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Lavoratore licenziato: quando va reintegrato?

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(@paolo-remer)
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In quali casi scatta la reintegra prevista dallo Statuto dei Lavoratori anche dopo la riforma Fornero e il Jobs Act: la Corte Costituzionale ha ampliato le ipotesi.

Per rispondere all’incresciosa domanda: quando va reintegrato un lavoratore licenziato? la risposta classica e formale è: quando lo dispone il tribunale in funzione del giudice del lavoro, a seguito del ricorso del lavoratore che ha contestato e impugnato il provvedimento datoriale per vari motivi di illegittimità. Ma questa risposta è insoddisfacente, perché non ci dice nulla sui casi concreti. Vediamo meglio.

Le crisi economiche e finanziarie spesso si traducono in grosse difficoltà per le aziende, piccole e grandi. Per risolvere questi problemi, le imprese, con disinvoltura, tagliano i costi, a partire da quelli del lavoro, e dunque licenziano ampie fasce di personale. Anche l’arrivo dell’intelligenza artificiale sta contribuendo a questo fenomeno: molte mansioni non richiedono più un intervento umano. Insomma, il lavoro non è più stabile come un tempo.

Eppure, nonostante questi cambiamenti sociali ed economici in atto, esiste a garanzia dei lavoratori ingiustamente licenziati una importantissima forma di tutela: la reintegra prevista dallo Statuto dei Lavoratori. Una norma introdotta nel 1970 e in seguito oggetto di numerose riforme, dalla legge Fornero del 2012 al Jobs Act del 2015, che avevano depotenziato e svuotato di contenuto la reintegra, limitandola ad alcuni casi e non più alla generalità dei licenziamenti illegittimi.

Per tutti gli altri, è prevista soltanto la magra consolazione dell’indennità risarcitoria, che non fa riacquistare il posto di lavoro perso ma riconosce soltanto un determinato numero di mensilità di retribuzione. La reintegra, invece, è molto più potente ed efficace, in quanto comporta l’obbligo, impartito al datore di lavoro con un preciso ordine del giudice, di ricondurre, ora per allora, il dipendente nella stessa posizione organizzativa e retributiva che occupava prima del licenziamento, in modo da eliminare tutte le conseguenze negative del provvedimento viziato da illegittimità.

Reintegra del lavoratore licenziato: le norme

Dopo questa indispensabile premessa, vediamo precisamente quando è prevista la reintegra del lavoratore licenziato. Fino al 2012 la reintegrazione nel posto di lavoro era automaticamente applicabile, in base al famoso art. 18 dello Statuto dei lavoratori [1], a tutti i casi di licenziamento illegittimo di dipendenti impiegati presso datori con più di 15 lavoratori per ciascuna unità produttiva o comunque più di 60 lavoratori occupati in totale.

In seguito le cose sono cambiate. La riforma “Fornero” del 2012 ha modificato la reintegra rendendola possibile solo nei casi più gravi di licenziamento illegittimo. Poi nel 2015 il Jobs Act varato dal governo Renzi [2] ha introdotto un regime di «tutele crescenti» per i lavoratori assunti dal 7 marzo 2015 in poi, che prevede in favore del lavoratore licenziato un’indennità risarcitoria in sostituzione della reintegra.

Interventi della Corte Costituzionale sulla reintegra

Ma di recente è intervenuta la Corte Costituzionale a ripristinare, almeno in parte, il quadro precedente. A febbraio 2024 una nuova sentenza della Consulta [3] ha stabilito che la limitazione del diritto alla reintegra, prevista dal Jobs Act per i soli licenziamenti viziati da nullità previste espressamente dalla legge, è illegittima.

Questa decisione riguarda soprattutto i lavoratori assunti dopo il 7 marzo 2015 (data di entrata in vigore del Jobs Act) e sottoposti al regime di tutele crescenti, che, pertanto, prima dell’intervento risolutivo della Corte erano esclusi dalla reintegra.

Tecnicamente, la Corte Costituzionale ha espunto dai decreti attuativi del Jobs Act l’avverbio «espressamente», che limitava l’applicabilità della reintegra ai soli lavoratori licenziati per un motivo che risultasse espressamente previsto come illegittimo e radicalmente da una precisa disposizione di legge (ad esempio, il licenziamento di una lavoratrice in gravidanza) ma lasciava fuori dal campo applicativo numerosi casi, egualmente meritevoli di tutela giuridica, in cui il licenziamento veniva intimato in violazione di norme imperative che tuttavia non prevedevano espressamente la sanzione della nullità.

La nuova sentenza del 2024 dice testualmente: «Dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma censurata, limitatamente alla parola “espressamente”, consegue che il regime del licenziamento nullo è lo stesso, sia che nella disposizione imperativa violata ricorra l’espressa sanzione della nullità, sia che ciò non sia testualmente previsto, sempre che risulti prescritto un divieto di licenziamento al ricorrere di determinati presupposti».

C’è diritto alla reintegra per tutti i licenziamenti nulli

La conseguenza è che adesso, quando un licenziamento intimato dal datore di lavoro viene dichiarato nullo dal giudice al quale il lavoratore si è rivolto presentando ricorso, c’è sempre diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro, oltre che alla tutela indennitaria rafforzata (commisurata a un determinato numero di mensilità di retribuzione perse durante il periodo di licenziamento) e al risarcimento dei danni.

La Corte Costituzionale, già nel 2022, aveva stabilito [4] che nei licenziamenti economici (quelli determinati da crisi aziendali o necessità di riorganizzazione della produzione) deve scattare la reintegra anche se l’insussistenza del fatto posto alla base del licenziamento non risulta  «manifesta» (un’altra parola che è stata eliminata dal Jobs Act). Esamineremo la questione più da vicino nell’ultimo paragrafo di questo articolo.

Per effetto di queste importantissime pronunce, la portata dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori si riespande interamente nella formulazione originaria, quella del testo normativo del 1970, senza le distorsioni introdotte con le modifiche legislative successive.

Nel frattempo la Consulta ha lanciato un monito al legislatore, cioè al Parlamento: bisogna rivedere e ricomporre una normativa «di importanza essenziale», quella della tutela dei lavoratori contro i licenziamenti illegittimi, che negli ultimi decenni ha avuto interventi frammentari e non sempre coerenti, come dimostrano le pronunce di incostituzionalità che abbiamo citato, ed anche quelle ulteriori che esporremo nel prosieguo.

Licenziamento illegittimo: quando c’è sempre la reintegra

La reintegra del lavoratore nel posto si applica sempre – a prescindere dal numero dei lavoratori occupati nell’azienda e dalla qualifica del lavoratore licenziato – in tutti i casi di:

  • licenziamento nullo perché intimato in forma verbale anziché per iscritto (è il cosiddetto licenziamento orale);
  • licenziamento avvenuto in violazione delle norme a tutela della genitorialità, quindi della maternità o paternità (ad esempio, quello che colpisce una lavoratrice incinta o durante il periodo di congedo parentale), o durante il periodo di matrimonio (dal giorno delle pubblicazioni a un anno dopo la celebrazione delle nozze);
  • licenziamento discriminatorio o ritorsivo (per motivi di sesso, handicap, opinioni politiche, fede religiosa, appartenenza sindacale, ecc.).

Reintegra: come funziona e cosa comporta

In tutti i casi di licenziamento illegittimo che abbiamo descritto la reintegra viene disposta dal giudice, che ordina la riammissione effettiva del lavoratore nel posto di lavoro precedentemente ricoperto. Oltre alla reintegra, il giudice condanna il datore al pagamento delle retribuzioni maturate nel periodo ed al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali dovuti, ed al risarcimento dei danni subiti in conseguenza del licenziamento illegittimo.

L’entità del risarcimento del danno è commisurata all’importo dell’ultima retribuzione globale di fatto percepita prima del licenziamento e non può essere inferiore a 5 mensilità. Se il lavoratore non desidera più tornare a lavorare alle dipendenze del datore di lavoro che lo aveva licenziato può optare, in sostituzione della reintegra, per un’indennità risarcitoria sostitutiva, pari a 15 mensilità della retribuzione globale di fatto. La richiesta formulata al datore in tal senso determina la cessazione del rapporto di lavoro.

Quando è prevista la reintegra in base al tipo di licenziamento

La reintegra del lavoratore illegittimamente licenziato non è piena – e per questo si dice che la tutela reintegratoria è attenuata – nelle rimanenti ipotesi di licenziamento, che prevedono soltanto forme di compensazione sostitutiva del posto di lavoro perduto, in forma di indennità risarcitoria. Ma la reintegra è prevista come obbligatoria se il licenziamento è avvenuto per:

  • giusta causa o giustificato motivo soggettivo, quando il fatto contestato è insussistente o è punibile, in base al contratto collettivo di lavoro applicabile alla categoria ed al comparto, con una sanzione disciplinare «conservativa», dunque in modo meno grave del licenziamento, perché non comporta la perdita del posto di lavoro;
  • giustificato motivo oggettivo (detto anche licenziamento economico), se il fatto su cui il datore di lavoro ha motivato il licenziamento risulta «manifestamente infondato»; ma la Corte Costituzionale, come abbiamo visto, di recente ha dichiarato illegittimo l’avverbio «manifestamente».

In entrambi questi casi, oltre la reintegra, che viene disposta dal giudice, al lavoratore illegittimamente licenziato spetta un’indennità risarcitoria con il limite massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, fermo restando il versamento da parte del datore di lavoro di tutti i contributi previdenziali dovuti.

La reintegra per i licenziamenti economici

Nel 2021 una storica sentenza della Corte Costituzionale aveva stabilito che anche in caso di licenziamento economico c’è diritto alla reintegra perché sarebbe «irragionevole» escludere dalla tutela reintegratoria piena questa tipologia di licenziamento, in violazione del principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 della Costituzione.

Sul solco di quella pronuncia, abbiamo visto che nel 2022 è intervenuta un’altra sentenza della Consulta, che ha dichiarato costituzionalmente illegittima la norma della legge Fornero [5] che impediva la reintegra del lavoratore illegittimamente licenziato per giustificato motivo oggettivo, salvo che nei casi di manifesta infondatezza.

Dopo l’intervento della Corte costituzionale, per far scattare la reintegra è sufficiente che le ragioni che avevano determinato il licenziamento economico siano risultate, all’esito della causa di lavoro, insussistenti, anche se non in modo manifesto: ad esempio, un’azienda che, con criteri opinabili, ha licenziato numerosi dipendenti motivando ciò con una riduzione del fatturato e degli utili, che però non risulta chiaramente evincibile dai bilanci di esercizio, e magari poi assumendo altri lavoratori, o collaboratori esterni, per rimpiazzare quelli licenziati.

Nel box al termine di questo articolo ti riportiamo la sentenza del 2022 per esteso.

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Pubblicato : 1 Marzo 2024 14:15