetta la chiamata senza un giustificato motivo (ad esempio, una malattia) commette un inadempimento contrattuale e, pertanto, può essere licenziato per giusta causa.
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